UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

“Né finti acrobati, né rassegnati nani, ma tenaci costruttori del Regno di Dio”

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6 Settembre 2000

protagonismo sano, le strade le troviamo. La relazione che chiude questo nostro seminario, fatto di relazioni, scambi, lavori di gruppo, riflessioni, interventi, comunicazione di esperienze può ben avere il titolo di cui sopra. Non siamo acrobati finti, perché non ci piace fare gli spacconi conoscendo la nostra debolezza, nemmeno ci adattiamo a passare per nani senza nessuna speranza. Non siamo né gli uni né gli altri, ma vogliamo con tenacia dare il nostro piccolo contributo, poter tirare fuori qualcosa di nuovo che fa parte della nostra vita, per il regno di Dio. Procedo per punti schematici:
1. Uno sguardo alla realtà
a. Ognuno ha una sua originalità. Intanto ripercorro le due giornate e per ciascuna riprendo una idea forza o qualcosa che ci serve per il nostro cammino: ogni giovane ha una sua originalità e un suo progetto per il quale deve battersi, vuole battersi, ha bisogno di qualcuno che lo aiuti a battersi. Abbiamo percepito questo direttamente dal film: due ragazzini quindicenni che sembra che non parlino, che non abbiano niente da spartire con nessuno, hanno dentro qualcosa di assolutamente originale. Una famiglia fatta bene è sempre un grande dono di Dio, ma sappiamo che Dio ha dotato ogni persona di originalità e a noi tocca investire su questa originalità che è un dono che Dio dà ad ogni giovane. Nella vita non ci servirà stare a lamentarsi della sfortuna di non aver avuto genitori perfetti, bravi, che ci hanno aiutato a crescere, perché la vita alla fin fine è tua e te la devi prendere in mano e sei tu che devi decidere ogni giorno che cosa farne. Questa tua originalità e questo tuo progetto ogni giorno deve battersi contro gli adulti, contro le mode, contro le strutture, contro tutta una serie di elementi che cercano di smorzare la tua vitalità e di costringerti a stare negli schemi che gli altri ti hanno fatto. Soltanto dopo potrai cominciare a costruire. b. Protagonisti nel lavoro.
Il lavoro è un campo obbligato, uno spazio, una prova, un luogo in cui l'originalità, il progetto, il protagonismo di ogni giovane diventano veri e si rinforzano. Non c'è protagonismo se non tocca, non passa attraverso l'esperienza del lavoro che è una condizione fondamentale della vita umana. Sapendo che nella vita cristiana il termine è ambiguo, prendiamo per protagonismo l'accezione molto immediata del tenersi in mano la vita. Siamo convinti che il lavoro è un campo obbligato perché ogni uomo si prenda in mano la vita. Non obbediremmo alla profondità ed alla costituzione della nostra umanità, ma anche al messaggio del Vangelo, se noi pensassimo di aiutare i giovani ad essere protagonisti indipendentemente dalla loro esperienza lavorativa. La tentazione di spostare il protagonismo al di fuori del lavoro, che spesso è frustrante, negli spazi del tempo libero e degli impegni anche pastorali è forte. Noi non siamo di questa idea, noi pensiamo che il lavoro sia uno stadio, un campo obbligato per il protagonismo giovanile.
