UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Problemi costituzionali della tutela dei diritti fondamentali a livello comunitario

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6 Settembre 2000

ione" del Parlamento europ eo. Con riferimento poi al problema, apparentemente insolubile, della "riserva di giurisdizione", secondo il relatore nessuno impedirebbe all'Unione europea di investire i giudici nazionali del ruolo di strumenti per una simile garanzia. Cosa impedisce di immaginare un sistema per cui se, ad es., i funzionari comunitari dovranno eseguire un accesso al domicilio di un cittadino romano, essi debbano chiedere al giudice competente di Roma di essere autorizzati a compierlo ? Rispetto alla situazione presente una Carta dei diritti fondamentali può avere poi l'utilità di offrire elementi di maggiore certezza. Rispetto ad una elaborazione, come detto, quasi esclusivamente giurisprudenziale dei diritti fondamentali. La presenza di un documento solenne, redatto in forma scritta ed integrato pienamente nel diritto comunitario offrirebbe degli indubbi vantaggi.
7. In conclusione sembra difficile che questa Carta, qualora venga approvata nei termini sommariamente esposti, possa sostituire i diritti garantiti a livello nazionale. Quello che può fare è semplicemente aggiungersi, lasciando però del tutto irrisolta la questione degli eventuali conflitti tra i diritti garantiti a livello nazionale e i diritti garantiti a livello comunitario. Se la Costituzione italiana impone perché si possa accedere al domicilio certe garanzie che il corrispondente diritto comunitario non offre, si aprirà un conflitto tra norme, la cui soluzione oggi non può essere prevista. 1. Nel suo intervento sul tema Problemi costituzionali della tutela dei diritti fondamentali a livello comunitario, il prof. Giovanni Guzzetta ha sottolineato come la decisione di elaborare una Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea irrompa nella storia dell'integrazione comunitaria ponendo due grosse questioni. La prima si può riassumere con la domanda: "Questa Carta determinerebbe, se approvata e soprattutto se incorporata nei Trattati, un mutamento qualitativo dell'Unione Europea? Segnerebbe l'avvento di un vero e proprio Stato federale?" Secondo la bimillenaria tradizione costituzionale inaugurata con la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino dalla Rivoluzione Francese, è infatti la proclamazione dei diritti fondamentali a segnare l'esistenza di una Costituzione in senso moderno. La seconda questione riguarda l'oggetto stesso della Carta: i diritti fondamentali. Quali specifici problemi pone la definizione di un catalogo dei diritti fondamentali? Esso rappresenta con certezza un aumento di garanzia per i nostri diritti? O c'è da essere comunque vigilanti ? Che ne sarà, in particolare, dei diritti tutelati oggi a livello degli Stati ?
2. La prima questione ha potuto essere esclusivamente enunciata. Il relatore si è limitato a ricordare che la scelta di un intervento in materia di diritti fondamentali può segnare un salto qualitativo nel processo di integrazione comunitaria. E noto infatti che finora molte corti costituzionali hanno sostenuto che non siano possibili cedimenti di sovranità in questa materia. La Corte Costituzionale italiana, ad esempio, ha, da sempre, sostenuto che vi sono due settori nei quali lo Stato non può rinunziare alla propria signoria: quello dei principi supremi dell'ordinamento italiano e quello - appunto - dei diritti fondamentali. Il problema appena enunciato, pur essendo di estrema importanza, è però ancora teorico. Non si sa infatti che cosa ne sarà di questa Carta. Se essa rimarrà una proclamazione delle Istituzioni Comunitarie, come oramai se ne sono accumulate in quantità, il salto qualitativo di cui si è detto non avverrà e la situazione resterà sostanzialmente invariata. Diverso è il caso in cui essa dovesse diventare parte dei Trattati, i quali - secondo una consolidata interpretazione - si impongono sul nostro ordinamento prevalendo sulla stessa Costituzione. In tal caso si tratterà di vedere cosa significherà il "primato" della Carta dei diritti fondamentali in termini di sovranità dello Stato. O, meglio, di legalità costituzionale. Il tradizionale filo-europeismo sarà messo di fronte alla prova di possibili contrasti tra diritti costituzionalmente riconosciuti e diritti affermati a livello comunitario. A chi si dovrà riconoscere la prevalenza?
