UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Presentazione della 44a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani

8 Ottobre 2004

l giorno prima era intervenuto Nenni; dopo di lui seguiranno Togliatti e Croce. La Pira invitò a costruire sulla roccia e la individuò nella persona umana, delineando una architettura di edificio costituzionale di tipo personalistico e pluralista. E affermò: “Il principio basilare è “la società e lo stato per la persona e non la persona per la società e lo stato”. E, insieme, l’altro principio: “la persona è subordinata al vero bene comune sociale e politico che è sempre, in ultima analisi, il bene integrale della persona”. Ieri come oggi questo fondamento va riaffermato. E qui lo snodo della vita democratica: lo snodo antropologico, appunto. 3) E non solo per fedeltà al luogo, è bello evocare qui Giuseppe Dossetti. Nel 1987 ( era allora monaco), su invito del card. Giacomo Biffi, tenne una lezione magistrale su “Eucaristia e città” che non si può obliare. Ma ora di lui, di Dossetti, raccogliamo un messaggio testamentario sintesi della sua militanza politica. E del 1994: “Ho cercato la via di una democrazia reale, sostanziale, non nominalistica. Una democrazia che voleva che cosa? Che voleva innanzitutto cercare di mobilitare le energie più profonde del nostro popolo e di indirizzarle in modo consapevole verso uno sviluppo democratico sostanziale, cioè in larga misura non solo favorente soprattutto il popolo, non nel senso di solo oggetto dell’opera politica, ma di soggetto consapevole dell’azione politica”. A 10 anni di distanza questo messaggio è una consegna.
Qui, oggi, queste figure e questi messaggi sono eredità preziosa posta nelle nostre menti e nelle nostre mani e sono sempre capitale di investimento. Occorrono, però, appunto, menti e mani disponibili. Buon lavoro.
Il programma di questa solenne inaugurazione della 44a Settimana dei Cattolici Italiani prevede una “presentazione” da parte del Presidente del Comitato scientifico-organizzatore. Traduco la “presentazione”, a nome dell’intero Comitato, in saluto cordialissimo e grato a questa santa Chiesa bolognese e a questa splendida città di Bologna; in deferente omaggio a tutte le onorevoli Autorità di ogni ordine e grado; in augurio – amichevole e fiducioso – per tutti voi partecipanti, a vario titolo, alle intense sedute di questi giorni culturalmente impegnativi. La “presentazione”, però, dovrebbe essere anche un primo approccio tematico alla Settimana. Non ritengo, tuttavia, opportuno andare oltre una semplice esplicitazione della intenzionalità di fondo e di qualche esplorazione dei significati. E proprio per questo, quasi a “provocazione” (nella accezione etimologica del termine: sollecitare in avanti), mi è caro utilizzare la categoria del paradosso, nella duplice suggestione di “passione del pensiero” (Kierkegaard) e di “professione dei contrari” (Pascal), che caratterizza lo statuto del cristiano nella storia. I cattolici italiani, che su specifici nodi sociali in circa 100 anni si sono convocati 44 volte da quella prima assemblea del 1907, oggi si sono dati appuntamento a Bologna (per la 2a volta, dopo quel 1949 in cui si discusse di “Sicurezza sociale”), per trattare di “Democrazia: nuovi scenari, nuovi poteri”. E già qui emerge un paradosso. In verità, proprio nel Documento preparatorio, abbiamo scritto che “la democrazia sta attraversando nel nostro Paese (e non solo nel nostro) una situazione paradossale. Da un lato – si è detto – è ormai largamente assodata la convinzione che essa costituisca un sistema valido ed efficace di conduzione della vita pubblica; dall’altro, le rapide e profonde trasformazioni sociali, intervenute in questi ultimi anni, ne hanno reso più difficile il cammino” (n. 3). Ma la paradossalità che a me sta a cuore sottolineare non è propriamente questa che si giuoca in dimensione orizzontale, all’interno cioè dei dinamismi della convivenza umana. E, invece, una paradossalità che si potrebbe anche chiamare trascendentale e che fa parte della visione cristiana dell’uomo, della società, della storia. Anzi proprio essa intende cogliere il rapporto tra storia ed eschaton, tra tempo ed eternità, tra i passi del cammino e il riferimento alla meta. Il “caso serio” di ogni figura di democrazia è la visione dell’uomo. La Chiesa italiana ne ha viva e tenace consapevolezza. Del resto è questo l’orizzonte che vale a disegnare la dottrina sociale della Chiesa: espressione della “Sollicitudo rei socialis” e insieme esperienza storicamente situata, come testimonia il magistero vasto e puntuale del santo Padre Giovanni Paolo II. Qui è