c. Difficoltà per un vero protagonismo
Il lavoro per come è oggi organizzato è tendenzialmente ostile al giovane e alla sua collocazione nella vita come soggetto. Tendenzialmente ostile, perché in esso esistono alcuni elementi che smorzano l'eventuale voglia di costruirsi una vita da protagonisti. Quali elementi? Ne abbiamo individuati tre: la complessità della situazione in cui viviamo dovuta ai contesti geografici che definiscono in maniera molto diversificata il lavoro; il rapporto difficile tra domanda e offerta, la variabilità accelerata dei lavori e degli stessi mercati del lavoro; la stessa flessibilità, se volete necessaria, ma non sempre misurata sulle aspirazioni dei giovani. la sparizione di condizioni che rendono possibile la solidarietà e relazioni positive all'interno dello stesso mondo del lavoro: non volevamo credere anche se forse c'è da aggiustare qualche dato, che i giovani all'interno del mondo del lavoro non hanno nessun amico almeno per la metà di loro (il 51% è una quota molto alta!). Se anche non è v ero questo dato ci dice che sono sparite le condizioni che fanno del posto di lavoro o del lavoro uno spazio di solidarietà e di relazioni positive. I morti sul lavoro. E inutile che stiamo a parlare tanto di protagonismo, se non facciamo qualcosa per opporci alla strage di giovani sul mondo del lavoro. Sono esageratamente troppe queste morti sul mondo del lavoro perché noi non ci interroghiamo in questo seminario in cui parliamo del protagonismo dei giovani. Ci stiamo arrampicando sulle nuvole se pensiamo un protagonismo che non riparte da questi elementi minimi e fondamentali che permettono alla vita di viversi nel suo corso fino in fondo, e qui sono convinto che dovremmo prendere anche delle decisioni. Come gruppo giovani e lavoro della Conferenza episcopale italiana non possiamo lasciare passare sotto silenzio e nella nostra indifferenza istituzionale o progettuale questa situazione assurda. E anche compito e responsabilità sicuramente della pastorale giovanile non solo della pastorale sociale e del lavoro che i giovani siano aiutati ad acquisire questa minima consapevolezza che sul lavoro bisogna difendersi e tenere in alta considerazione la vita.
2. La proposta
a. Ricostruzione del significato del lavoro
Primo compito allora, se questa è una sorta di visione della realtà, è la ricostruzione del significato del lavoro e delle effettive qualità che lo rendono spazio di vita attraverso il mondo delle relazioni, attraverso una rete di rapporti tra i giovani che abitano questo spazio, attraverso le aggregazioni che vivono con i giovani lavoratori che si mettono in confronto, attraverso campagne di informazione e di sensibilizzazione. Ma questa è soltanto una partenza che ci permette di entrare nella parte più costruttiva. Ci aiuta in questo primo compito di ricostruzione del significato del lavoro e delle effettive qualità che lo rendono spazio di vita: prima di tutto Lui, Gesù, che è il Vangelo, la Buona notizia, il vero e unico nostro protagonista: colui dal quale la parola protagonismo dei giovani prende il senso vero ed esce dall'ambiguità, perché è soltanto il protagonismo di Gesù che toglie ogni equivoco a questa parola. Con Lui, con la Sua presenza e con la Sua forza riscriviamo nella fede un cammino di autentico protagonismo. Offrire il Vangelo è far camminare diritti i giovani piegati in due dalla vita. L'evangelizzazione diventa per noi la strada, l'indicazione di metodo, il contenuto del vero protagonismo dei giovani. Offrire il Vangelo non è inscatolare i giovani entro schemi precostituiti, di fronte alla loro voglia di libertà, di autonomia, di non avere limiti, di decidere quello che si vuole finalmente nella vita. Il Vangelo non è una operazione indolore per incastrarli e collocarli in strutture obsolete, in mondi che non dicono la vita ma che stanno soltanto dalla parte dello star tranquilli. Offrire il Vangelo non è alienare dal gusto della vita, dalla bellezza dell'essere persone, dal desiderio di sentirsi vivi. Purtroppo i giovani, soprattutto i più semplici, percepiscono il messaggio evangelico così come viene offerto dalla Chiesa come un'altra limitazione, un'altra istituzione a cui si deve pagare un tributo per vivere. I lavoratori spesso fanno fatica ad immaginare che la comunità che annuncia il vangelo sta dalla parte di una forte presa di coscienza della loro dignità di persone. Il modello comunicativo che usiamo non riesce con facilità a dialogare con la realtà giovanile del mondo del lavoro, non riesce ad intercettare le tentazioni di protagonismi che vanno spesso verso direzioni di debolezza, seguono strade che alla lunga si insabbiano e producono schiavitù se vengono lasciati a se stessi. Lo scambio di esperienze che abbiamo fatto sabato sera scavando nel nanismo e nell'acrobazia ci rendeva presente l'esperienza fragile della ricerca di protagonismo nel mondo giovanile.
