UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

I destini del lavoro e i destini dei lavori

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23 Giugno 2000

oro. Il compito di questa rete è quello di difendere da frodi e soprusi, garantire un'assicurazione efficiente contro il rischio di povertà per vecchiaia o invalidità, una ragionevole sicurezza in caso d'interruzione o perdita del lavoro, una copertura per la malattia ed infortuni e una rete di canali di formazione e informazione per garantire a tutti le stesse opportunità. I destini del lavoro e dei lavoratori passano attraverso i moduli della flessibilità, interrogarsi su questo al tempo della globalizzazione dell'economia e dei mercati, della fabbrica esternazionalizzata della flessibilità della produzione e del lavoro, affida a tutti gli operatori nel sociale grosse riflessioni ed a noi, a maggior ragione, nel momento che ci rivolgiamo a dei soggetti per camminare con loro su un percorso di fede. I cambiamenti che abbiamo davanti sono destinati nel breve e medio periodo a modificare gli equilibri della stessa struttura sociale e impongono un ragionamento su tali cambiamenti e sul governo degli stessi. La grande sfida delle trasformazioni del lavoro è ricentrare le tutele e le esigenze del lavoratore come soggetto. Vediamo alcuni dati: su 26.422.000 di lavoratori 21% autonomi 41% lavoro dipendente 19% lavoro non regolare 12,9% lavoro dipendente pubblico in questo contesto: oltre il 60% delle assunzioni sono a termine, aumentano le collaborazioni coordinate continuative, molte volte mascherando figure e mansioni di lavoro dipendente e (1.500.000 posizioni) oltre 37% donne e giovani sono circa il 25%.I soci di cooperativa di produzione circa 300.000 persone. Il lavoro interinale, infine, rappresenta la più recente e controversa modalità di lavoro flessibile(dati). Altra considerazione è sulla struttura professionale dell'occupazione circa un quarto dei soggetti che sono entrati nell'anno al lavoro sono state offerte mansioni lavorative generiche, non richiedenti titoli o qualificazioni specifiche. Il mercato del lavoro sommerso italiano risulta il primo in Europa ed in tendenziale aumento incide ma sul PIL 25,8%. Rapporti di lavoro "atipici", "flessibili", "precari"... In modo forse semplicistico e improprio, sono stati definiti come 'atipici' tutti quei rapporti di lavoro, più o meno nuovi, che si sono moltiplicati nel corso di questi ultimi anni. La definizione è stata attribuita ad un insieme molto variegato di rapporti di lavoro, che hanno un'unica caratteristica comune, cioè di essere diversi dal tradizionale e 'tipico' contratto di lavoro tutt'altro che omogenea. In cui prevalgono nettamente le differenze. Queste si esprimono sia per la gran varietà delle qualificazioni interessate, dalle più elevate ai lavori più dequalificati, sia per le diverse tipologie e condizioni di questi rapporti di lavoro. Pertanto in quest'ambito si possono comprendere sia i rapporti di lavoro dipendente che hanno un termine definito (es: contratti a termine, formazione lavoro, apprendistato, ecc.) o che hanno un orario di lavoro inferiore a quello contrattuale (es: part time). Ma anche i rapporti di lavoro 'para subordinati', o meglio rapporti di 'collaborazione coordinata', per i quali non c'è ancora una definizione giuridica e contrattuale (per il momento esistono solamente regole fiscali e contributive). Per questo, in assenza di una qualsiasi normativa, si prestano ad essere utilizzati per nascondere veri e propri rapporti di lavoro subordinato, senza le tutele giuridiche e sindacali dei lavoratori dipendenti. Un'altra forma di rapporto di lavoro, legato alle logiche degli appalti e subappalti delle imprese, è quello delle cooperative di produzione lavoro. Anche in questo caso si tratta di un rapporto di lavoro che presenta molti aspetti discutibili, che è alimentato dalla mancanza di regole e di tutele adeguate per i 'soci lavoratori', le figure di riferimento delle cooperative. Le principali cause che hanno portato al progressivo sviluppo di questi rapporti di lavoro, sono legate alla crescita della competizione