UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

‘Dalla parte dei giovani del Sud: un problema che coinvolge tutto il Paese’

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21 Marzo 2000

da "club dei cattolici per te", ma è un modello che corrisponde esattamente a uno dei valori fondamentali della nostra esperienza umana, quello della dignità personale. Dobbiamo costruire, rivendicando comportamenti coerenti, ma non rivendicando solamente. Dobbiamo costruire un modello di sviluppo che si sintetizza nella parola responsabilità. Predicare l'imprenditorialità e il mettersi in proprio non è proporre modelli improbabili di successo imprenditoriale. Significa, piuttosto, dire ai giovani: "Vi aiutiamo, ce la farete con grande fatica e senza illusioni, se riscopriamo insieme il senso della responsabilità". Il Mezzogiorno cambierà, quando il numero dei soggetti singoli e dei soggetti collettivi che vivono il problema con questo spirito di responsabilità, sarà superiore a quelli che lo vivono con un altro spirito. Non ci crede più nessuno se invochiamo investimenti turistici e buttiamo la carta per terra! La dignità, l'autonomia e la responsabilità: queste secondo me, sono le chiavi di interpretazione del nostro lavoro e del nostro impegno.
1. A dieci anni da un documento
Sono molto grato per il fatto che mi avete invitato a tenere una relazione a questo appuntamento così bello e importante, e sono anche entusiasta del titolo della relazione che mi è stata affidata. Farò un ragionamento su quello che a me pare importante, cioè mettere in risalto la differenza di oggi rispetto a dieci anni fa, tentando di offrire qualche spunto per la vostra riflessione e senza la pretesa di fare una verifica del documento dei vescovi italiani sul Mezzogiorno. Ho avuto la fortuna, dieci anni fa, di essere invitato tra gli "esperti", tra coloro che potevano portare un contributo alla stesura del documento e mi ricordo che allora c'era il problema se dovesse essere un documento della Conferenza Episcopale Italiana - come poi fu - o dei Vescovi del Mezzogiorno; un documento dei Vescovi del Mezzogiorno o dei Vescovi per il Mezzogiorno. La questione se si tratta di una riflessione del Sud sul Sud o dell'intera Chiesa sul Sud è superata nei fatti e questo mi pare molto importante. Anche la riflessione che facciamo oggi, al Sud naturalmente, con prevalenza di delegati e di esperienze del Sud, avviene con le esperienze di partenariato già realizzate nel corso di questi anni.
2. Le novità accadute in questi anni
Senza la pretesa di fare un ragionamento completo, è possibile individuare alcune cose che, in questi dieci anni, sono cambiate nel quadro generale. Il documento dei Vescovi, di dieci anni fa, afferma con grande chiarezza, al numero 21, che: "Bisogna diffondere luoghi, spazi, occasioni di incontro riguardo ai nodi fondamentali dell'organizzazione sociale, per la formazione di una coscienza personale e collettiva consapevole dei diritti e dei doveri dei cittadini e dei meccanismi politici e amministrativi che ne tutelano e regolano l'esercizio. Bisogna rilanciare una cultura politica che ridefinisca lo spazio della politica stessa". La politica, infatti, era vissuta in quegli anni come troppo presente e pervasiva, nel Mezzogiorno soprattutto. Oggi, al contrario, siamo allo zero politico, in una situazione opposta in cui incominciamo a sentire un deficit di politica con la P maiuscola e non un eccesso. Un secondo dato che nel documento era presente e che ora constato che si è fortemente aggravato, è la assenza, nel Mezzogiorno, dei corpi sociali intermedi. Quando racconto il nostro lavoro di territorio sull'animazione e sulla promozione, dico sempre che non trovo altro, nel Mezzogiorno, che un po' di Chiesa. Forse esagero un po' ma intendo dare il segnale preoccupante dell'assenza e della debolezza dei corpi intermedi. La terza grande novità è la fine dell'intervento straordinario. Il documento del 1989 ha avuto il merito di non dare un banale giudizio negativo su quarant'anni di intervento straordinario, però ne denunciava, con una certa evidenza, i limiti, i pericoli e i rischi. Due o tre anni dopo, l'intervento straordinario si è chiuso in modo un po' brusco. Ora esiste un intervento pubblico che tenta di fare della politica per le aree depresse - non si usa neanche più dire Mezzogiorno - come una parte centrale della politica ordinaria dello Stato. La quarta novità - un po' più istituzionale - riguarda il decentramento. Anche se non ce ne accorgiamo molto, chi opera sui progetti, incomincia a capire - per portare un esempio un po' banale ma chiaro - che i soldi non stanno più a Roma, ma in un nuovo equilibrio: Europa, Roma e regione soprattutto. Questa realtà è un nuovo quadro di riferimento che riassetta i poteri.

