UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Ricchezza della Chiesa e scambio di doni

14 Febbraio 2002

alle fedi: religiosa o laica. Non può non stupire, infatt i, il ricorso sempre più frequente alle religioni da parte degli stessi scienziati. In un simile contesto il mondo cristiano non dovrebbe mancare di fare la sua parte, non dovrebbe mancare di misurarsi con questi fenomeni sociali. Alcune cose sono state fatte ma molte restano da fare. La salutare tensione tra realismo e profetismo, il primato dato alla formazione delle coscienze, l'approfondimento del benessere e della qualità della vita alla luce dei bisogni veri o indotti e non solo delle risposte, sembrano incamminare verso una interpretazione della vita capace di nuova saggezza, capace di indicare una misura sobria di fronte all'anarchia dei desideri. Questa saggezza andrà poi ampliata ad una concezione della persona e delle persone capace di fraternità e di solidarietà vera. Solo allora, forse, potremo vedere i primi frutti di una autentica testimonianza cristiana.
Gianni Colzani Bergamo, 23 giugno 2001.
Ricchezza della Chiesa e scambio di doni Gli abitanti della terra faranno festa, si rallegreranno e si scambieranno doni (Ap 11,10)
Lo sfondo di questo nostro incontro è la riscoperta che la Chiesa sta facendo della sua missione. La concentrazione sempre più forte sulla speranza escatologica - nelle Lodi abbiamo ascoltato il testo di 2Pt 3,13 secondo il quale aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova nella quale avrà stabile dimora la giustizia - non ha come effetto il disinteresse per la storia ma la riscoperta dell'atteggiamento corretto: è la fede nelle promesse divine a distinguere la chiesa da un gruppo o da una progettualità solo umana. La fede nelle promesse divine va quindi incarnata con un attento lavoro culturale che, ispirato dalla fede, vive però della lucidità della nostra intelligenza e della nostra progettualità. In questo senso vediamo con favore il fatto che le comunità cristiane vanno sempre più spostando l'asse del loro interesse dalla assistenza - soprattutto scuola e sanità - a forme diverse di presenza nel sociale: il volontariato e l'impegno per la formazione delle coscienze ne sono, probabilmente, i frutti più alti. Non è difficile pensare al progetto Policoro ed al Tangram come a dei frutti significativi di questa formazione cristiana delle coscienze: rappresentano un esempio di quanto è possibile fare. Su questo sfondo vorrei fare alcune osservazioni, per incoraggiare e per chiarire la dimensione ecclesiale di fondo, quella di uno scambio di doni tra Lombardi e Campania, tra Lombardia e Calabria/Basilicata.
1. Lo sfondo: il distacco tra economia ed etica
E diventato ormai comune segnalare un profondo distacco tra economia moderna ed etica. Si ama dire che business is business. In questa maniera si mette la questione della organizzazione della produzione e del commercio a carico della sola realtà economica. Non è del tutto vero. La lezione della Sollicitudo rei socialis (1987) sulla "interdipendenza" come chiave di lettura dell a realtà e sulla "solidarietà" come conseguente atteggiamento etico non ha purtroppo inciso quanto avrebbe dovuto. La realtà e le sfide della globalizzazione dicono che, di fatto, non se ne è tenuto gran conto. In realtà le cause di uno sviluppo distorto, poco o punto sostenibile, non sono solo economiche; la fame non è dovuta solo a mancanza di cibo, tanto che si distruggono i raccolti eccessivi, la mancanza di imprenditorialità non è dovuta solo a mancanza di capitali o di coraggio imprenditoriale. Vi sono diversi, molteplici fattori. Proprio questo spiega il ruolo che le comunità cristiane possono avere: a livello di animazione e di sostegno, non certo a livello gestionale. L'economia