e alle conseguenti trasformazioni in atto nel mondo delle imprese, come ad esempio, le tendenze, dimostrate da molte aziende, nello sviluppare strategie di esternalizzazione di parti del processo produttivo. Queste cause si possono brevemente sintetizzare in tre punti: * La crescente ricerca di flessibilità intesa come possibilità di adeguare rapidamente la quantità e la qualità del lavoro alle mutevoli esigenze del mercato. In questo ambito si possono collocare i contratti a termine, alcune forme di part time, il lavoro interinale e alcune forme di lavoro autonomi e parasubordinato. * La possibilità di costruire figure professionali adeguate alle innovazioni tecnologiche e organizzative, che le aziende hanno sempre più difficoltà a reperire sul mercato del lavoro. In questa tipologia, l'esempio più evidente è quello dell'apprendistato. * Il minor costo di lavoro, derivante dalla legislazione e dalla contrattazione, insiti nella maggioranza di questi rapporti di lavoro. Infatti, da una parte la legislazione consente oneri contributi ridotti per le imprese che assumono contratti di formazione lavoro e apprendisti: dall'altra le assunzioni di giovani precari ai livelli più bassi di professionalità, spesso in sostituzione di lavoratori più anziani con retribuzioni più elevate, comportano evidenti vantaggi per le imprese in termini di rapporti contrattuali e di costi. In questo ambito si possono collocare quasi tutte le tipologie dei rapporti atipici, tranne il lavoro interinale. Toccare tutti gli aspetti della realtà, dai cambiamenti nel contesto macroeconomico alle ripercussioni sui lavoratori e sulle famiglie, che guida nella valutazione etica e nel discernimento di fede, con il confronto con la Parola di Dio e con la dottrina sociale della Chiesa, e che non può terminare senza dare indicazioni sociali e personali che indirizzino l'azione del cristiano nel suo impegno per realizzare una società più giusta. Per molti (giovani e non solo) il lavoro non è una scelta professionale, un modo di realizzarsi, un luogo dove si spera di passare una vita lavorativa. Oggi per molti il lavoro è un modo per mettere da parte dei soldi, non interessa il posto fisso eterno, ma una buona paga nell'immediato. Anche il fatto di avere un famiglia da mantenere non impedisce di scegliere di licenziarsi per cercare qualcos'altro, un lavoro meno duro, più soldi. Ciò avviene anche perché oggi la vita è cara, per vivere 'normalmente' servono parecchi soldi. Spesso l'esigenza di un maggior reddito porta anche la donna alla ricerca di un lavoro, anche se è poco tutelata sul posto di lavoro, in caso di maternità rischia il posto oppure al ritorno è destinata a lavori più ingrati o a blocchi di carriera. Essa è inoltre impegnata tutto il giorno ed il tempo destinato alla famiglia è ridotto al minimo, il famoso part time è poco applicato se non niente affatto. Comunque è cambiata la concezione del lavoro subordinato: un lavoratore dipendente si dovrebbe trasformare in piccolo imprenditore, con salario variabile sulla base dei programmi e obiettivi da raggiungere. Adeguarsi ai nuovi metodi di lavoro, alle incentivazioni, agli obiettivi da raggiungere significa ridurre la qualità della vita. Mettere i lavoratori gli uni contro gli altri, ridurre la solidarietà. Il modo di lavorare è cambiato in peggio. Inoltre non vi è coinvolgimento e partecipazione diretta del lavoratore nell'impresa; chi dirige decide, fornisce tutti gli imput, gli altri devono solo eseguire senza intervenire nell'organizzazione. Un'altra considerazione è stata quella che oggi alcuni giovani si inventano un lavoro, non di quelli 'da milioni di dollari', ma quei lavoretti autonomi e spesso sotto pagati, non tutelati, fantasiosi e raramente redditizi. Ad esempio pulitori di tappeti a domicilio! La grave situazione della disoccupazione, specie al Sud, dei giovani in particolare, ma anche dei cinquantenni espulsi dal mondo del lavoro e con scarse possibilità di trovare un altro lavoro, riguardo le statistiche, secondo cui ad esempio il tasso di disoccupazione in Italia è del 12,5%, negli USA è del 5%, in Gran Bretagna è del 