UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

I Rapporti di reciprocità: scambio di doni tra le Chiese

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15 Dicembre 2000

erazione sono uno strumento e una forma di collaborazione diretta tra le chiese, hanno una loro validità del tutto particolare. Infatti la cooperazione tra le chiese rende concreto e fattibile lo scambio di doni. Dare e ricevere per non chiudersi in se stesse. Lo scambio intra-eclesiale quale frutto concreto di quella comunione universale che Cristo garantisce alla chiesa con la sua presenza. Ma tutto questo orientato in vista di una comunità umana più interdipendente e solidale (cf. SrS). La reciprocità aiuta a non trascurare: un'attenzione al contesto ecclesiale; - allo stile di vita, alle tradizioni della singola realtà - al dialogo con le autorità diocesane - a una sinergia pastorale che si esprime in chiese che si riscoprono "sorelle" - … e si aprono alle gioie, speranze, difficoltà e problemi della gente (GS 1) - … del Nord come del Sud del Paese.
La sfida che ci sta di fronte è soprattutto: - riconoscere, scoprire, seminare speranza - ancorarla a progetti concreti di comunione effettiva, non solo declamata - sostenere chi vive una povertà perché anche da essa provenga un dono a chi apparentemente ha di più.
Il dopo Giubileo va visto prioritariamente come una capacità di rendere permanente qualche segno esigente che si mette in atto insieme: dal Giubileo al dopo-Giubileo…Per rimotivare teologicamente e pastoralmente la reciprocità quale espressione della cooperazione fra le chiese
Un'immagine introduttiva si può cogliere nello "scambio di doni" descritto da san Paolo nella chiesa primitiva. Scrive: "Per il momento vado a Gerusalemme, a rendere un servizio a quella comunità; la Macedonia e l'Acaia infatti hanno voluto fare una colletta a favore dei poveri che sono nella comunità di Gerusalemme. L'hanno voluto perché sono ad essi debitori: infatti, avendo i pagani partecipato ai loro beni spirituali, sono in debito di rendere un servizio sacro nelle loro necessità materiali. Fatto questo e presentato ufficialmente ad essi questo frutto, andrò in Spagna passando da voi. E so che, giungendo presso di voi, verrò con la pienezza della benedizione di Cristo. Vi esorto perciò, fratelli, per il Signore nostro Gesù Cristo e l'amore dello Spirito, a lottare con me nelle preghiere che rivolgete per me a Dio, perché io sia liberato dagli infedeli della Giudea e il mio servizio a Gerusalemme torni gradito a quella comunità, sicché io possa venire da voi nella gioia, se così vuole Dio, e riposarmi in mezzo a voi. Il Dio della pace sia con tutti voi. Amen". (Rm 15,25-32).
Ci pare un significativo punto di riferimento per fondare quella comunione nella reciprocità che si attua appunto nello scambio di doni: dalla povertà della ricchezza si dona alla ricchezza della povertà. Potrebbe essere anche questo un modo per leggere in profondità quanto sta avvenendo con la scommessa unitaria del Progetto Policoro. L'espressione "scambio di doni" è una delle più ricorrenti in questa stagione ecclesiale ed è apparsa frequentemente nei sinodi continentali. Nell'orizzonte ecclesiologo di una chiesa communio ecclesiarum, questo scambio è uno "dei processi di recezione, sempre in atto in una chiesa, che è per sua natura una comunità di recezione". Ma di fatto questo processo può essere più o meno vitale: pensiamo che lo scambio tra le chiese del Nord e quelle del Sud d'Italia non abbia ancora raggiunto una sufficiente intensità. A ben guardare non bastano le dichiarazioni ed esortazioni sempre più frequenti.
Ci è stato chiesto un intervento che motivi "I rapporti di reciprocità" in questa breve relazione introduttiva. Certamente i rapporti di reciprocità vanno continuati e reimpostati. Al riguardo, proseguendo l'itinerario del Progetto Policoro, non abbiamo bisogno solo di trovare attività concrete, ma soprattutto di ridefinirne la portata pastorale e le conseguenze che ne derivano per le tre pastorali e per il progetto intero. Esperienze effettive di scambio fra le chiese sono ancora deboli. Le chiese del Nord Italia sono abituate a "donare" dalla propria ricchezza, ma le chiese potrebbero "ricevere" dalle altre ciò che all'interno del proprio travaglio di fede non riescono ancora a trovare. In quest'ottica occorre avanzare con il lavoro in sinergia sperimentato fra i tre ambiti CEI, che sta già portando a significativi passi in avanti: nella reciprocità e a servizio della speranza, oltre i tanti mali e le lamentazioni. Speranza, ma anche stanchezza e sfiducia, si potrebbe aggiungere, due tra i più frequenti atteggiamenti che percorrono la chiesa italiana. Policoro è stato un piccolo segno accesosi subito dopo Palermo; e ciò che ancora resta dopo quell'assise? Sta a noi far sì che la speranza venga rinvigorita e la sfiducia o stanchezza siano smentite.
Indubbiamente oggi la chiesa e la società civile (vedasi l'eclissi della settimana sociale di Napoli) sono in grande travaglio. La domanda ricorrente è: verso dove? In molti sono convinti che tale disagio si acuirà maggiormente finiti gli "ultimi sgoccioli del giubileo". Tuttavia è opportuno che ci si domandi anche da dove? Infatti la ricerca di nuovi cammini passa anche attraverso una riflessione su quanto si è fatto o sulle occasioni perse o non sapute cogliere (cf. il dopo convegno di Roma, 1976 ecc.). La società civile tende a stemperare i contenuti della tradizione o ad accettarli solo se non contraddicono le sue prospettive. In tale contesto spesso la chiesa stessa mette in "archivio" questi contenuti e talvolta rischia pure di tradirli. Di estrema attualità e ancora non risolta permane la diagnosi presente in Redemptoris missio (n. 33, del 7 dicembre 1990), un aspetto che ci riguarda da vicino è quello proprio dei "paesi di antica cristianità, dove interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della fede, o addirittura non si riconoscono più membri della chiesa, conducendo un'esistenza lontana da Cristo e dal suo vangelo. In questo caso c'è bisogno di una "nuova evangelizzazione" o "rievangelizzazione" (33)".
E questa la situazione nella quale ci riconosciamo un po' tutti. Non viviamo in un mondo totalmente secolarizzato (come accade invece in altri paesi d'Europa.... Olanda: vedi questione eutanasia ecc...). Tra le nostre chiese convivono piuttosto ambienti vitali diversi, sperimentiamo la fatica di mettere insieme lo sforzo pastorale per i cosiddetti vicini con l'attenzione e l'impegno per "i lontani". E dunque difficile parlare anche ai giovani come di un'unica categoria, la nostra, dunque, non potrà più essere una pastorale di massa, di grandi iniziative offerte a tutti; è una pastorale che esige un forte presenza di laici capaci di conoscere e radicarsi nei diversi ambienti. Policoro trova qui la sua genesi. Dopo l'assise della Chiesa a Palermo, che aveva l'obiettivo di riflettere e interrogarsi per aiutare i credenti che vivono nel Paese a portare un contributo al rinnovamento della società in Italia. Policoro è il tentativo di sperimentare insieme e con umiltà, strade nuove e soluzioni inedite.