moderna può essere resa più efficiente, cioè più capace di favorire un cammino veramente umano, se presterà una migliore attenzione alle ragioni dell'etica, alle ragioni cioè che informano il giudizio e che guidano il comportamento delle persone. Bisognerà certo riconoscere che l'interesse svolge un grande ruolo - e le comunità cristiane dovranno imparare a non demonizzarlo, a non vederlo come semplice egoismo - ma si può sostenere che sia l'unica molla che guida le perone? Quando si assolutizza l'interesse, lo scambio ed il mercato che lo declinano finiscono inevitabilmente per non avere altra ragion d'essere che il solo accrescimento dei propri vantaggi. Noi riteniamo che il quadro debba essere più ampio. In un simile quadro, il dono e la gratuità sarebbero del tutto marginalizzati. La gratuità si ridurrebbe a superfluità; poiché in qualche modo si distingue tra utilità e felicità, la gratuità verrebbe confinata nell'inutile, nell'ambito di ciò che forse esalta un momento ma non incide sulla vita. Lo sfondo di questa concezione della gratuità è quello di un difficile rapporto tra gratuità e persona e, quindi, di una reale scissione tra gratuità e lavoro o risultati del proprio lavoro. La gratuità non diventa prossimità e accompagnamento ma "regalino" superfluo. Questa concezi one del dono non corrisponde a quanto pensano gli antropologi. Il primo a studiare il tema del dono è stato M. Mauss che, nel suo Essai sur le don, lo presenta come la realtà più libera e, quindi, come realtà fortemente personale, tanto che sta alla base dei legami sociali. Qui non interessa la sua concezione che lega il dono alle strutture parentali e familiari; basti accettare l'idea che, al fianco di un mondo di interessi e di scambio, esiste un mondo fondato sul dono di sé, sulla gioia del donare, sul piacere dell'atteggiamento gratuito e solidale, sul coinvolgimento esistenziale, sulla riscoperta dell'altro. L'altro non come vicino scomodo, come potenziale nemico in un quadro comunque competititivo, come ostile: l'altro è semplicemente colui di cui ho bisogno per il pieno sviluppo della mia umanità. Ampliare le ragioni del giudicare e dell'agire dall'interesse al dono significa dare una più ampia base alla coesione sociale: questa non nasce solo attorno all'interesse custodito dal diritto del più forte e garantito dalla forza ma attorno alla gratuità ed al dono. La perdita della gratuità, evidente in un mondo che ha esasperato al massimo l'individualismo fino alla teorizzazione del single come valore, ha introdotto nella società un principio di squilibrio. Ricomporre una logica sociale attorno alla gratuità non è facile. Non lo è anche perché il divario tra economia ed etica sembra aggravato da forme di solidarismo emotivo , culturalmente immaturo, che rischiano di rimanere chiuse in se stesse, come forme autoconsolatorie e autogratificanti prive di ogni incidenza sociale. Del resto non manca - ed é ancora più grave - la presenza di una mentalità economicista che riduce ogni cosa alla accettazione dei vincoli economici ed alla competitività del mercato. Su questo variegato sfondo si pongono oggi le comunità cristiane. Possono continuare ad insistere su un egualitarismo non-competitivo, decorosamente sobrio, sostanzialmente avulso da questa società? Devono r itagliarsi un loro angolo o possono continuare a sognare di essere sale di un nuovo modo di vivere, lievito di una diversa coscienza sociale? Su questo sfondo sta l'avventura del progetti Policoro e Tangsram; di queste realtà, dai molteplici aspetti, a me interessa quello ecclesiale, cioè sia quello che le comunità cristiane possono dire ad essi sia quello che essi possono dire alle comunità cristiane. Possiamo riassumere il loro messaggio sotto la cifra dello scambio dei doni.