6% ecc. Dicono il vero? Queste situazioni sono confrontabili? E' vero che in quei paesi si considerano lavoratori anche i precari o chi fa solo due ore di lavoro alla settimana? Sono modelli da copiare? Anche le ultime e non originalissime considerazione sulla povertà, che ormai rischia di coinvolgere molte categorie di lavoratori regolarmente impiegati, ci inducono a riflettere ad essere preoccupati. Si cerca di creare nuova occupazione tramite una maggiore mobilità del lavoro, che significa è part time, lavoro in affitto, formazione lavoro, lavoro a tempo determinato. Questi lavori sono precari, devono essere spesso cambiati, non si conciliano con una maggiore qualità della vita. Anzi, la mobilità costringe il lavoratore a riciclarsi e rinnovarsi, chi ha una preparazione di base o chi è attivo o chi svolge lavori di un certo livello ha meno difficoltà a cambiare professione e metodo di lavoro, sono in difficoltà i lavoratori che svolgono lavori ripetitivi o quelli più anziani. Spesso, sia nel settore pubblico sia in quello privato, invece di ricorrere a nuove assunzioni si preferisce dare lavoro a prestazione professionale. Il lavoro, elemento e condizione essenziale per il sostentamento della famiglia, sta subendo una trasformazione alla quale è difficile assuefarsi. Il posto fisso sembra che non ci sarà più e sempre più spesso si sente parlare di mobilità. Questo non giovani alla formazione e al consolidamento delle famiglie. I primi ad essere estromessi o a non entrare nel processo produttivo sono i portatori di handicap che, nonostante le leggi, vengono emarginati e lasciati senza lavoro. Molto numerosa è anche la fascia di giovani che, per limitate capacità, è ai margini del mercato del lavoro. Sono chiamati 'drop-out' e non c'è nessuna norma o intervento legislativo che ne favorisca un inserimento nel mondo del lavoro. La massiccia immissione di tecnologia nelle aziende, che dovrebbe far ridurre l'orario per destinare maggior spazio al tempo libero (famiglia, hobby, volontariato...) e offrire maggiori opportunità di impiego a chi non ne ha, non crea posti di lavoro, anzi questi diminuiscono con l'aumentare del progresso tecnico. La maggiore produttività non viene utilizzata per ridurre l'orario. L'ambiente di lavoro sta peggiorando in diverse aziende in quanto non è più oggetto di interventi come in passato, a seguito dei costi che si devono sostenere. Anche la sicurezza sul lavoro è messa in secondo piano. Sono aumentate le malattie derivanti da ritmi di lavoro impostati per raggiungere una produttività sempre maggiore, aumentano gli infortuni sul lavoro. Anche il lavoro nel settore pubblico sta subendo notevoli cambiamenti. Da qualche tempo i destinatari dei servizi pubblici non sono più gli utenti, ma sono diventati i clienti, nel senso che ciò che conta non è il servizio, ma lo scambio. Nonostante si lavori molto di più rispetto al passato, il settore pubblico continua ad essere visto in modo critico come inefficiente rispetto a quello privato, che viene considerato più produttivo e valido. Per concludere possiamo dire che nei lavoratori atipici si ritrovano quattro dimensioni di problemi d'insicurezza sul lavoro: * incertezza nella continuità della relazione fra datori di lavoro e lavoratore; * scarsa capacità di controllo e di sorveglianza sulle condizioni di lavoro; * la ridotta protezione legale e sociale; * la modestia dei livelli salariali. La domanda finale si può essere oggetti flessibili in un'impresa e nel mercato del lavoro, nel contempo essere soggetti fedeli e partecipativi nel proprio lavoro, in possesso della necessaria autonomia di muoversi da posto a posto per migliorare la propria condizione di lavoro e di vita sociale? Servono in questo caso, e se si, quali regole e opportunità, tutele e occasioni di promozione? Si tratta di accogliere il nuovo per quello che è, aiutandone il transito dall'autonomia individuale a quella collettiva, dalla clandestinità e dalla subalternità alla cittadinanza. Nell'immaginare un nuovo scenario di tutela bisogna costruire una rete di protezione generale da estendere a tutti coloro che vivono del proprio lav