b. La vicenda di Natanaele
Allora come si può riscrivere questo cammino di autentico protagonismo? Ci aiuta in questa ricostruzione la vicenda di Natanaele, un giovane schietto, un sognatore, un delineatore di significati, uno che sta dalla parte della ricerca della verità, della vita piena. Natanaele fa parte di quella schiera di giovani che hanno incrociato Gesù e che sono stati provocati a ricostruire la propria vita secondo la proposta che Gesù ha fatto. Questi giovani hanno accettato tutti quella proposta di Gesù, eccetto quel giovane ricco che è ritornato sui suoi passi. Un primo movimento di questo cammino di Gesù è quello della conoscenza, dell'accoglienza, della condivisione, del farsi carico. Conoscenza non è farsi irretire dal pregiudizio, non è scaricare sui giovani le nostre frustrazioni o preoccupazioni organizzative, non è procedere per schemi, ma aprirsi alla novità della loro vita. Ci viene imposto un giro di 180 gradi dalla parte dei giovani. Dice il documento dei vescovi "Educare i giovani alla fede" che dobbiamo acquisire appropriate categorie interpretative per accogliere il mondo giovanile, che dobbiamo abitare le loro domande, ma anche le loro nuove culture, i linguaggi sempre più variegati e gli strumenti con cui si esprimono con forme e modalità spesso di non facile interpretazione per il mondo degli adulti. Evitando atteggiamenti di rifiuto dobbiamo giungere a discernere il vero che queste culture presentano sotto le vesti del nuovo. La richiesta è molto precisa e in più, si dice sempre in questo documento, le comunità ecclesiali devono fare una lettura puntuale e appassionata del mondo giovanile a partire dal loro orizzonte culturale. Mi pare che la ricerca che sta facendo la Gioc sia giusto in questa direzione. Accoglienza non è un mettere loro addosso le nostre preoccupazioni, gli stessi nostri nobili obiettivi, ma è decidersi di stare dalla loro parte nella vita, dalla parte delle loro aspirazioni di fondo. In questi atteggiamenti si trascina tutta la comunità cristiana che è invitata ad un cammino di conversione, a dare sempre più coerente testimonianza evangelica che la renda casa accogliente per i giovani e non deluda la loro sete di autenticità … Condivisione, farsi carico, essere compagni di viaggio è amicizia accolta e offerta. Il racconto delle esperienze fatte nei gruppi che vi hanno accolto ieri sera rende evidente che si comincia sempre da una semplice compagnia, senza voglia di annessione; questo ascolto e questa compagnia - dicono sempre i Vescovi nel loro documento - chiedono di superare i confini abituali delle nostre esperienze pastorali per esplorare i luoghi anche più impensati dove i giovani vivono, si ritrovano, danno espressione alla propria originalità, dicono le loro attese e formulano i loro sogni. Ce lo stiamo dicendo tante volte, pare però che in questa prospettiva assuma ancora di più una sua pregnanza. Abbiamo bisogno insomma di acquisire la capacità di vedere di Gesù, che sa far passare Natanaele da scettico spettatore di eventi esterni a lui a entusiasta attore dell'avventura del Regno di Dio. Io oso pensare che l'elettricità che aveva addosso Natanaele dopo aver incontrato Gesù abbia provocato tre giorni dopo nel suo paese, a Cana, alla festa di nozze il primo miracolo di Gesù. E interessante vedere come il primo capitolo finisce con questa vicenda di Natanaele e il capitolo che segue titola "le nozze a Cana" e comincia letteralmente: "tre giorni dopo ci fu lo sposalizio a Cana di Galilea". Anche Gesù era un giovane, era un grande amico e quando trovava qualcuno con cui stava bene assieme faceva di tutto per ritornarci. Non è un'interpretazione troppo seria del Vangelo, non è esegeticamente il massimo, ma oso pensare che questa elettricità che aveva Natanaele potesse essere un elemento importante anche per costringere Gesù dentro alcuni percorsi della Sua vita. Il primo segno Natanaele l'ha visto proprio dopo, prima si è innamorato di Gesù. Si deve noatare sempre anche nei Vangeli questa delicatezza di Gesù: i segni li pone non per costringere uno a decide rsi, ma come conferma di una decisione. Natanaele è rimasto incantato da Gesù, tre giorni dopo (immaginate in un paesetto, quelle nozze cui partecipano tutti perché sono mezzi parenti), tre giorni dopo ha partecipato a questo primo segno della gloria. Noi siamo nello stesso tempo questo Natanaele prima e dopo l'incontro con Gesù: abbiamo bisogno di sentircelo profondo ascoltatore della nostra vita, compagno accogliente e sostegno per essere anche noi a nostra volta come Lui, ascoltatori accoglienti e trascinatori degli altri giovani con la comunità con cui viviamo.
