UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Perché nulla vada perduto. Riflessioni di un imprenditore

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29 Marzo 2001

di domande relegabil i in un ambito meramente culturale, ma di riflessioni di grandissima attualità, dalle quali si generano effetti positivi o negativi ma, in ogni caso, assai concreti.
Per tutto questo è sicuramente importante che, in ognuno di noi, si ricomponga il mosaico di ogni "frammento" vissuto, singolarmente e collettivamente, durante il Giubileo. La sollecitazione "…ina mh ti apolhtai , … perché nulla si disperda" acquista, così, una valenza nuova ed illumina le strade per costruire i futuri possibili. Anche noi, pertanto, saremo in grado di riempire le nostre dodici ceste, se, facendo tesoro di tutti i doni ricevuti, sapremo continuare a costruire, con amore, con determinazione e con umiltà, ma, soprattutto, con la consapevolezza e l'orgoglio di essere "concreatori", tesi sempre a "…far nuove tutte le cose". "…E Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna…". Riecheggiano in me e penetrano sempre di più, con la loro dirompente sacralità, le esortazioni del Santo Padre, rivolte ai giovani, durante la veglia del 19 Agosto 2000. Ho partecipato, l'anno scorso, a due forti "momenti giubilari": il 1° Maggio - "Giubileo del Mondo del Lavoro" - ed il 9 Dicembre - "Giubileo dell'U.C.I.D." Devo, tuttavia, confessare che il solco più profondo è stato scavato, in me, dalla forza - oserei parlare di "carica rivoluzionaria" - di quelle esortazioni fatte nell'ambito della "Giornata Mondiale della Gioventù". Sempre più spesso, mi chiedo: chi ha detto che l'invito a non lasciarsi inghiottire dalla mediocrità sia rivolto solo ai giovani e non sia, invece, un messaggio erga omnes? Non si tratta forse di un "imperativo" che ha una sua connotazione di universalità, in assonanza con le "rivoluzioni" che, già da alcuni anni, stiamo vivendo? Forse che il fare qualcosa di grande non competa a tutti, a ciascuno secondo la sua capacità (Mt 25, 15), nel momento in cui, da più parti, si continua a chiedere di rivalutare la centralità della persona e la sua creatività, nel convincimento che "…l'uomo…, mediante il suo lavoro, partecipa all'opera del Creatore ed a misura delle proprie possibilità, in un certo senso, continua a svilupparla e la completa,… " (Laborem exercens, 25)?
"Raccogliete gli avanzi perché nulla si disperda. Ed essi li raccolsero, e con quello che dei cinque pani d'orzo era rimasto a coloro che avevano mangiato, riempirono dodici ceste" (Gv 6, 12-13). Mi sembrano molto efficaci ed appropriati i termini usati da Salvatore Quasimodo, nella sua traduzione del "Vangelo di Giovanni". In particolare, l'espressione "…ina mh ti apolhtai , … perché nulla si disperda" consente di leggere la profondità del messaggio evangelico, in un'ottica di più ampio respiro, forse anche in una visione più trascendente. Parlare di ciò che "va perduto", infatti, dà, comunque, un senso di limitatezza e di irreversibilità. Per converso, fare riferimento a "ciò che si disperde" apre le porte alla possibilità di recupero dei "frammenti" ed ha quindi una forte carica di speranza e di compiutezza: tutto ciò che si disperde torna, prima o poi, a ricomporsi in Unità, per essere strumento di nuova creatività.
Certo, riflettere sul passo di Giovanni può anche aprire le porte a percorsi metaforici, che trovano immediato riscontro nell'ambito dei vissuti imprenditoriali: basti pensare a tutti gli aspetti connessi ai delicati passaggi "da padre in figlio", o alle attività artigianali che rischiano di scomparire, o, comunque, a quella carica che sublima chiunque partecipi ad un atto creativo. Si ripropone, in ogni caso, in maniera prorompente, il termine creatività, momento centrale nella mia esperienza di "cristiano imprenditore". La testimonianza che offro, infatti, è quella di chi opera in un ambito imprenditoriale, finalizzato alla "produzione di ricerca scientifica". L'i.R.t.i.s. (ISTITUTO RICERCHE TERRITORIALI INDAGINI SPERIMENTALI), di cui sono "direttore scientifico", è una struttura di ricerca (società di capitali, interamente "privata") che dà continuità ad esperienze professionali e scientifiche, interdisciplinari, che si sono sviluppate, in aree geografiche diverse e secondo differenti articolazioni, a partire dal 1950. L'Istituto, che sta promuovendo nuove iniziative imprenditoriali, opera, prevalentemente, nell'ambito della produzione ed elaborazione di "dati telerilevati" da "piattaforme" diverse: satellitare, aerea, terrestre. La produzione, in particolare, fa riferimento a tutto quanto connesso alla "piattaforma terrestre". Nella fase di elaborazione, tutte le attività di ricerca hanno, come denominator e comune, l'analisi integrata di "immagini telerilevate" e, più in generale, di "controlli non distruttivi", nei seguenti quattro settori: "Ambiente, Acqua, Territorio" - "Beni Culturali" - "Energia" - "Materiali, Prodotti, Infrastrutture". Creatività ed innovazione sono, quindi, due fondamentali "parole chiave" dell' i.R.t.i.s. . L'Istituto, infatti, investendo in ricerche applicate, o in specifici progetti di ricerca, si è sempre collocato sulle frontiere dell'innovazione, non solo per le intuizioni creative di ampio respiro, nell'ambito dello start-up di nuovi percorsi di ricerca, ma anche