il paradosso. Lo esplicito in due affermazioni. a) Il cristiano è l’uomo della ulterioirtà e del futuro. Scrive S.Paolo ai cristiani di Filippi (3,20): “La nostra patria è nei cieli” (con maggiore precisione il testo greco dice πολιτευμα, che amerei tradurre: statuto, norma fondamentale – costituzionale ?! – del vivere). Nella lettera agli Ebrei è detto: “Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura” (13,14). R. Garandy tradurrà: “Dateci la trascendenza”. b) Il cristiano è l’uomo del presente storico e della solidarietà umana. Ha affermato il Concilio Vaticano II proprio all’inizio della Costituzione su la Chiesa nel mondo di oggi, Gaudum et Spes: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini, i quali riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre e hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò essa si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia” (n. 1).
Ecco il paradosso: costruire la città dell’uomo, essere dentro la storia e vivere nell’attesa del compimento, consapevoli, però, che il compimento non si dà saltando la storia. “Viviamo nelle cose penultime e crediamo nelle ultime” (D. Bonhoeffer). Ne deriva il compito, inderogabile ed esigente, di rendere la vicenda nel tempo degna dell’uomo e dare alla terra un volto pienamente e veramente umano, secondo il disegno di Dio. Né, tuttavia, l’impegno del cammino si identificherà con la patria del compimento. Aldo Moro soleva chiamare questa dialettica “il principio di non appagamento”. C’è un antico testo della tradizione cristiana (una anonima Lettera a Diogneto, del II secolo) che tematizza questa paradossalità e ne indica la vivibilità con suggestive espressioni: “I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per il modo di vestire. Non abitano mai città loro proprie, non si servono di un gergo particolare, né conducono uno speciale genere di vita … Sono sparpagliati nelle città greche e barbare, secondo che a ciascuno è toccato in sorte. Si conformano alle usanze locali nel vestire, nel cibo, nel modo di comportarsi; e tuttavia, nella loro maniera di vivere, manifestano il meraviglioso paradosso, riconosciuto da tutti, della loro società spirituale” (V, 1-2.4). Questo è l’orizzonte del cristiano: παράδοξοσ πολίτέια Lo era nel II secolo. Lo è, e non può non esserlo, per il cristiano di tutti i tempi, anche per i cattolici di questa 44a Settimana, che proprio la forma della πολίτέια ha per tema. A questo punto sarebbe doveroso e bello ricordare tante esperienze e tante figure che nella elaborazione concettuale e nella prassi hanno saputo esemplificare il modo di essere e lo stile del cristiano nel tessuto della società civile e nella vita politica. Tra una numerosa folla di testimoni appena qualche riferimento. 1) Alcide de Gasperi. Il Presidente della CEI, card. C. Ruini, nel ricordare i 50 anni della morte in occasione del Consiglio Permanente del 22 settembre lo additava come ispirazione di questa Settimana. E doveroso qui ricordarlo come padre dell’Europa. La figlia Maria Romana, così racconta il suo intervento, l’ultimo, alla Conferenza Parlamentare Europea di Parigi (21 aprile 1954). «La sala era la stessa che nel 1946 lo aveva visto passare vestito di scuro a raccogliere umiliazioni in nome della Patria e ad ascoltare le sanzioni della guerra perduta. Con un abito grigio chiaro, i capelli striati di bianco, il corpo più affaticato ma ormai uomo di Stato parlava adesso agli occhi attenti dei rappresentanti dei Paesi consociati al Consiglio d’Europa. Tracciava nell’aria, a larghi gesti, l’architettura della nuova Europa. L’armonia delle varie tendenze, dal concetto liberale sulla organizzazione e l’uso del potere politico all’idea socialista della solidarietà operaia, non sarebbero, diceva De Gasperi, sufficienti da sole a costituire la base di questa unità. “Io affermo, che all’origine di questa civiltà europea si trova il cristianesimo … non intendo con ciò introdurre alcun criterio confessionale, esclusivo, nell’apprezzamento della nostra storia. Soltanto voglio parlare del retaggio europeo comune, di quella morale unitaria che esalta la figura e la responsabilità della persona umana con suo fermento di fraternità evangelica … col suo culto del diritto ereditato dagli antichi, col suo culto della bellezza affinatasi attraverso i secoli, con la sua volontà di verità e di giustizia acuita da un’esperienza millenaria” …». 2) Giorgio La Pira, del quale ricordiamo il centenario della nascita. L’11 marzo 1947 tenne il suo intervento alla Costituente su “architettura di uno stato democratico”. I

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