d. Il percorso del protagonismo
1. Accogliere, conoscere, stare è soltanto un primo passo, occorre avere il coraggio e la lucidità di offrire un percorso, sapere dove si vuole arrivare, snodare nella vita i tratti del protagonismo di Gesù: Non siamo noi gli attori, è lo Spirito che delinea questi tratti di Gesù nella vita dei giovani; noi siamo al servizio di un progetto più grande di noi, ma è un progetto. Allora se è un progetto, di questo percorso noi dobbiamo mettere in fila alcuni passaggi importanti: l'esperienza fatta a Vetriolo è sintomatica di un modo nuovo di vivere con i giovani. La sequenza: organizzazione della festa della birra, preparazione di una partita di calcio, consolidamento di una compagnia, ritrovarsi per alcune attività concrete non è uno spennare le galline senza farle piangere, (purtroppo nel nostro mondo cattolico qualche volta c'è un tipo di approccio ai problemi strumentale: star lì e far finta di niente e poi tirare la rete). Noi siamo interessati alla vita dei giovani perché la vita dei giovani è l'unica carne in cui si può vivere la Parola di Dio, in cui deve prendere forma. Se non si incarna non la si può vivere come Parola di Dio, rimane una nostra sovrapposizione, un nostro modello culturale magari intelligente ma ben lontano dall'essere il vangelo. Quindi se abbiamo una progettualità nell'accostare i giovani non è per tradire la loro vita, per portarli dalla nostra parte, per portarli in parrocchia, ma è perché lì dentro quella vita ci sono dei segni della presenza di Dio, ci sono le promesse del protagonismo a cui si vuol far crescere.
2. Il cammino è un percorso in salita, è una scala, ci si diceva ieri, coi piedi ben piantati per terra ma che non sta in orizzontale. Le scale non stanno in orizzontale, servono sempre per cambiare l'altitudine della nostra posizione; purtroppo spesso accostiamo i giovani con piccole scale e le teniamo per terra, cioè condividiamo soltanto e stiamo lì passivi.
3. E una vocazione personale a conoscere Gesù, a presentarlo, a visitarlo, a contemplarlo di più. La sua persona deve riempire le nostre fantasie, i nostri pensieri, la voglia di conoscere.
4. La formazione alla interiorità; noi crediamo ad un modo originale di essere cristiano di un giovane lavoratore (spiritualità). Si può ricostruire una spiritualità giovanile, un modo di essere cristiano che fa del lavoro la palestra di vita, il cantiere del Regno di Dio. Sempre in quel documento, i Vescovi ci invitano a caratterizzare di autentica spiritualità laicale il mondo giovanile, è una spiritualità che vede nel compito di umanizzazione del mondo e di costruzione di autentiche relazioni personali uno dei suoi punti qualificanti perché umanizzare il mondo del lavoro e creare autentiche relazioni personali è un modo concreto ed esigente di incarnare l'unico precetto dell'amore e di preparare e prefigurare il Regno di Dio. Notate le caratteristiche di una spiritualità giovanile: è capace di ricostruire i luoghi umani e umanizzanti dovunque vive la sua vita, nello studio, nel lavoro, nel tempo libero, nei luoghi dello svago, nell'amicizia, sa inventare modalità nuove di relazione vincendo la comoda fuga nel virtuale; molti lavori sono in piccole aziende, in queste piccole aziende si usa moltissimo il computer, si usa moltissimo internet; questo sta diventando lo spazio della vita lavorativa anche di tanti giovani, non è ch e la fuga virtuale parte anche da qui e che noi dobbiamo assolutamente inventare modalità nuove di relazione per vincere questa comoda fuga del giovane lavoratore? è vincere la prigionia del presente e definire la propria identità nel recupero della memoria; è fare della propria vita una storia e non un'accozzaglia di azioni e di avventure slegate; è assumere responsabilità personali e collettive; è saper affrontare la solitudine del presente formandosi una coscienza forte nella verità.