2. Lo scambio dei doni come cifra della comunione ecclesiale
Per quanto non così frequente come forse vorremmo, questo tema dello scambio dei doni non è sconosciuto alle scritture. Paolo, fondatore delle chiese dei gentili, così scrive a quelli di Roma presso i quali sta per recarsi: "ho un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi ed io" (Rm 1,11-12). Qui il comunicare ed il rinfrancarsi sono l'espressione di una fede che trova la propria forma nello scambio con l'altro, attraverso l'altro. La comunione ecclesiale, in questa luce, può ben essere presentata come uno scambio di doni, come un crescere insieme. Più a fondo ancora, la stessa storia cristiana può essere presentata come la storia di un dono: Paolo motiverà la colletta che chiede alle sue chiese sulla base di quel Gesù che "da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. […]Qui non si tratta di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla loro indigenza e vi sia uguaglianza" (2Cor 8,9.13-14). Qui l'uguaglianza è espressione di un amore fattivo, prima che soluzione sociale od economica. In modo più semplice, Matteo (Mt 25,14-30) parlerà dei talenti come dei doni che Dio ci mette nelle mani perché li traffichiamo. Possiamo perciò concludere che Cristo è il dono di Dio venuto per la salvezza dell'umanità e che questo dono ci apre gli occhi sulla molteplicità del favore con cui Dio segue la nostra vita. Dono i Dio è la vita familiare: la moglie (Pr 19,14) e i figli (Sal 127,3) sono dono del Signore; dono di Dio è la terra (Es 9,29; Lev 25,23; Sal 24,1) ed è godere del frutto del proprio lavoro (Qo 3,13; 5,18); dono di Dio è soprattutto la fede e la vita spirituale. L'intera storia umana è quindi interpretabile alla luce del dono come espressione della nostra fede in Dio; non ci sarà da meravigliarsi se anche queste esperienze di cooperazione vengono interpretate alla luce di questa categoria.
Il dono esprime il donatore Se comprendiamo il dono a partire da Gesù Cristo, bisognerà dire - per prima cosa - che il dono si sottrae ad ogni motivazione: è l'espressione della assoluta libertà di Dio. La libertà di Dio non si sperde nei sentieri dell'autonomia, del "mi piace", ma è una cosa sola con il suo amore: la libertà divina, cioè, è segnata da una tensione affettiva, da un volgersi verso l'altro. Il dono suppone la persona del donatore e la esprime; non serve affatto per mercificare i rapporti. Nel suo studio, Étant donnée, J.L. Marion descrive questa personalità del donatore come un essere-per-la-donazione: il donare, cioè, non appartiene alla periferia della persona ma ne è il cuore. La persona che dona è oblatività, è per l'amore; a maggior ragione lo è Dio. Non si tratta qui di risuscitare l'antica opposizione tra essere o avere: anche se appartiene al gesto, all'area dell'avere, il dono è indispensabile per l'essere. Gli studi di E. Fromm e di G. Marcel su avere o essere hanno chiarito che esiste un avere che non è per accumulare ma per condividere e per donare. Questo avere per edificare solidalmente il proprio essere evidenzia le illusioni di un avere che, invece di sostenere la persona, la rende schiava di una moltiplicazione di falsi bisog ni. Nessuna alternativa quindi tra avere ed essere: non avere o essere ma avere per essere. Questo collocare il dono al centro della persona è fondamentale. Non si può pensare la gratuità e l'oblatività come la riserva di valori umani da far intervenire nei punti più critici e nei momenti più trepidi della vita sociale; vanno invece viste come lo spazio per la piena espressione della persona. Proprio per questo la gratuità è capace di concretezza, di progettualità e di professionalità; lungi dal rifugiarsi nella marginalità, ha capacità di stare sul mercato. La gratuità sensibilizza la persona, le dà un modo di essere ed uno stile di vita ed apre la coscienza ad una rete più ampia di rapporti e di responsabilità. Il legame del dono con la storia di salvezza ed i suoi rapporti con la vita sociale si svela così fecondo sotto molti profili. In termini di fede introduce ad una concezione della vita, ad una interpretazione della realtà non in base al realismo dei fatti e delle cose ma in base all'agire salvifico di Dio: apre così la strada alla comprensione della verità della vita, alla comprensione del suo senso ultimo. In termini socio-culturali non si presenta come il contrario della giustizia ma, nel suo sforzo di ripensamento dei rapporti umani e del loro significato, acquista la capacità di riequilibrare il sistema. Questa attenzione alla persona è preziosa proprio in ordine ad una nuova visione sociale. Da una parte, mettendo al centro il lavoro, educa ad una attenzione alle risorse umane e non solo alle strategie economiche; dall'altra l'attenzione alla persona impegna ad affrontare non solo il bisogno di risposte sociali ma anche il nodo dei bisogni e di una loro valutazione. In questo senso ogni impresa, al di là della distinzione tra utenti ed erogatori di servizi, deve saper promuovere la centralità della persona. L'affermazione, in sé ovvia, attraverso la cooperazione è arrischiata nel mondo economico e si trova così a misurarsi con la importanza del den aro e con la presenza dei più svantaggiati. Il valore della gratuità esige che si sappia mostrare come il denaro è solo mezzo e non fine: fine sono le persone; del pari la centralità delle persone esige un aprirsi intelligente e sostenibile agli ultimi.
