UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Società civile e società politica. Tra cooperazione e conflitto

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29 Marzo 2000

* Sintesi di un articolo in corso di pubblicazione nell'edizione italiana della rivista "Nova et Vetera", 1, 1999, nn.3-4.
La società civile è un mondo complesso abitato da formazioni sociali (istituzioni libere non governamentali), ognuna delle quali ha una propria finalità specifica di carattere settoriale, ma appartenente in qualche modo al bene comune che è il bene proprio della politica. Tuttavia bisogna subito prendere le distanze dall'erronea identificazione della società politica e della politica con lo Stato, così come non bisogna identificare i soggetti sociali con gli individui. Non è un caso che lo Stato moderno sin dai tempi di Hobbes si è atteggiato a persona civilis fino ad aspirare ad un'entificazione ontologica. Non è neppure un caso se Rousseau è stato un deciso avversario delle "associazioni parziali", affermando che il cittadino deve opinare solo "per conto proprio". Queste associazioni, infatti, potrebbero entrare in competizione con la volontà generale dello Stato. Tra lo Stato e l'individuo non deve esservi nulla. In realtà, società politica e società civile sono abitate dagli stessi soggetti. Ciò non deve stupire perché la società non è un'entità che si sostituisce alle persone, ma propriamente è un'attività. Le varie forme di socialità sono in realtà forme diverse di attività umana, ognuna caratterizzata da fini propri e da regole appropriate. Quando si afferma che alla base della vita sociale non vi sono gli individui ma i gruppi, non si vuol sostenere una concezione organicistica della società, ma sottolineare una modalità specifica dell'azione umana, cioè la sua fondamentale struttura relazionale o cooperativa. Se la società è un'attività, le società si distinguono fra loro fondamentalmente per il fine a cui l'attività è volta. Alla pluralità delle società corrisponde una pluralità di fini e, tuttavia, poiché sono tutti fini umani, confluiscono in qualche modo nel bene comune, che è l'orizzonte comprensivo della totalità del bene umano. Dunque, in prima approssimazione, possiamo dire che la distinzione fra le varie forme della socialità umana consiste nella loro relazione nei confronti del bene comune. Non bisogna, dunque, credere che le iniziative proprie della società civile siano espressione di esigenze opzionali, o comunque non necessarie, affidate alla buona volontà dei singoli o dei gruppi. In realtà la società civile esiste, perché l'impresa della ricerca e della determinazione del bene comune è e deve essere propria di tutti i cittadini e non già soltanto dei loro rappresentanti politici. L'ideale della democrazia non deve essere ridotto al diritto di voto consistente in una delega a coloro che si propongono come professionisti della politica. Questo è solo un aspetto della democrazia, quello tecnico-istituzionale, che sarebbe privo di senso se prima ancora non vi fosse il senso della democrazia come partecipazione attiva del cittadino alla vita pubblica. E questo avviene attraverso la multiformità della società civile. In ragione del particolarismo della vita sociale si giustifica la ragion d'essere della società politica, che ha una funzione architettonica. E necessario, infatti, ricondurre ad una certa unità le iniziative particolari dei singoli e dei gruppi, altrimenti esse si disperderebbero in mille rivoli, si ostacolerebbero tra loro e correrebbero il rischio di assolutizzare il particolare. La funzione dell'autorità politica non è fondamentalmente quella di sostituirsi alle iniziative della società civile, paralizzandole, né quella di dirigerle coattivamente dall'alto, ma quella di sostenerle, di coordinarle e di integrarle al fine della realizzazione del bene comune in tutti i suoi aspetti rilevanti. Questo, d'altronde, è il senso proprio del principio di sussidiarietà. Senza un'opera di civilizzazione, che ha luogo nel cuore della vita sociale, la società politica sarebbe priva di valori e l'esercizio dell'autorità politica sarebbe ingiustificato e, alla fin dei conti, insopportabile. Senza una ricomposizione unitaria del bene comune, operata dall'autorità politica, la creatività delle risorse umane presenti nella società civile non sarebbe alla fin dei conti messa a servizio della vita buona di tutti i cittadini, nonostante la generosità e il sacrificio. La società civile è possibile solo quando il bene comune in tutta la sua ampiezza (secolare e trascendente) è una questione di cui ogni individuo e ogni realtà associativa si sentono in qualche modo responsabili. Ciò richiede la formulazione di regole di convivenza sociale, a partire da quelle contrattuali e mercantili, e la formazione di reti di solidarietà per la protezione dei più deboli. Tutto ciò è già in certo qual modo opera politica, ma non ancora la politica come istituzione e come