3. Gli elementi di cambiamento del Sud
Rispetto a dieci anni fa, il Sud è più ricco. Gli incrementi di reddito del Sud, infatti, pur essendo stati più lenti, in qualche caso uguali o diseguali rispetto al Nord, hanno reso il Sud oggettivamente più ricco. Ci sono più soldi e il reddito pro capite è più alto di dieci anni fa. La causa principale di tanti errori è quella di alimentare una rappresentazione del Sud come il Banglades h, dimenticando che il Sud è un'area relativamente più povera della quinta potenza industriale del mondo. Il secondo cambiamento riguarda il processo di diversa gerarchia territoriale del Sud. I grandi meridionalisti - pensiamo a Salvemini o a Doria che inventò "la polpa e l'osso" - sostenevano che il Mezzogiorno aveva "la polpa", che era la fascia costiera, e "l'osso" che erano le montagne. Per una serie complessa di motivi, questa gerarchia territoriale si è andata, a mano a mano, modificando e oggi si potrebbe dire che, probabilmente, si è capovolta, nel senso che le parti peggiori del Mezzogiorno, i punti di crisi più acuta sono esattamente le grandi città costiere. Il Mezzogiorno più difficile oggi è Napoli, con la conurbazione napoletana, Palermo, Catania, Bari, Reggio Calabria…, altro che Benevento! A Benevento si incomincia a star bene, la qualità della vita, il reddito è cresciuto, il sistema in qualche modo fa lavorare, dà assistenza. E questo cambiamento si è molto accelerato. Questo aspetto introduce un grave problema che è la ricchezza senza sviluppo. Ci sono aree del Mezzogiorno in cui i livelli di consumo rimandano a una situazione non di indigenza, ma a questi corrispondono situazioni di degrado civile gravissime e cioè è una ricchezza, almeno potenziale, senza sviluppo Terzo elemento importante concerne il fatto che si è ulteriormente ridotta l'emigrazione. Per essere più precisi, l'emigrazione ha cambiato definitivamente pelle, mentre un territorio come il Mezzogiorno che emigrava, ora, riceve immigrati. Per determinare enormi emigrazioni di massa e significativi spostamenti di manodopera, bisogna che ci sia la fame, realtà che pochi meridionali ancora conoscono. Al contrario, ora, è scattato un meccanismo di mobilità che, con grave danno per il Sud, fa emigrare i migliori cambiando definitivamente le caratteristiche dell'emigrazione.