Il dono/donatore verso l'altro Compreso in Cristo, il dono è finalizzato alla salvezza dell'altro: gli si fa vicino, lo accoglie, gli offre il dono della sua misericordia. La parabola del buon samaritano di Lc 10,30-37 è al riguardo profondamente significativa. Sotto questo profilo il dono potenzia i legami sociali senza esclusione alcuna; in quanto attenzione all'altro, il dono è la memoria etica della società. Certo vi sono anche falsi doni: vi sono doni interessati. Mentre il vero dono, trova la radice di una eventuale risposta nella gratitudine, il falso dono obbliga; non a caso le scritture temono che il dono "accechi chi ha gli occhi aperti e perverta anche le parole dei giusti" (Es 23,8) ed invitano a "non accattare doni contro l'innocente" (Sal 15,5). La dinamica del dono è un'altra cosa. Il dono offerto e accolto stabilisce un rapporto di fiducia e di gratitudine, di modo che accettare un dono è importante quanto lo è il farlo: implica una circolarità di dinamiche positive che aprono il rapporto a qualcosa di nuovo. Se riprendiamo l'immagine della storia della salvezza, allora il dono di Dio è Gesù Cristo che, in quanto uomo-Dio, entra nella storia umana, si fa vicinanza alle persone ed al loro modo di vivere. In questo senso, il dono diventa vicinanza alla povertà umana: diventa perdono delle debolezze e delle miserie umane. Questa singolare vicinanza di Dio è però irriducibile alle sole attese umane: se la gente invoca di vedere e chiede di camminare o di guarire, i vangeli pongono l'accento sulla rivelazione dell'abbá. In questo sorpassare le attese stesse delle persone, il dono diventa rivelazione del senso ultimo della vita. Tradotta in termini socio-culturali, questa drammatica della grazia div ina invita a cogliere il senso del dono nella riconciliazione delle differenze e nella valorizzazione di tutti. Questa vicinanza, al di là di atteggiamenti consolidati, apre la possibilità di ricominciare una esperienza nuova, di porre la vita su basi nuove. Ci si lascia alle spalle un sistema ingabbiante di dipendenze per prendere in mano la responsabilità della propria libertà. Nasce così un senso vivo della propria cittadinanza, una cultura diversa della politica e dello stato. Più ancora, questa attenzione al destinatario offre un criterio di facile utilizzo nella valutazione di esperienze in genere molto complesse: quello evangelico che invita a guardare ai frutti (Mt 7,16-18). La cooperazione nasce dalla necessità, dai bisogni veri delle persone e, mentre insegna ad affrontarle con tutti i mezzi del nostro tempo, si impegna però anche a costruire una maniera diversa di intendere la vita e la società. La logica cooperativa non può mai appiattire le persone ed abituarle a vivere di sole realtà materiali: tramite esse, apre il cammino verso qualcosa di più alto - la dignità, la solidarietà … - qualcosa che ognuno interiorizza con la forza che ha.
