UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Giovani e lavoro: provocazioni, sfide ed opportunità per relazioni di giustizia

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21 Ottobre 1999

luogo in cui si sperimenta questo tipo di rela zione. Nessun luogo è automaticamente e di per sé luogo che crea relazioni di giustizia! Un'opportunità per far sì che nei luoghi di lavoro si realizzino relazioni educative di giustizia, è data, per esempio, dalle esperienze legate agli stages, alle forme di alternanza scuola lavoro, nelle quali la dimensione educativa si coniuga con quella espressamente lavorativa, almeno per un tempo limitato. Credo vada rilanciata l'opera di mediazione culturale che può essere svolta da soggetti collettivi, movimenti e associazioni, e che avvengano in una fase precedente all'ingresso o post-ingresso sul lavoro. In particolare, inviterei a riflettere sul pre-ingresso al lavoro, soprattutto se facciamo riferimento al tema delle transizioni di cui più sopra abbiamo riferito. Quindi, è necessario incoraggiare e sostenere la possibilità per i movimenti e le associazioni di lavorare approfonditamente su questo tema, per contribuire alla realizzazione di relazioni educative.

1. La prospettiva dell'intervento
Il tema che mi è stato richiesto non ha molti agganci nell'esperienza di carattere sociologico, cioè in ricerche fatte su questi temi. Sono costretto, quindi, a muovermi fra la sociologia e altre prospettive di analisi che mi hanno macerato non poco nella preparazione di questo intervento. Come accade in simili occasioni, la prima operazione da fare è quella di tracciare dei confini, per cui dirò subito le prospettive che non svilupperò nella riflessione sul tema delle relazioni di giustizia. Non lo affronterò, infatti, dal punto di vista delle politiche del lavoro che poteva certamente essere un valido approccio, particolarmente in un momento in cui stanno entrando nella legislazione dei provvedimenti, come ad esempio il lavoro interinale o il part-time, che modificano gli assetti consolidati e che comunque hanno un impatto sulle relazioni di giustizia. Ugualmente non affronterò la questione sotto il profilo della transizione dalla scuola al lavoro che poteva essere un'altra angolatura interessante. Svilupperò, invece, l'argomento dal punto di vista dei soggetti, cioè delle giovani generazioni e, in particolare, tenterò di proporvi un'analisi che ha come angolo di visuale i significati che le giovani generazioni attribuiscono alle relazioni e al lavoro.
2. Le relazioni di giustizia come relazioni educative
Rispetto al titolo "Giovani e lavoro: provocazioni, sfide ed opportunità per relazioni di giustizia", procederò dal termine relazione di giustizia sul quale vorrei soffermarmi. Questa locuzione, "relazione di giustizia", la declino come "relazioni di tipo educativo che mirano a costruire la persona nella sua interezza", quindi parlerò più spesso di relazioni educative che non di giustizia perché questo, appunto, è il significato che ho attribuito all'espressione contenuta nel titolo. Tutti sperimentiamo come la dimensione della relazione sia assolutamente centrale nella vita, non solo delle giovani generazioni, ma di tutti, e vorrei prendere spunto da un paio di esempi di cui facciamo esperienza quasi quotidianamente. Quando si telefona, per esempio, a qualche Ente o Azienda, generalmente rispondono giovani donne: "Buongiorno sono Roberta, posso fare qualcosa per lei?" La risposta lascia un po' di imbarazzo, però è indicativa perché ti mette immediatamente in relazione. Pensate ad un'altra esperienza che è quella della interattività: i computer sono sempre più dialoganti e interattivi; alla radio e alla televisione le trasmissioni hanno un pubblico crescente che partecipa in diretta, in una sorta di comunicazione biunivoca. Ci sono, poi, i cellulari che sono una sorta di relazione diffusa che possiamo avere in qualsiasi punto e in qualsiasi momento. In altri termini possiamo dire che siamo così immersi nella relazione, al punto che a volte abbiamo timore a rimanere soli o anche solo ad avere la sensazione di esserlo. Questa non è assolutamente una novità, perché le relazioni, ovviamente, esistevano anche prima, però erano più definite, più circoscritte. Possiamo così proporre alcuni indicatori che servono a descrivere