4. Cambiamenti generali che incidono sullo sviluppo economico
Il primo grande cambiamento è che n on esiste più l'equivalenza tra lo sviluppo e l'occupazione. Al di là delle differenti valutazioni, è certo che, mentre ad un incremento di prodotto interno lordo, corrispondeva un quasi uguale incremento di addetti, ora questo non è più vero. Non è vero, come dice qualche scienziato un po' disinvolto, che più aumenta lo sviluppo, più aumenta la disoccupazione; per avere aumenti di occupazione ci vuole più sviluppo, ma non è più sufficiente aspettarsi lo sviluppo per risolvere in modo automatico i problemi della disoccupazione. Tradotto in linguaggio corrente, lo sviluppo economico possibile non determinerà più il numero dei posti di lavoro che eravamo abituati ad aspettarci. Non pensiamo che questo sia necessariamente un guaio. Come tutti i grandi cambiamenti, questo può essere contemporaneamente, un vincolo e un'opportunità: diminuiscono i posti di lavoro tradizionali, aumentano le opportunità di lavoro più diverse. Possiamo osservare come indicatore interessante le cinquantaquattromila domande di prestito d'onore. Tra queste, infatti, si possono osservare migliaia di attività che dieci anni fa nessuno avrebbe mai potuto immaginare che fossero un sistema per vivere. Aumentano determinati consumi, di turismo, culturali, di ambiente... e quindi aumentano le opportunità. Naturalmente sono diverse dai posti tradizionali di lavoro e c'è il bisogno di nuove regole per governare questi fenomeni. Però è necessario non lasciarsi prendere dal panico. A riguardo di questo problema non dobbiamo commettere due errori: il primo è appunto il panico: "Sono finiti i posti di lavoro, che cosa farà mio figlio?" Il secondo errore consiste nel dare alla questione del posto fisso un contenuto etico, quasi che desiderare il posto fisso equivalesse ad essere una specie di delinquente. Al contrario è importante che un ragazzo che costruisce il suo futuro professionale sappia che, mentre un suo coetaneo trent'anni fa aveva molte probabilità in più di trovare un posto, cioè un modo d i lavorare stabile, lui ne ha molte di meno. Se vuole fare il postino, tenti pure di farlo, ma dobbiamo dirgli che probabilmente farà molta fatica, come farà fatica se vuol fare l'impiegato comunale o il bidello. C'è però la grande questione delle pari opportunità intese come un concetto totale. Se il lavoro cambia, se diventa una cosa che non è più un posto stabile, se, in qualche modo, non è più un diritto così come alcune generazioni precedenti erano abituate a pensare, non si tratta di difendere ad oltranza delle garanzie, a condizione però che ci siano davvero pari opportunità, vale a dire che ci si impegni tutti a passare da una cultura della garanzia a una cultura delle opportunità. Un terzo fenomeno importante, a proposito di giovani, è il fenomeno dell'allungamento della famiglia; i giovani tendono a restare molto più in famiglia, e questo fenomeno è connesso con il tema della responsabilità. L'organizzazione complessiva rende più semplice e più agevole che i figli restino più a lungo in famiglia e tutto congiura verso un ritardo della fase di assunzione di responsabilità.

5. Il significato e i modelli di sviluppo
Il documento Chiesa italiana e Mezzogiorno: sviluppo nella solidarietà, al n. 18 afferma: "Le due grandi encicliche sullo sviluppo, Populorum progressio e Sollicitudo rei socialis, hanno ripreso, ampliato e approfondito questi insegnamenti, mostrando che lo sviluppo stesso è "vocazione" e processo di popolo ed è, quindi, da suscitare in ogni uomo e in ogni comunità, e che esso non è soltanto di natura economica". Questa frase è bella fino alla commozione per uno che fa il mio lavoro, perché immaginate se fossimo tutti d'accordo nell'interpretare il lavoro dello sviluppo come un processo di popolo! Vorrei proporvi di prendere questa frase come manifesto, perché questo è lo sviluppo che ci interessa realizzare. Questo significa, prima di tutto, che chi ci propone lo sviluppo come un evento, non ci interessa; un evento, una strada , una fabbrica, una legge, una raccomandazione... non ci interessano più, non ci servono. L'evento non serve più a fare sviluppo. Non sto dicendo, per esempio, che non serve la Salerno - Reggio Calabria o il ponte di Messina che