esaltando specifiche creatività, in tutte le fasi dei processi produttivi, grazie soprattutto a metodologie d'avanguardia e a tecnologie sofisticate. Va sottolineato, a tal proposito, che chi fa ricerca nell'ambito dell'i.R.t.i.s. ha da sempre "lavorato in rete", con una spiccata internazionalizzazione: nel corso degli anni, si è sempre più arricchito e consolidato un network mondiale, caratterizzato da forti relazioni, collaborazioni ed interscambi con autorevoli esponenti del mondo della cultura e dell'imprenditoria. Tutte le attività, altamente specialistiche, vengono, pertanto, eseguite direttamente dai soci e/o da partners, secondo uno schema fortemente interdisciplinare, in cui contributi settoriali diversi, anche eminenti, non si limitano a sommarsi, ma si integrano in una coerente visione unitaria, costruendo insieme nuova Conoscenza. Tutto questo, peraltro, ha forse anticipato alcuni aspetti dei cambiamenti epocali che stiamo vivendo e che, sovente, creano alternanze di timori ed entusiasmi. Del resto, una caratteristica preminente della tanto menzionata "new economy", non è forse il riempire di Conoscenza i prodotti? E che dire delle nuove frontiere connesse alla divulgazione dell'immenso patrimonio dinamico della Conoscenza? Altre volte mi sono soffermato su questa riflessione: oggi, i capitali si spostano in tempo reale, ma anche la Conoscenza - prodotto immate riale - si sposta in tempo reale. "Se esiste il "Fondo Monetario Internazionale", perché non pensare anche ad un "Fondo Internazionale della Conoscenza"?", chiedevo, in un recente convegno, al prof. Michel Camdessus, che, peraltro, mostrava molto interesse per la provocazione. Certo, le sfide dei cambiamenti ci impongono di navigare ascoltando il respiro della Storia e, quindi, sapendo che la parola solidarietà va coniugata con i termini produttività ed efficienza. Per questo, noi cristiani imprenditori, in particolare, siamo chiamati a volare alto, a non lasciarci inghiottire dalla mediocrità, ad essere - lo dico senza enfasi - un po' profeti, con la coerenza dei comportamenti ed il coraggio delle scelte controcorrente. Ad esempio, non abbiamo forse il dovere di evidenziare che la cosiddetta "rivoluzione industriale", accanto a molte positività, ha il demerito di aver abbassato il livello di creatività umana, omologando non solo il lavoro tra persone, ma anche tra persona e macchina? Per decenni, nel "ciclo produttivo", l'uomo è stato costretto ad adattarsi ed a riempire gli spazi che le macchine non riuscivano a coprire; oggi, grazie alla continua costruzione di "macchine sempre più perfette", si ha sempre meno bisogno di chiedere all'uomo di adempiere a questa funzione di supplenza. Quando si dice, quindi, che le nuove tecnologie causano espulsioni dal mercato del lavoro, non è corretto: esse, infatti, allontanano l'uomo da una condizione che non è mai stata congeniale alla sua natura ed alla quale si è adattato, in un certo periodo storico. E quindi corretto affermare che le nuove tecnologie sanciscono il tramonto di un certo "modello di lavoro". Grazie ad esse si ha la possibilità di recuperare soggettività e di riappropriarsi della capacità creativa e, quindi, di realizzare nuove, inesplorate opportunità di lavoro, ponendo al centro l' "homo faber".
In qualità di presidente del "Gruppo U.C.I.D. Basilicata" ed anche nella veste di componente della Presid enza Nazionale dell'U.C.I.D., ho contribuito a promuovere, negli ultimi anni, programmi intensi, aventi tutti un comune, alto obiettivo: concorrere a consolidare - dove è già presente - e creare - dove ancora non c'è - il consenso sociale attorno al "valore impresa". In che misura la collettività percepisce la positività dell'essere impresa? In che misura la nascita di una nuova impresa (anche solo una micro-impresa) viene letta come un momento di arricchimento e un'occasione di crescita, anche per il tessuto sociale in cui essa è inserita? E, in che misura i singoli soggetti della collettività vivono il processo di crescita di una nuova impresa, suggerendo, consigliando, cogliendone le opportunità attraverso la creazione di "indotti", o, magari, emulando, per divenire essi stessi artefici di altre iniziative simili e moltiplicare, quindi, le occasioni di sviluppo? E, in tutto questo, quale è il ruolo della Chiesa, o meglio, della comunità ecclesiale italiana? L'impresa, che crea sviluppo e nasce per produrre ricchezza ed essere portatrice di valori, diviene strumento per far testimoniare gli stessi valori e per far emergere e valorizzare talenti. "Che cosa fa la Chiesa per sviluppare i talenti culturali e intellettuali e anche sociali, economici e finanziari di coloro che hanno questi talenti? " si chiedeva, qualche anno fa, il Cardinale Martini. Perché la "dottrina sociale della Chiesa" è ancora tanto ignorata, soprattutto nei passi in cui viene richiamata l'etica della responsabilità e della partecipazione? "…E importante che a coloro i quali lavorano venga corrisposta una retribuzione che loro consenta un tenore di vita veramente umano, ma pure che, nella determinazione della retribuzione, si abbia riguardo al loro effettivo apporto nella produzione e alle condizioni economiche delle imprese.", scriveva, profeticamente, Papa Giovanni XXIII, nel 1961, nell'Enciclica Mater et magistra. Non si tratta, quindi, di astratte elaborazioni o