le relazioni di oggi rispetto a quelle di un tempo passato, anche se sovente si tratta, prevalentemente, di una diversa misura o incidenza dei medesimi. Un tempo le relazioni erano relazioni pesanti, ben circoscritte, perché le identità delle persone erano molto più chiare, i ruoli ricoperti erano netti: il padre, la madre, il maestro, il sacerdote... Le relazioni educative, poi, erano verticali: c'era il docente e il discente, il maestro e il discepolo, per cui la relazioni intesa come relazione educativa era una trasmissione di valori, per così dire dall'alto. Di più, le relazioni erano stabili e circoscritte. Tendenzialmente stabili nel tempo e circoscritte all'ambito di appartenenza della propria classe sociale, le relazioni si sviluppavano all'interno di mondi omogenei ed avevano anche dei luoghi fisici definiti: la parrocchia, il luogo di lavoro... Se prima erano omogenee, oggi, le relazioni sono molteplici e contrassegnate dalla molteplicità. Ognuno di noi ha una pluralità di appartenenze a mondi diversi e quindi sperimenta, in misura crescente, la condizione del pendolarismo passando attraverso diversi mondi e diversi tipi di relazione, al punto che l'ipotesi che formulo - non ancora suffragata da ricerche - è che questo spostarsi riduca il luogo fisico della relazione alla relazione in sé. E crescente, infatti, l'esperienza, fra le giovani generazioni di partecipare a più compagnie contemporaneamente, perché c'è l'amico, l'amica o gli amici del cuore che frequentano diversi ambiti. Di conseguenza, non conta più dove ci si trova o con chi si è, se non con quelle persone con cui si è legati, e quindi è come se il luogo, lo spazio fisico della relazione, fosse nella relazione stessa fra queste persone. Si assiste così ad una sorta di astrazione anche dai luoghi. Le relazioni sono caratterizzate dalla discontinuità e dalla rapidità. Si hanno relazioni continue, molto rapide e veloci. Ancora, se quelle educative, prima erano tendenzialmente verticali, oggi tendono ad essere orizzontali, e quindi i valori non vengono più trasmessi, ma, in qualche modo, negoziati: è un po' come se fossero tutti sullo stesso piano orizzontale. Infine, se prima le relazioni erano pesanti oggi sono leggere, contrassegnate dalla leggerezza, perché appunto sono molteplici, diffuse e quindi non possono non essere tali. Ne consegue che parlare, oggi, di costruzione di relazioni significative, cioè di relazioni educative, di giustizia, nei termini in cui l'abbiamo definita, è assolutamente più complicato rispetto ad un tempo. Perché oggi la relazione richiede che ci siano almeno due soggetti che siano significativi l'uno per l'altro, significativi sotto il profilo affettivo, emotivo e della comunicazione, e di una comunicazione dotata di senso. Ecco perché la costruzione di una relazione significativa, di una relazione di giustizia diventa una sfida per l'educatore, chiunque esso sia, padre, madre, animatore, insegnante, perché, in primo luogo, per essere significativi l'uno rispetto all'altro, viene richiesta un'autorevolezza che dev'essere conquistata. Nessuno più è autorevole di per sé, ma l'autorevolezza dev'essere conquistata quotidianamente perché non rimane stabile nel tempo. Come genitore, come padre, ad esempio, non sono autorevole agli occhi dei miei figli, perché sono il padre, ma lo sono nella misura in cui riesco ad entrare in comunicazione con loro e questa autorevolezza non è data per sempre, ma è una fatica che viene costruita nel tempo continuativamente, e continuamente rimessa in discussione. Capite bene, quindi, perché questo diventa un lavoro oneroso, difficile, che richiede risorse rilevanti. La comunicazione, a sua volta, non è data una volta per tutte, ma va ricostruita assegnando il medesimo valore all'oggetto di cui discutiamo perché, se non stabiliamo un codice di comunicazione reciproco, non entriamo in comunicazione. Inoltre si tratta di stabilire una vera e propria empatia, anche sotto il profilo affettivo ed emotivo, che è quello che identifica maggiormente le giovani generazioni. Quindi, il ruolo docente-discente diventa sempre più difficile e va costruito all'interno della relazione. Però, costruire questo tipo di relazione, significa anche porre dei confini, delle distinzioni per non correre il rischio della orizzontalizzazione dei rapporti.