Evangelizzare ancora
* "La missione è un problema di fede, è l'indice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi". Perché giocarsi sulla missionarietà? Perché "in Cristo siamo liberati da ogni alienazione e smarrimento, dalla schiavitù al potere del peccato e della morte. "Cristo è veramente la nostra pace" (Ef 2,14) e "l'amore di Cristo ci spinge" (2Cor 5,14) dando senso e gioia alla nostra vita" (RM, n.11). Ecco qui la radice di tutto. Tutto ciò che possiamo dire sulla reciprocità, evangelizzazione (con un termine più secolare e comprensivo: comunicazione), ha senso solo se nasce dalla gioia della fede. Perciò, dove non c'è comunicazione (apertura), dove non c'è missionarietà, non c'è la gioia della fede, manca o è scarsa la coscienza della fede. * In gioco è l'evangelizzazione: At 3,1-10. Dunque una prima domanda: che cosa della tradizione abbiamo messo in deposito e che cosa ci potrebbe aiutare oggi? * Reciprocità richiama cooperazione: La cooperazione in vista dell'evangelizzazione impegna tutti i cristiani. La cooperazione fa sì che si realizzi in spirito di comunione ecclesiale il raggiungimento di questo fine con efficacia. Cooperare in questa avventura con tutta la chiesa che vive in Italia, chiamata a impegnarsi in questo mandato. Cooperare esprime la partecipazione delle comunità ecclesiali alla realizzazione di un progetto. Dunque cooperazione quale frutto "di questa intesa" che apre le chiese alla responsabilità di formare la "comune - unione". La cooperazione, attuata in spirito di comunione, diviene partecipazione alla stessa comunione del Padre (Trinità), crea un rapporto di unità interiore e di comunicazione fra le chiese particolari, tra tutti i cristiani delle singole chiese. La cooperazione fra le chiese diventerà un segno di evangelizzazione nel paese.
Esiste un rapporto di unità interiore e di comunicazione fra le chiese particolari, tra ognuna di esse e la chiesa italiana e tra i membri del popolo di Dio. Questa comunione se vissuta in una prospettiva di reciprocità concreta, realizza così un inter-scambio di carità ecclesiale e di dinamismo missionario. Diviene una qualità essenziale nel coinvolgere e raggiungere l'uomo concreto nel suo contesto vitale. Dunque, anche oggi si deve poter dire delle comunità cristiane, impegnate nel proprio territorio, che agiscono con "un cuor solo e un'anima sola" (At 4,32). *Lo scambio intra-ecclesiale è un cammino di maturazione che porta a "cooperare alla missione" potrebbe essere una pista su cui ripartire dopo l'evento giubileo? Si tratta di incoraggiare questo scambio ecclesiale, frutto concreto di quella comunione universale che Cristo garantisce alla chiesa con la sua missione operante.