sarebbe anche un evento simbolico: il Sud che si collega. Ma sto pensando al paese dove per dieci anni si litiga in consiglio comunale e si scambia lo sviluppo per l'ospedale che si farà, oppure ai titoli dei giornali: diciottomila miliardi per... eventi lontani, virtuali! Non ci interessa uno sviluppo che viene presentato come un evento, anche perché la storia del Sud è piena di grandi eventi attesi, invocati, contrattati, svenduti. E' importante contestare il percorso con cui è stata costruita l'immagine dello sviluppo ed è stato costruito il consenso politico nel Sud. In secondo luogo lo sviluppo vissuto da tutta la società, singoli e collettività, non viene dal centro, calato dall'alto, considerando gli altri un terminale non intelligente del percorso. Vogliamo fare qualche esempio? In Puglia, le province più pigre per la "44" sono Taranto e Brindisi dove si sono realizzati grandi eventi industriali che non hanno coinvolto, responsabilmente, nessun soggetto locale. A Lecce, invece, dove non è arrivato niente di grosso, tutti presentano progetti perché non sono vittime di una cultura dello sviluppo centripeta: ministro che arriva in aereo per la posa della prima pietra, i soldi spesi, la gente che si scatena per essere assunta e il livello locale che interviene da ostaggio... Se la definizione che abbiamo riportato è lo sviluppo che ci piace, proviamo ad esaminare le politiche di sviluppo e interroghiamoci se sono sul lato della domanda o su quello dell'offerta? L'intervento straordinario era un'offerta pura. Si fa una legge e si decidono i finanziamenti fino alle degenerazioni più incredibili. Offerta che cosa significa? Significa che si è forti, se ci si piazza bene sull'offerta, non se si interpreta bene la domanda. Sarebbe m olto interessante analizzare come funzionava l'offerta? Il mio ragionamento e un po' schematico, ma serve per capirci meglio. Un rappresentante politico - realtà che non contesto perché, come ho detto prima, di politica ce n'è troppo poca - si doveva legittimare. In che modo? Siamo poveri e inguaiati; le nostre rappresentazioni da "Calcutta" con i bambini attaccati alle ginocchia del deputato chiedendo lavoro e pane. Carico di queste aspettative, il deputato va a Roma e piange il più forte possibile per conquistare un pezzo di offerta, senza sapere bene a che cosa serve! Con un pezzo di offerta, torna a casa e dice: "Sono bravo, perché ho preso i soldi; sono potente e decido io a chi darli; quest'altra volta, se volete che sia potente per tutti, mi devi votare". L'offerta, quindi, consiste nella legittimazione totale del potere. Con un tale meccanismo cosa succede della classe dirigente e della sua responsabilità? Ho assistito ad una riunione di presidenti delle regioni meridionali, in cui il presidente di una regione è saltato sulla sedia imprecando, perché uno aveva detto: "La tua regione sta andando meglio". E questo significava perdere soldi nella trattativa nazionale. Al contrario la politica della domanda si fa stanando la gente, provocandola a fare proposte. Se il soggetto non fa proposte, non è un soggetto che può contribuire allo sviluppo e non è giusto che venga finanziato. Questo è un meccanismo di eccitazione e di consolidamento delle responsabilità che contribuisce anche a formare classe dirigente. Se crediamo a questo modello di sviluppo, ci dobbiamo piazzare sulla domanda. Eravamo abituati ad una politica dell'offerta ed è partito un meccanismo di politica della domanda che ha cambiato il modello di intervento. E' un processo non ancora pienamente compiuto e il caso dei patti territoriali lo dimostra. I patti territoriali sono il massimo dei meccanismi di domanda dal basso. Ma quando partono, sovente, incontrano un solidissimo meccanismo di ges
tione dell'intervento, pensato come meccanismo di offerta. Graduatorie, aste... e cose simili, tutti concetti che segnalano una fase di passaggio che va superata. Questo propongo alla vostra riflessione: oggi vince chi sta sulla domanda di sviluppo. E' l'idea, la domanda che fa forti e responsabili i soggetti. Per questo è bello il Progetto Policoro che si basa proprio su questo: mettere insieme della gente, farne militanti di questa politica, di questo approccio al tema dello sviluppo - si chiamano animatori di comunità - a provocare la domanda.