3. I significati del lavoro nella cultura giovanile
Se questo è il quadro di fondo sul tema della costruzione della relazione, cerchiamo, ora, di comprendere perché le relazione educative legate al lavoro hanno una loro complessità. Affrontare questo tema, non può prescindere dal prendere in considerazione quali sono i significati che le giovani generazioni attribuiscono al lavoro. A questo riguardo ci sono alcuni esiti delle ricerche svolte, che ci possono essere utili. Il primo concerne il fatto che, per la grande maggioranza dei giovani, il lavoro è una dimensione centrale, importante, ma ha un valore relativo, perché viene messo al pari di altre dimensioni della vita, come la famiglia, gli amici, il tempo libero e via dicendo. Quindi, il lavoro ha una primazia relativa. Seconda acquisizione a proposito dei giovani lavoratori: la soddisfazione del lavoro è assolutamente elevata nonostante le condizioni o il tipo di lavoro svolto. Possono essere anche apprendisti o lavoratori nelle botteghe, comunque in generale, sono per lo più soddisfatti e contenti del loro lavoro e - mi viene spontaneo dire - non potrebbe non essere così, anche se sono consapevoli che sul lavoro subiscono delle frustrazioni. La terza acquisizione riguarda i loro orientamenti in termini di giustizia sociale, legata al lavoro. Su questo aspetto, in particolare, mi soccorre una ricerca nazionale fatta proprio sui temi dei giovani e lavoro e della flessibilità, che abbiamo appena terminato di condurre, all'interno della quale abbiamo posto alcuni quesiti legati al tema della giustizia sociale connessa al lavoro. Abbiamo così tratto degli orientamenti di valore, espressi da un campione nazionale di giovani fra i 15-29 anni, che vi presento in assoluta anteprima. In generale, l'opzione di tipo ugualitarista e solidarista tende a scomparire. Per darvi una misura del fenomeno, fra i giovani manifestano orientamenti di tipo egualitarista e solidarista, poco più di un soggetto su dieci. All'opposto, un altro decimo è dato da quelli che abbiamo definito i "darwinisti", quelli per cui nella società ci dovrebbe essere una sorta di selezione naturale. La maggioranza si divide - poco più di 1/3 per ciascuna - fra due opzioni molto vicine tra di loro; sono quelli che abbiamo chiamati gli "equi-liberal cioè coloro che manifestano, contemporaneamente, una visione meritocratica dei rapporti sul lavoro - per esempio chi sa di più dev'essere pagato di più - e un orientamento di equità sociale, affermando, per esempio, che in partenza tutti dovrebbero avere pari opportunità. L'altro terzo che rimane è costituito dai "meritocratici", quelli che in maniera più esplicita rispetto alle diverse opzioni, sostengono che il merito prevale su tutto. Quindi le eredità di carattere solidaristico e ugualitarista post '68 si sono sostanzialmente spente, e a queste sono subentrate posizioni che sono tendenzialmente fra il meritocratico e il liberal. Però il fatto che ci sia un decimo dei giovani fra i 15-29 anni espressamente concordi con un'opzione di tipo "darwinista" non può non far riflettere.