3. Con riferimento alla seconda questione, il relatore ha esordito con una premessa. Nei 200 anni trascorsi da quando lo Stato costituzionale si confronta col problema della tutela dei diritti fondamentali, si sono sviluppate alcune esperienze di cui è necessario fare tesoro. In primo luogo va messo in luce, soprattutto per i "non addetti ai lavori", che la storia dei diritti fondamentali, dei diritti inviolabili o dei diritti dell'uomo, non è solamente la storia della loro proclamazione. I costituzionalisti sono, o dovrebbero essere, ben consapevoli che non è nella sola proclamazione che si realizza la garanzia dei diritti. E appena il caso di ricordare, al riguardo, l'esempio delle Costituzioni dell'Unione Sovietica, le quali non lesinavano certo la proclamazione di diritti fondamentali. Oltre che nella proclamazione, la garanzia dei diritti fondamentali si attraverso le tecniche giuridiche mediante le quali questi diritti sono effettivamente garantiti. Non è un caso che le costituzioni contemporanee, a cominciare da quella italiana, prevedano una pluralità di diritti fondamentali - e non un solo, generale, diritto di libertà. Ci si rende, infatti, conto che ogni diritto ha le sue peculiarità, fà, per così dire, storia a sé. Ogni diritto è corredato da un patrimonio di garanzie specifiche che lo rendono diverso dagli altri, che impediscono, per esempio, di applicare ad esso i limiti che sono previsti per un altro. Ricorda il relatore come esempi di questa differenziazione di tecniche di garanzia si ritrovino anche nella nostra Costituzione. L'art. 21, ad es., garantisce la libertà di manifestazione del pensiero e i costituzionalisti sono abbastanza concordi nel sostenere che gli unici limiti alla manifestazione del pensiero, sotto il profilo del contenuto, sono quelli che si possono desumere dalla Costituzione stessa. Quindi i limiti alla manifestazione del pensiero non possono essere apposti dal legislatore ordinario, perché sono già definiti nella Costituzione. All'estremo opposto ci sono altri diritti, sempre fondamentali - come i diritti economici, il diritto di proprietà o il diritto di iniziativa economica - che, pur essendo riconosciuti e garantiti nel loro nucleo essenziale, sono però rimessi, per le opportune limitazioni, al legislatore ordinario. L'art. 41, ad es., a proposito dell'iniziativa economica privata, stabilisce al suo quarto comma che "la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali". Si riscontrano, dunque, negli esempi ricordati, due diverse strutture del diritto: la libertà di manifestazione del pensiero non può essere indirizzata e coordinata a fini sociali; tale diritto è garantito anche se i contenuti della singola manifestazione sono contrari all'indirizzo economico e sociale, e dunque anche (e soprattutto) se essi sono critici nei confronti del potere politico che quei fini e quegli interessi sociali individua. Un altro elemento di garanzia è che questi diritti sono contenuti in Costituzioni rigide, non revisionabili da parte del legislatore ordinario. Sono addirittura diritti che molto spesso la Costituzione, come altre, pro clama "inviolabili", cioè non possono essere soppressi nemmeno con il procedimento di revisione costituzionale. Nemmeno quelle maggioranze ampie con le quali può essere modificata la Costituzione possono intervenire e ridurre la portata di questi diritti. Altra tecnica di tutela, applicata per alcuni diritti, è la riserva di legge. Poiché il Costituente è consapevole che limitazioni di tali diritti dovranno pur apportarsi, egli ha previsto che tali limitazioni siano apportate solo dal legislatore e non da un qualunque organo della pubblica amministrazione. In questo caso l'idea guida è: solo la legge può limitare i diritti fondamentali; solo, cioè, l'atto dell'organo titolare della rappresentanza politica. La terza garanzia è la riserva di giurisdizione. Vi sono alcuni diritti, alcune libertà (ad es.: la libertà personale o quella di domiciliare) le quali sono così preziose da richiedere che il singolo provvedimento mediante il quale esse vengono limitate non possa essere adottato che dall'autorità giudiziaria; da un organo, cioè, che, nell'ordinamento, dovrebbe essere in una posizione di assoluta indipendenza, di soggezione esclusiva alla legge; realizzando così il massimo possibile della garanzia. Infine, la quarta tecnica di garanzia è collegata alla fondamentale distinzione tra diritti individualistici e diritti cosiddetti funzionali. I diritti individualistici sono quelli garantiti all'uomo nel suo esclusivo interesse, anche "per l'appagamento egoistico dei suoi bisogni" (secondo la celebre espressione di Carlo Esposito). Ci sono, poi, i diritti funzionali, quelli cioè il cui godimento è strumentale al benessere comune, all'interesse pubblico. Per esempio, il già ricordato diritto di iniziativa economica può essere rivendicato finché non urta con l'interesse pubblico, cioè con l'interesse che, di volta in volta, le maggioranze politiche ritengono essere l'interesse pubblico. Al contrario, il diritto di manifestare il pensiero è garantito anche se il conten uto del pensiero manifestato non va nella direzione di ciò che si ritiene essere il pubblico interesse. Ed è evidente che senza questa garanzia non potrebbe esistere il diritto di critica.