Il donare, lo scambio dei doni Atanasio, nel De Incarnatione 54, commenta così l'economia di salvezza: "Dio si è fatto uomo perché noi uomini diventassimo dei, cioè partecipi della vita divina"; la tradizione riassumerà questa realtà con il termine di admirabile commercium, di meraviglioso scambio di doni. La fede cristiana ci ricorda così la necessità di condividere i diversi doni perché solo da questa condivisione nasce l'insieme. I padri indicheranno la partecipazione alla chiesa cattolica come lo "essere parte di un tutto" ed un teologo romantico della seconda metà dell'ottocento, J.A. Möhler, dirà che tutto lo siamo solo tutti insieme. Queste indicazioni non ricordano solo che ognuno ha il proprio dono (1Cor 7,7) ma invitano anche a non sopravvalutarsi ma a conoscersi per quello che si è veramente (Rm 12,3; 1 Pt 4,10): nessuno può partecipare alla costruzione di un tutto se non conosce se stesso, se non sa cosa può dare. Dopo aver indicato nello Spirito la forza che mantiene uniti doni diversi (1Cor 12,4), le scritture offrono altre due indicazioni: innanzitutto invitano a non spegnere lo Spirito (1Ts 5,19-20) ma a discernerne con fiducia l'azione senza farsi prendere da disfattismi o da timori ed, inoltre, spingono a non accontentarsi: "aspirate ai doni più grandi! Io vi mostrerò la via migliore di tutte" (1Cor 12,31). E Paolo, a questo punto, introduce il tema della carità. Anche senza farsi prendere la mano così da tradurre subito queste indicazioni nel linguaggio della cooperazione, non si può fare a meno di cogliervi più di uno spunto. La cooperazione appare mossa da una logica affine a quella dell'agire divino: appare cioè guidata da un desiderio di aprirsi in tutte le direzioni e verso tutte le persone, altrimenti intristisce e muore. Il sogno è quello di una economia centrata sulla società civile, dove il diritto al lavoro ed alla crescita tramite il lavoro possa davvero raggiungere tutti, in particolare le fasce non coperte dalle imprese. E questo non per beneficenza ma, appunto, come diritto; solo così nascerà una nuova cultura della società civile e dello stato; solo così potrà nascere una forma più alta di coscienza civile ed un diverso modello di consenso sociale. Questo tipo di scambio cooperativo rappresenta una vera rivoluzione culturale; poiché mette in gioco i rapporti tra le persone, leggendoli sulla base del loro rapporto con Dio, risveglia la coscienza di ciascuno ed inquieta la logica di vita delle comunità. Potenziando le relazioni creative e dinamiche, la cooperazione non poggia sulle istituzioni ma sulle persone stesse a cui offre uno spazio di aggregazione e di coordinamento. Questa ampiezza di prospettive non sta solo nell'inizio ma deve accompagnare il lavoro cooperativo e consortile in ogni momento; vi è sempre il rischio, infatti, che le ragioni economiche finiscano alla lunga per diventare prevalenti e per spegnere ogni idealità. Intuiamo così la preziosità di un continuo rifarsi ad una teologia della agape divina: contemplandola, non si tratta di cedere a qualche forma di intellettualismo ma di imparare a prendere la storia nelle proprie mani e per arrischiarvi il dono di se stessi. Segni di una attenzione non ideologica all'altro, il dono e la gratuità sono il sacramento della fedeltà di Dio e ne offrono il segno nella solidarietà umana. Lo stile del servizio, il metodo della democrazia, il camminare insieme, la valorizzazione di tutti sono le caratteristiche di questa impegnativa scelta. Attraverso essa si costruisce veramente lo spessore umano e culturale della fede personale e comunitaria.
3. Avere lo sguardo penetrante: verso una società diversa
In questo impegno bisogna saper avere lo sguardo penetrante: bisogna saper vedere in lontananza, se non si vuole soccombere al senso di fallimento e di rassegnazione che, a volte, può dominarci. Al riguardo, vale la pena di meditare le parole di Isaia, scritte durante l'esilio, in una situazione di grande oppressione; al suo popolo affranto e scoraggiato, il profeta ricordava il messaggio di Dio: "ecco, faccio una osa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?" (Is 43,19). Il sogno di una società diversa è oggi contrastato dalla perdita di senso e dalla diffusione di un clima materialista ed individualista. Ne viene un impoverimento culturale, un appiattimento della coscienza quotidiana delle persone; lo stesso sapere frammentato e spezzettato, di cui disponiamo, si trova a mal partito di fronte ai meccanismi di condizionamento. L'inaridimento burocratico della vita pubblica e la perdita di orientamenti decisivi in quella privata vanno in questo senso. Da qui, a volte, il rifugio nella scienza o, appena ci si accorge del vuoto di senso della razionalità tecnologica, il ricorso