UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Preferisco il rumore del mare. Visione del film e incontro con il regista Mimmo Calopresti

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6 Settembre 2000

Film: Preferisco il rumore del mare. Regia: Mimmo Calopresti (Italia 2000). Interpreti: Silvio Orlando, Michele Raso, Paolo Cirio, Fabrizia Sacchi, Mimmo Calopresti. Durata: 90' Distribuzione: Mikado
La terza regia di Mimmo Calopresti ha la forza di una conferma: il cinema italiano non starà forse benissimo (come si affannano a ricordarci ad ogni momento recensori e addetti ai lavori), ma sa trovare dentro di sé le energie per regalarci ogni tanto pellicole sopra la media, come è il caso di Pane e tulipani di Soldini, di Fuori dal mondo di Piccioni, o di questo Preferisco il rumore del mare. Dopo la parentesi romana de La parola amore esiste, Calopresti torna all'ambientazione che più sente più sua, quella sabauda. Una Torino di immigrati, ma ben diversa da quella vissuta nell'infanzia dall'autore, arrivato bambino dal Sud al seguito del padre divenuto operaio della Fiat. La Torino di Luigi, che proviene dalla Calabria, è la realtà ricca di chi ha fatto fortuna: una villa con parco nei quartieri alti, la vita agiata del dirigente d'azienda integrato nel tessuto cittadino che cerca di eliminare che cerca di eliminare l'inflessione meridionale e tifa per la squadra di calcio dei torinesi a denominazione controllata. Il rovescio della medaglia è costituito da una famiglia spezzata e infelice: la moglie stralunata e fragile di mente è tornata a vivere con il padre, il figlio quindicenne Matteo è scontroso e chiuso. Ma pure Luigi, distratto e assente, non riesce a vivere a fondo alcun rapporto, compreso quello con una giovane che lo sollecita, invano, a costruirsi una vita meno convenzionale e vuota di umanità. Mentre è in vacanza nel paesello natale, Luigi incontra Rosario, un ragazzo con un'enormità di problemi familiari e personali alle spalle. Lo intuisce duro, ma anche recuperabile, e scatta in lui la voglia di offrirgli una possibilità, assieme all'idea egoistica di utilizzarlo come chiave per smuovere l'apatia del figlio. Rosario viene così accolto nella comunità di don Lorenzo (un prete che sembra la copia carbone di don Ciotti) e comincia un'amicizia silenziosa ma sincera con Matteo. E ancora una volta Luigi, nella sua approssimativa esigenza di darsi da fare, a rovinare con la diffidenza prevenuta il rapporto incipiente. L'epilogo è piano e al contempo definitivo, con il ritorno di Rosario alla sua terra, al suo mare. Il film è costruito su due opposizioni: una generazionale e una, più centrata, di tipo sociale. La prima, rappresentata dall'incapacità biunivoca di comunicare tra padre e figlio, è sfumata e tutto sommato irrisolta; la seconda, giocata sullo scontro latitudinale tra culture diverse, produce risultati artisticamente e realisticamente accettabili, scevri da ogni ottimismo sociologico: è vero che l'accettazione di chi è diverso da sé passa attraverso la conoscenza, ma non sempre questa produce comprensione. Per cui può succedere che neppure la buona volontà porti a risolvere i conflitti, tra poveri e ricchi, tra Nord e Sud: a ciascuno la propria terra e la propria vita. Preferisco il rumore del mare è un'opera intelligente e raffinata, con qualche ingenuità narrativa, ma sorretta da un'apprezzabile coraggio espositivo che non pretende di spiegare tutto a tutti i costi. Notevole la fotografia di Luca Bigazzi, che contrappone il calore diffidente del meridione a una Torino freddamente maestosa; tutti in parte gli interpreti, compreso Calopresti nei panni del sacerdote alternativo. Il titolo è ancora una volta preso a prestito dalla letteratura: nel caso de La parola amore esiste, si trattava di un verso di Marguerite Duras, qui è una citazione dai "Canti Orfici" di Dino Campana che cantava: "Fabbricare, fabbricare, fabbricare, preferisco il rumore del mare".