6. La necessità di alcuni cambiamenti
Su questo scenario ci sono anche alcune cose da fare che non competono, naturalmente, alla Chiesa, ma che vale la pena di chiamare rapidamente. Prima di tutto ci sono alcune regole del gioco che vanno cambiate, alcune cose che non devono più essere fatte - come, ad esempio, i lavori socialmente utili o i lavori di pubblica utilità - se non vogliamo continuare nel nostro Paese una cura scientifica per distruggere i giovani! In secondo luogo chiudiamo il collocamento che non serve a niente. Cambiamo, inoltre, rapidamente la formazione professionale perché non esiste più il sistema che funziona. C'è un'inversione pazzesca, patologica nell'ordine del giorno; si fa la formazione per i formatori, non per i formandi. Quando uno del Nord legge sul giornale che in Sicilia o in Calabria cercano settantatré persone con una qualifica e non c'è nessuno, è uno smacco per il nostro lavoro che ci vuole un anno per recuperarlo. "Al Nord non ci volete venire, al Sud ci sono i posti e non ci andate, ma allora hanno ragione quelli che dicono che non volete lavorare..." Ci sono poi una serie di altre cose da fare. Siamo la quinta potenza industriale del mondo, ma anche un Paese in cui un giovane di Martina Franca che vuole fare un piccolo negozio e ha bisogno di trenta milioni, non trova alcuna banca disposta a fargli un credito. Abbiamo un sistema bancario che non è all'altezza del le situazioni ed è indietro rispetto a quello mondiale. Anche su questo aspetto ci andrebbe un po' di radicalità, di volontà di confronto con i banchieri affinché i processi di cambiamento in atto vengano accelerati nella giusta direzione, perché, altrimenti, le pari opportunità sono un imbroglio. Il Paese, se non stiamo attenti, salta sul tema dei giovani e del lavoro. Se è vero che i posti sono finiti, è urgente che ci siano nuove opportunità. Penso che ci sia da fare anche qualche riflessione diretta sulla Chiesa. Quando uscì il documento, rischiando anatemi, dissi che il documento era un grandissimo "mezzo documento", perché è bellissimo, ma ci manca una parte. Qual è la parte che secondo me dobbiamo costruire? Penso, ad esempio, che le grandi tradizioni educative del mondo cattolico dovrebbero stimolarlo ad essere più protagonista della battaglia per riformare la formazione professionale, rischiando un po' e rifiutando coraggiosamente di stare ad un gioco perverso. Perché non diventare i capofila di un cambiamento? Perché non essere un po' più forti nella proposta? La questione più importante, però, che riguarda tutti, ma un po' di più la Chiesa, è che, per quanto riguarda il lavoro, non basta fare una denuncia. Questa è la grande questione - lo dico da cattolico più o meno degno di parlare da cattolico - non si può pensare che sia esaurita la funzione dicendo: lo Stato deve! Perché se lo Stato deve, anch'io devo! La questione del lavoro diventa questione nazionale non se tutti ne parlano, ma se tutti fanno qualcosa. E allora quando noi chiediamo a un Vescovo - e lo dico con gioia, perché sta succedendo sempre più spesso - di mettere a disposizione una chiesa "sconsacrata", che magari avanza, in comodato a disposizione di alcuni giovani che si mettono in proprio, aumenta fortemente la credibilità, perché i giovani comprendono che la Chiesa sta facendo quello che può fare per venire incontro alla loro situazione. Denunciare è importantissimo, ma per noi è fondamentale fare anche altre cose, sviluppando una vera cultura della responsabilità. Per quanto riguarda l'imprenditorialità giovanile vogliamo continuare con il Progetto Policoro, almeno per la parte che ci compete. Pensiamo che si possano fare molte cose sulla formazione; secondo me varrebbe la pena fare un progettino di avanzamento focalizzando l'esperienza che è stata fatta precedentemente. Anche agli animatori di comunità, voglio lasciare un messaggio. Non è che potete fare una cosa diversa da quella che avete predicato. Avete predicato alla gente: mettetevi in proprio. Su una cinquanta di animatori di comunità, non è che setto o otto fanno gli imprenditori? Così si rialimenta il giro e si va avanti dimostrando il messaggio che è stato dato. Queste sono le cose che volevo dire. Chiedo scusa se sono stato un po' disordinato, ma c'è un po' di pathos e ci sono anche le esperienze fatte con il Progetto Policoro, dove si sta andando avanti insieme. Richiamando con forza il manifesto del mio intervento, cioè quella concezione dello sviluppo, di cui parla anche il documento di cui celebriamo il decennale, vorrei anche ricordare altri modelli che non ci piacciono e che non riescono a vincere. Abbiamo avuto un grande modello, quello socialista, che era capace di distribuire ma non di produrre, e un altro modello che è capace di produrre come un pazzo, ma non è capace di distribuire, che è il capitalismo. Quanto tempo deve rimanere in piedi un mondo in cui il presidente della Coca Cola guadagna sessantacinque miliardi all'anno? Come è possibile che esista un sistema di sviluppo i cui principali referenti affermino che il loro non può essere il modello universale di sviluppo, perché non è compatibile con le risorse del pianeta? Proporre questa logica alternativa dello sviluppo, che non è un fatto solo economico, ma è una messa in moto delle responsabilità, non è una cosa