Dalla comunione-mistero all'effettivo "scambio dei doni"
Anche la chiesa italiana deve interrogarsi con decisione sul posto dei poveri, i propri e quelli del mondo, nella sua nuova evangelizzazione; sembra esserci una certa resistenza ecclesiale a considerare anche la nuova evangelizzazione come "evangelizzazione dei poveri"; il giovane disoccupato, chi non trova lavoro, dove li collochiamo nella "ecclesia"? Che tipo di relazioni potenziare? Si debbono incoraggiare azioni forti e sul piano della promozione umana, o si deve privilegiare lo stile della presenza "nazarena" nella debolezza e nell'efficacia evangelica dei mezzi poveri? E quanto già avevano intuito i vescovi italiani nel noto documento: La Chiesa italiana e le prospettive del paese. * Potenziare le relazioni con caratteristiche creative e dinamiche. Un mutuo scambio di esperienze e di iniziative, sarà di vantaggio all'opera di evangelizzazione della intera chiesa italiana. Uno stile che rafforza i vincoli, non solo tra varie chiese, ma anche all'interno della stessa comunità ecclesiale locale. * Reciprocità come scambio di doni tra le chiese: E necessario che maturi in tutti la coscienza che si coopera all'evangelizzazione non solo nel dare, ma anche nel saper ricevere. Tutte le chiese particolari sono chiamate a dare e a ricevere per una missione comune e nessuna deve chiudersi in se stessa evitando forme diversificate di particolarismo, esclusivismo o comunque sentimenti di autosufficienza. I gemellaggi per la coop