4. Considerando tali questioni nella prospettiva comunitaria, si incontrano numerosi problemi. Il primo deriva dal fatto che, finora, i diritti fondamentali sono stati garantiti, a livello sovranazionale, attraverso un procedimento che è stato essenzialmente giurisprudenziale. E stata la Corte di Giustizia delle Comunità europee ad aver fatto da battistrada per la tutela dei diritti fondamentali. La Corte, non essendovi un Bill of rights comunitario, ha "pescato" nelle varie tradizioni costituzionali degli Stati, nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, negli accordi internazionali, componendo, per così dire, una Carta giurisprudenziale dei diritti fondamentali. Si è trattato quindi di un procedimento di tipo induttivo e non sistematico. Il secondo problema è il vizio di origine che caratterizza la tutela comunitaria dei diritti fondamentali. Per legittimare la propria interpretativa molto innovativa, la Corte di Giustizia ha dovuto infatti ricondurre i diritti fondamentali agli obiettivi ed alla natura della comunità. Questa, nel momento in cui si cominciò a parlare di diritti fondamentali era essenzialmente una comunità economica. Ne è conseguito che pressoché la totalità dei diritti riconosciuti dalla Corte di Giustizia sono stati riconosciuti come diritti "funzionali", cioè strumentali al perseguimento degli obiettivi (economici) della Comunità. Questo vale per i diritti e le libertà riconosciuti dai Trattati - la libertà di circolazione, di movimento, la libertà di stabilimento - ma anche per gli altri diritti progressivamente emersi. Frequentemente ricorrono nelle le sentenze della Corte considerazioni di questo tipo: "Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità europea, si possono apportare restrizioni ai diritti fondamentali a condizione che tali restrizioni rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale e non costituiscano rispetto allo scopo perseguito un intervento sproporzionato, inaccettabile, a ledere la sostanza dei diritti". Quindi l'interesse generale diventa ragione per limitare qualsiasi diritto, anche - ad esempio - la libertà di manifestazione del pensiero. Analoghe preoccupazioni si possono avanzare con riferimento alla riserva di giurisdizione. Per la sua stessa struttura, la Comunità europea, che non possiede organi giurisdizionali, è molto refrattaria rispetto a questo strumento tipico di garanzia dei diritti. Che cosa significa, poi, riserva di legge a livello comunitario ? In un ordinamento, cioè, che non ha ancora generalizzato quei caratteri democratico-rappresentativi che sono propri dello Stato costituzionale? Anche a prevederla, la "riserva di "legge" comunitaria significa qualcosa di profondamente diverso rispetto a quanto avviene per gli ordinamenti nazionali.
5. Ferme restando tutte le questioni aperte, delle quali i problemi menzionati costituiscono solo un sintetico campionario, il relatore ha cercato di mettere in luce quali potrebbero essere i vantaggi derivanti dall'adozione di una simile Carta. A questo proposito egli ha sottolineato come questo fatto segnerebbe, molto probabilmente, un'ulteriore tappa nella "costituzionalizzazione" dell'ordinamento comunitario. E evidente che, in questo processo, dopo l'esperienza bicentenaria dello Stato costituzionale nazionale anche il diritto comunitario deve fare la sua strada. E questa non può che essere realizzata che per approssimazioni progressive. Quanto detto rafforza, però, l'esigenza di far tesoro dell'esperienza degli Stati nazionali. Una proposta, per esempio, offerta dal relatore è stata quella di prevedere nel testo della Carta che i riferimenti alla "riserva di legge" riguardino non qualsiasi "legge" comunitaria, ma solo gli atti nei quali vi sia almeno una "co-decis