4. Le culture giovanili del lavoro e le sfide educative per relazioni di giustizia
Esaminiamo, ora, quali sono i significati attribuiti al lavoro, in senso più stretto, sapendo che, anche su questo aspetto, ci muoviamo in una sostanziale assenza o carenza di analisi su come si sono trasformate le culture del lavoro. Infatti, passata "la sbornia" degli anni 60 -70 in cui c'era un'idea e un'ideologia del lavoro, scomparsa la classe operaia che incarnava quelle idee e ideologie, il lavoro si è frammentato e, attualmente, siamo privi di una riflessione articolata sul lavoro in senso generale e soprattutto sulle culture legate al lavoro. Ciò non di meno proviamo a proporre alcuni azzardi, alcuni abbozzi. Il primo significato che vorrei mettere in evidenza riguarda il tema dell'identità e della identificazione. Il lavoro rimane ancora una risorsa assolutamente centrale nella costruzione della propria identità e per converso, le ricerche fatte sui disoccupati, confermano che è difficile costruire un' identità in assenza del lavoro. Quindi, al di là di tutto, ancora oggi il lavoro è una dimensione assolutamente centrale per dare una risposta a quella domanda molto semplice, ma altrettanto complessa, che è: "Chi sono io?". Inoltre il lavoro rappresenta un fattore di distinzione e di riconoscibilità nei confronti degli altri e quindi serve a me per la mia identità ma anche agli altri per riconoscermi, per sapere chi sono io. In un contesto in cui le dimensioni valoriali sono assolutamente scompaginate e pluralizzate, il lavoro, a mio parere, rappresenta ancora oggi una buona opportunità per tenere insieme identità che sono sottoposte a continue sollecitazioni. In altri termini, il lavoro, proprio perché occupa gran parte del tempo, sia in termini di orari quotidiani che, complessivamente, nell'arco di tutta l'esistenza, rappresenta un buon punto di partenza per mettere insieme gli altri tasselli della vita. Certamente non è l'unico, ma comunque è un elemento assolutamente stabile, o forse lo era, perché si stanno sempre più introducendo norme legate alla flessibilità, alla precarietà e ai cambiamenti. Dall'indagine svolta, infatti, emerge che la metà dei giovani lavoratori interpellati ha già cambiato almeno un lavoro. Quindi, se anche questo tassello di vita diventa flessibile e sottoposto a continui cambiamenti, in che misura può continuare a rappresentare un tassello fondativo della propria identità? Per affrontare questo interrogativo, assumo un'ottica ambivalente, in quanto la risposta dipende dal modo con cui la persona si trova a percorre questi cambiamenti: se è dotata di risorse, queste sfide possono essere interessanti e positive, al contrario, se ne è priva o è carente, rischiano di essere dei bivi pericolosi. A questo proposito la sfida fondamentale è quella educativa e consiste nel riuscire a costruire delle identità che abbiano un minimo di stabilità in questi nuovi contesti. L'identità non è un qualcosa di stabile, ma piuttosto un qualcosa che si racconta e, se posso usare una metafora, è come un album personale di fotografie. Quando lo sfogliamo, le fotografie segnalano le diverse tappe della nostra vita. Costruire una relazione educativa, in questo senso, significa riuscire a fare delle fotografie e saperle incollare bene sull'album, in modo tale da rivedere i nostri percorsi e riuscire a raccontarci attraverso le diverse immagini. Il rischio opposto è quello di interpretare l'identità come un videotape; si gira, però, quando non ci va più bene, possiamo registrarci sopra perdendo il proprio percorso. Un altro significato attribuito al lavoro è quelle dell'acquisizione di uno status che è contemporaneamente simbolico e sociale. Simbolico perché attraverso il lavoro possiamo acquisire alcune dimensioni, come l'autonomia, la gratificazione, la capacità di dare un senso a ciò che si fa. Tutte dimensioni non banali, perché, diventano risorse fondamentali per sapersi muovere in un mercato del lavoro che è molto più instabile rispetto a pochi anni fa. L'autonomia, il far da sé, il sapersi organizzare, quindi, sono tutte dimensioni positive. Però, solitamente, questo tipo di status simbolici - autonomia, gratificazione ecc. - vengono declinati più spesso nell'ambito extra lavorativo, per esempio, nel consumo. Valorizzando la dimensione extra lavorativa, invece che quella lavorativa, si depotenzia ciò che dal lavoro si può ricavare in questi termini e così possiamo