unificazione autoritativa. Per questo il conflitto tra società civile e società politica prende corpo quando quest'ultima si consolida e s'identifica nello Stato moderno. Se, dunque, non è vero che la società civile ha le sue radici nella modernità, è vero però che le sue tensioni con la politica sono senza dubbio tipiche della modernità, perché lo Stato sovrano è una creatura di questa. Di fronte allo Stato moderno la società civile non riceve più una considerazione unitaria e viene al suo interno smembrata in due settori separati. Da una parte vi sono tutte quelle legittime iniziative degli individui che hanno un carattere "privato", cioè non interessano il bene comune finché si esercitano in ambiti circoscritti di libertà, protetti dall'interferenza esterna. Dall'altra vi sono tutte quelle attività associative con finalità sociale che lo Stato progressivamente controlla fino a fagocitarle interamente. In questo senso lo Stato assistenziale si può considerare come l'ultimo atto dell'espansione dello Stato moderno. Il risultato è quello della soppressione della sfera unitaria del sociale e della sua sostituzione con la nuova dicotomia tra privato, da una parte, e statale dall'altra. Di conseguenza la rinascita della società civile possiede oggi una potenzialità aggressiva del tutto corrispondente a quella che lo Stato aveva avuto nei suoi confronti. Come lo Stato aveva smembrato l'idea stessa di società civile, separando - come s'è detto - il privato dallo statuale, così la società civile separa il pubblico-sociale dal pubblico-istituzionale e può considerare quest'ultimo un luogo privo di valori in quanto puramente strumentale. Paradossalmente i fanatici della società civile s'incontrano con gli individualisti libertari nel concepire la politica come puramente neutrale (o, comunque, come al loro servizio), competente soltanto a regolare il traffico sociale, in cui gli atti di benevolenza hanno la stessa imperiosità della soddisfazione delle preferenze. Credo che si debba fare il possibile per evitare questo smembramento della sfera politica e la conseguente perdita di senso della politica. Se non ci riuscissimo, cadremmo in un errore pratico grave quanto quello dello statalismo e del dirigismo. I gruppi sociali possono essere anarchici almeno quanto gli individui. Per uscire da questo circolo vizioso bisogna rimeditare il concetto generale di bene comune. Non bisogna confondere i due aspetti principali di questo concetto. Il bene comune può essere considerato sotto il profilo delle condizioni generali che permettono ai singoli e ai gruppi di formulare e realizzare i loro piani di vita oppure sotto il profilo dei valori, delle attività e dei beni che si possono raggiungere e fruire solo in comune. Se il bene comune viene inteso come l'insieme delle condizioni strutturali che rendono possibile la vita buona, allora è innanzi tutto un compito che deve essere assolto dalla politica in ragione di quella funzione architettonica a cui sopra abbiamo accennato. Abbiamo, dunque, bisogno che la politica dia forma non già ad uno Stato confessionale e neppure ad uno Stato neutrale, ma ad uno Stato generoso e promozionale, che non si ponga nei confronti dei singoli e dei gruppi come una parte in concorrenza con le altre. Lo Stato, al contrario, dovrebbe essere il custode di tutto quanto arricchisce e perfeziona la vita umana, da qualunque parte esso provenga. Ciò richiede un accrescimento della sensibilità delle istituzioni pubbliche per tutta l'ampiezza del bene umano e per le implicazioni dei valori umani fondamentali. Il compito dello Stato è elevato, perché si tratta di perimetrare tutto l'ambito del bene comune temporale, cioè in tutta la sua vastità l'insieme delle risorse che permettono la formulazione di progetti di vita buona. Lo Stato non deve imporre, né proporre un piano di vita buona, ma deve permettere che gli individui e i gruppi possano formularlo e perseguirlo nelle migliori condizioni possibili. Il compito politico della società civile è, invece, quello dell'elaborazione e consolidazione di una cultura politica di fondo senza la quale le stesse istituzioni politiche non possono funzionare "bene". Ma il compito proprio della società civile è quello della produzione dei beni che richiedono la cooperazione e la solidarietà per sorgere e per essere fruiti. Ci sono beni che perderebbero il loro significato intrinseco se non fossero prodotti e fruiti da un'azione comune. Attraverso questi beni ciò che in realtà si cerca è il valore stesso della socialità. Le ragioni della società civile riposano fondamentalmente sul fatto che certi beni della vita umana e certi aspetti del bene comune richiedono non solo di essere raggiunti, ma di esserlo in un certo modo, cioè attraverso l'impegno personale e interpersonale, cioè attraverso la cooperazione e nella cooperazione. In fondo il senso ultimo dell'umanizzazione e della civilizzazione riposa nella cooperazione come bene in sé.