5. Qui ci sta tutta l'attenzione alla formazione della coscienza: non c'è vero protagonismo se non si parte da questo sacrario intimo in cui ogni giovane si trova solo con se stesso e con Dio che è la sua coscienza. E aprire orizzonti nuovi, guardare la vita da un altro punto di vista, dal punto di vista del Risorto; è essere coinvolti da protagonisti nel costruire la propria vita di fede, la propria appartenenza alla comunità cristiana. è anche capacità di offrire dei segni, segni di autenticità, segni di verità, del fatto che siamo felici di quello che chiediamo, di cambiamento interiore e di tenacia nel creare e offrire ai giovani le basi di un protagonismo. Questi segni li definisce e concretizza la nostra fede, la nostra terra e il contesto nel quale siamo. Ogni contesto ha bisogno di alcuni segni precisi, in Calabria occorre un segno di questo tipo, in Basilicata un altro, in Puglia un altro ancora, a seconda dei contesti, …questo percorso include la politica. Non ci sarà falso protagonismo se sapremo passare da quella croce a quella gloria. Nell'esperienza di compagnia, di ascolto, di relazione, di produzione di segni c'è un colore, una filigrana, una presenza che è quella tipica del cristiano, quella della morte e della resurrezione, della consapevolezza dell'impotenza, ma anche della sicurezza nel miracolo.
6. Nel percorso che Gesù ha seguito con Natanaele c'è un perentorio, deciso "vieni e vedi", "venite e vedete", è il capitolo di Gio vanni del "venite e vedete". Dove? A vedere cosa? E qui è chiaro il tema della comunità cristiana, una comunità cristiana che si sbilancia verso il protagonismo giovanile. Essa è il vero soggetto, che deve porre dei segni, e sa vivere il libro della Gloria. E una comunità cristiana credente che con noi, che attraverso di noi, offre questi segni.
c. I segni del protagonismo
Alcuni segni già li stiamo proponendo ma vanno approfonditi: la collaborazione tra le pastorali: per un giovane della strada non dice niente forse, ma per tutto quell'insieme di persone, noi stessi, che stiamo faticosamente tentando di agganciare, per usare i verbi più belli, il mondo giovanile, lentamente e con fatica cercando di metterci in dialogo, è importante. Sentirsi collaboratori della stessa missione, il non dividerci le quattro pecorelle rimaste nell'ovile mentre le altre sono già fuggite e non c'è nessuno che se ne preoccupa, avere una unica passione è un grande sostegno.. Su questo noi siamo convinti di camminare in maniera decisa come pastorale giovanile, come pastorale sociale e del lavoro. Il Progetto Policoro che stiamo in questo tempo seguendo è una strada di protagonismo giovanile. Dal punto di vista della pastorale giovanile sto pensando ad un altro segno che potremmo assolutamente attivare oggi e che sembra lontano dal mondo del lavoro ma non tanto: il rapporto con la scuola e la catechesi, con tutto il cambiamento radicale che sta avvenendo oggi nelle scuole è assolutamente impensabile che la Chiesa non dia dei segni di comunione nel vivere questa sfida e nel rispondere con tutte le qualità che ci siamo costruiti. la collaborazione tra le associazioni: è un altro elemento che avete visto nelle esperienze di ieri sera, è una caratteristica di questo seminario che sta diventando ormai un punto di non ritorno della nostra collaborazione tra gli Uffici e quindi anche dell'esperienza di vita con i giovani lavoratori. Ci sono tanti progetti in atto che permettono di cogliere la bellezza dell'offrire da punti di vista diversificati la propria identità al servizio di un unico progetto che è quello di rendere protagonista il giovane lavoratore. La filiera delle varie associazioni, così