anche capire perché, chi ne ha fatto le spese, sia stato soprattutto il lavoro operaio, il lavoro manuale, che oggi ha perso di status e di considerazione sociale, non solo nell'ambito del lavoro industriale, ma più ancora nell'ambito del terziario e dell'assistenza, dove i lavori manuali si sono estesi. Bisogna osservare, però, che manca anche una riflessione legata a queste dimensioni rispetto ai lavori di responsabilità o imprenditoriali, cioè di come viene declinato il termine di autonomia e di gratificazione anche in questi lavori. Il campo è assolutamente aperto a questa riflessione e sono tutte sfide che devono essere affrontate. Anche l'acquisizione di uno status sociale è entrata in crisi perché, in questi anni, si è indebolito il legame sociale che era connesso all'essere lavoratore e, in particolare, all'appartenenza, ad un gruppo di lavoratori. Oggi questa dimensione sembra essere declinata maggiormente sul versante soggettivo, individuale, e questo comporta una dimensione "positiva", ma anche una problematica. Quella positiva riguarda il fatto che è aumentato il livello di consapevolezza dei singoli verso la propria condizione, dall'altro lato, però, poiché la declinazione è più sul versante soggettivo e individuale che collettivo, sono aumentate le domande di rappresentanza e di tutela di tipo individuale, mentre diminuiscono quelle collettive. Questo, naturalmente, pone seri problemi al tema della rappresentanza dei lavori o degli ambiti di lavoro. In questa prospettiva la sfida di tipo educativo consiste nel riuscire a costruire percorsi di condivisione a partire dalle specificità anche perché i lavori si sono segmentati, si sono moltiplicati, e le condizioni di lavoro, a loro volta, si sono moltiplicate e segmentate. Come è possibile, quindi, costruire percorsi di condivisione a partire da specificità? Infine, l'ultima dimensione, è proprio quella del valore del lavoro. Le pochissime ricerche di carattere intergenerazionale che possediamo, ci dicono che esiste una trasmissione dei significati intrinseci del lavoro. A cosa serva il lavoro, che il lavoro sia una fatica che esso serva alla propria famiglia, sono tutti significati intrinseci del lavoro che sembrano essere trasmessi di generazione in generazione. Esiste, quindi, una trasmissibilità di queste dimensioni. Quello che cambia, però, è il posto che il lavoro occupa nell'orizzonte dei valori, il livello di importanza che riveste e la relatività con altre dimensioni di vita. In particolare possiamo dire che le giovani generazioni sembrano esprimere un'idea del lavoro che è sempre meno legata all'idea del posto e sempre più all'idea del percorso di carriera professionale. Non è che i giovani non cerchino la stabilità del lavoro, però sembra prevalere questa idea che il lavoro sia assimilabile, appunto, ad un percorso. Si cambiano diversi lavori e, all'interno di ogni lavoro, si cerca di acquisire professionalità da spendere successivamente in un altro. A conferma di questo, sempre dall'indagine svolta recentemente, risulta che più di quattro su dieci giovani lavoratori interpellati dicono di considerare il loro lavoro certamente o quasi sicuramente provvisorio. Immaginare o percepire un lavoro in questi termini di provvisorietà, può essere un'opportunità educativa per aiutare i giovani a interpretare il lavoro come percorso, come la costruzione di un progetto. Al riguardo diventa cruciale il tema della transizione e del cambiamento, perché se si hanno delle risorse vengono vissuti bene, altrimenti no. Di conseguenza, il tema della socializzazione anticipatoria, cioè il saper provare prima il rischio e il cambiamento, l'acquisire abilità per affrontarli, diventano elementi di tipo educativo che oggi sono centrali.
5. Nuovi atteggiamenti per gli educatori a relazioni di giustizia
Come educatori, dobbiamo essere coscienti che, all'interno della categoria giovani lavoratori o giovani disoccupati, le condizioni sono assolutamente eterogenee. Sempre meno ci sono condizioni simili per vivere una medesima situazione e, come spero di aver fatto trasparire da questa comunicazione, le diverse sfide presentano sempre delle ambivalenze. Infatti, ogni declinazione che ho proposto sul tema presenta dei bivi che possono andare nella direzione di una relazione di tipo educativo di giustizia oppure nel senso opposto. Per illustrare questa realtà, ho predisposto questa tabella che cerco di illustrare brevemente.