come la chiamiamo, che si incontra periodicamente per definire cammini, per inventare percorsi, per noi sta diventando un fatto importante, un elemento che disturba probabilmente i propri progetti ma che li arricchisce di un necessario dialogo tra tutte le forze vive della comunità cristiana. un lavoro di rete, che come comunità cristiana, gruppi associativi, uffici di pastorale, dobbiamo esperimentare con realtà pubblica. In questi tempi si stanno moltiplicando in tutta Italia, spazi di aggregazione dei giovani, e la realtà pubblica ha bisogno di soggetti, di contenuti, di animatori appassionati, di gente che si spende. La comunità cristiana ha persone di questo genere, ha persone qualificate, ha disponibilità che si possono mettere a disposizione. E un altro segno che permette al giovane di intuire da che parte sta la bellezza del suo radicamento nella fede è il progetto Policoro, dove riflessione, progettualità, attività aiutano ad offrire uno dei primi elementi costitutivi del protagonismo dei giovani lavoratori, quello di avere un posto di lavoro. Nelle regioni del Sud e delle isole, faticosamente da qualche parte, con maggior convinzione dall'altra si sta creando un modello nuovo di esperienza ecclesiale, un segno che la chiesa pone nella realtà pubblica. E così ancora la progettazione pastorale: un altro segno che bisogna dare ai giovani. I giovani possono esserne i soggetti. Diceva don Andrea che dentro quel gruppo associativo ha imparato a progettare con i giovani. Che protagonismo sarebbe il loro dal punto di vista cristiano se non vedesse riversata nella progettazione pastorale tutta questa loro capacità, questa sensibilità, questa originalità che hanno ricostruito con fatica nel posto di lavoro? Il pericolo nostro è questo , che uno vive un protagonismo bello, di responsabilità dentro la sua azienda, nel suo lavoro, però quando viene a lavorare in parrocchia deve chiedere le chiavi alla domestica del prete. Nel senso che non ha un minimo di corresponsabilità all'interno delle nostre strutture. Questa corresponsabilità non nasce dalla mattina alla sera ma fiorisce dentro una vita associativa, dentro una serie di scambi, di incontri, di approfondimenti che hanno questo tipo di taglio.
Conclusione: il futuro del nostro lavoro:
Il cambiamento di don Mario alla direzione della pastorale sociale è una sorpresa, crea un vuoto, ma su questi punti la pastorale giovanile va avanti tranquilla, cioè su questo problema cercheremo di non venir meno agli impegni che ci siamo presi, sia per il Progetto Policoro sia per il nostro gruppo "giovani e lavoro" che continuerà. Abbiamo già fissato degli incontri futuri, il che ci permetterà di andare avanti in questa prospettiva, siamo sicuri che chiunque verrà scelto a condurre questo ufficio lavorerà dentro questa prospettiva.
L'anno prossimo faremo questo seminario nella nuova casa e la tematica potrebbe essere un approfondimento dei percorsi suggeriti e dei corsi per l'evangelizzazione che stiamo svolgendo nel progetto Policoro. Questi corsi sono stati preparati da quella filiera di associazioni di cui vi accennavo prima. Si coglie quindi che un po' alla volta i tasselli vengono composti in una ampia progettualità: non siamo all'anno zero nel presentare il protagonismo giovanile nel campo del lavoro, abbiamo una strada e questa strada va assolutamente approfondita e seguita.
Evidentemente non abbiamo continuato a lagnarci della difficoltà di aggregare i giovani lavoratori. In questi 5 anni abbiamo visto che quando ci si mette, qualcosa si smuove. Quando sei convinto che da quella parte lì c'è fede in Dio, c'è possibilità di dialogo, c'è una voglia di