Figure sociali
Livelli Disagio Debolezza Forti Individuale Dispersione Unitarietà Relazionale Isolamento Intimità Familiare Dipendenza, problematicità Autonomia Formativo Deficit culturale Sapere creativo Professionale Marginalità Iniziativa Territorio Emarginazione Integrazione Etico-valoriale Alienazione Ricomposizione Religioso Indifferenza Accoglienza

E uno schema aperto, proprio per evitare, anche all'interno dei giovani lavoratori o dei giovani disoccupati, di utilizzare delle categorie che, in qualche misura, ci aiutano a comprendere, ma che fissano eccessivamente rischiando di essere riduttive. Di solito siamo portati a pensare ai giovani che sono "a disagio" e ai giovani che stanno bene, mentre ho qui utilizzato tre categorie, anche se potrebbero essere molte di più. Immaginiamo un continuum che va dal disagio all'essere in una condizione di forza - nel senso di sapere utilizzare gli elementi di complessità - collocando, in mezzo, la condizione di debolezza. Nella tabella si trovano una serie di indicatori che vanno incrociati con le altre dimensioni: il bene individuale: se il giovane ha un'identità, se è in grado di dare delle risposte, di costruire una propria progettualità di vita; la dimensione relazionale: se è in grado di costruire rapporti con l'esterno, con gli altri oppure no; il livello familiare: se si ha alle spalle una famiglia problematica o no; il livello formativo: il tipo di percorso scolastico e formativo che ha fatto, se è stato bocciato, se ha abbandonato, quale "clima" viveva in classe; il livello professionale: quale tipo di inserimento ha vissuto nel lavoro, quali percorsi lavorativi ha fatto nel mondo del lavoro...; il livello del territorio: è integrato o no? a quali associazioni partecipa; livello etico valoriale: qual è il suo patrimonio valoriale; la dimensione religiosa: se c'è o meno un'apertura al tema della religiosità. Molto concretamente, un educatore, dotandosi di uno schema interpretativo simile, e avendo di fronte a sé un giovane, può tentare, tramite questi diversi indicatori, di capire se è una persona che ha elementi di disagio, di debolezza, o di forza. Con questa sorta di griglia in mano, non riuscirò a ricavare una categoria statica, perché il percorso può essere a zig zag, cioè posso incontrare una persona che, dal punto di vista della costruzio ne dell'identità, ha capacità di darsi unitarietà mentre, per esempio, può avere problemi di tipo familiare; oppure può aver maturato un sapere creativo ed avere un inserimento lavorativo difficile. Non abbiamo più delle categorie fisse, ma di volta in volta riusciamo ad individuare categorie diverse. Quindi l'impegno a costruire relazioni educative di giustizia non può prescindere dalla capacità di ascolto e di lettura quasi individuale delle giovani generazioni che si incontrano. Non tutte le storie dei giovani lavoratori sono uguali, e la sfida educativa consiste nel riuscire quasi a "personalizzare" le relazioni educative. Concludo la mia riflessione con un interrogativo: il luogo di lavoro può essere un ambiente dove si realizzano relazioni di giustizia, relazioni educative? La mia risposta è ambivalente e non poteva essere altrimenti. Affermativa, in senso molto lato, perché in tutti gli ambienti di lavoro si realizzano delle relazioni educative, nel bene o nel male. L'affermazione positiva si rafforza soprattutto per gli ambienti di lavoro extra mercato, cioè in quelli più protetti, ma anche in questo caso sono richieste delle distinzioni; non in tutte le cooperative di solidarietà sociale, ad esempio, si realizzano rapporti di lavoro educativi. Certamente è più facile che maturino in alcuni contesti lavorativi, ma la distinzione mercato, terzo settore non mi soddisfa. Cioè, per essere espliciti, non è detto che tutto il male stia da una parte e il bene dall'altra. La risposta è negativa, invece, se considero il lavoro che viene esercitato in ambiente di produzione tradizionale, perché il rapporto di lavoro, rispetto alle relazioni educative, ha un'altra logica, altri codici. Ma anche in questo caso ci sono delle distinzioni da fare, perché dipende dai luoghi, dai climi umani, da chi dirige, perché se questi ha sensibilità per la creazione di relazione di giustizia, anche il luogo di lavoro può essere un