UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Per un’autentica conversione della pastorale e della presenza delle aggregazioni laicali

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19 Gennaio 2000

nversione la Chiesa è capace di una vera progettualità . Nella vicenda di Pietro cogliamo così il paradigma della conversione pastorale, il paradigma di un cammino che anche noi vorremmo percorrere, facendo tesoro della nostra esperienza, ma accettando anche il nuovo che si affaccia nel mondo del lavoro.
1. Avere chiaro l'obiettivo del nostro convenire
Vorrei iniziare la mia comunicazione che apre i lavori di questa giornata, ricordando l'obiettivo del nostro incontro. Uno dei rischi che in genere si corre nei convegni è quello di allargare il discorso a 360°, perdendo la direzione di quello che si intende raggiungere. Si è magari soddisfatti di aver detto quello che sta a cuore, ma non si riesce a fare dei passi avanti. Sappiamo tutti che i problemi sono complessi e le questioni in gioco sono tante, ma una sorta di disciplina interiore che si traduce in un metodo preciso, ci obbliga a definire l'obiettivo che consente di fare un percorso sapendo che ci sono ancora altre questioni aperte e che il nostro impegno non finisce con questo incontro e con quanto riusciremo ad elaborare. Alla luce del cammino di questi anni e in sintonia con l'impegno della Chiesa italiana, ci siamo posti l'obiettivo di tentare di delineare un progetto di pastorale sociale e del lavoro unitario che veda le varie componenti, le pastorali diocesane e le aggregazioni laicali, agire in comunione di intenti, di finalità e di metodo, convinti che per camminare insieme, non basta la buona volontà, ma è indispensabile darsi anche dei tempi, dei metodi e degli strumenti verificabili. Richiamare questo obiettivo fondamentale ci consente di inquadrare il percorso che faremo oggi. Abbiamo iniziato, ieri, con due momenti di approfondimento e di ascolto. Il primo intervento ha permesso di interrogare la tradizione della Chiesa apostolica per capire quali sono state le sue scelte nel momento in cui si apriva, per la prima volta, dalla cultura ebraica a tutto il mondo allora conosciuto per essere fedele al mandato del suo Maestro e Signore di annunciare il messaggio della salvezza a tutti. La relazione di mons. Betori ci ha permesso di cogliere alcuni aspetti portanti e significativi, mentre i vari interventi in sala ne hanno ripresi e accentuati alcuni. Il secondo intervento ha permesso di contestualizzare il nostro obiettivo all'interno del progetto culturale della Chiesa italiana che risponde all'impegno di portare il vangelo nella cultura di oggi, nel nostro caso nel mondo del lavoro e del sociale. Oggi vivremo insieme un momento che richiederà la partecipazione di tutti perché cercheremo di scendere nel concreto dell'elaborazione. La giornata si dividerà in due momenti: nella mattinata, con l'aiuto di alcune comunicazioni, porremmo la questione (positio quaestionis) e cercheremo di organizzare il lavoro dei laboratori di gruppo del pomeriggio. Le comunicazioni, infatti, offriranno le coordinate per aiutare i gruppi di studio ad individuare i percorsi della progettualità comune che vorremmo sperimentare insieme per un rilancio della pastorale del lavoro e del sociale.
2. Alcuni punti fermi
Nel disegnare questa progettualità comune che ci sta a cuore, mi pare opportuno richiamare tre punti fermi che sono essenziali per un'azione pastorale in grado di rispondere alle nuove sfide.
a) una conversione della pastorale in prospettiva missionaria Credo che tutti noi abbiamo maturato, a partire sia dalla pastorale ordinaria che dalla pastorale sociale e del lavoro, l'urgenza di questa conversione, anche se siamo coscienti che esiste uno scollamento tra le dichiarazioni del Magistero e quello che si riesce a fare. Non voglio soffermarmi a descrivere in cosa consista questa conversione, ma richiamare semplicemente alcuni elementi che compaiono nelle esperienze e nella riflessione delle comunità. In primo luogo siamo invitati a riscoprire il significato e il senso del primo annuncio, quello che è il kerigma, riuscendo a dire la nostra fede in modo essenziale e significativo affinché raggiunga le singole persone nelle varie realtà della vita. Evangelizzare, prima di tutto, non è trasmettere un corpo sistematico di verità, ma annunciare che Cristo, il figlio di Dio, viene incontro ad ogni uomo. Ci sarà certamente il momento della formazione alle verità della fede che verrà dopo, ma occorre riscoprire questo primo momento fondamentale di ogni azione pastorale. Un secondo elemento, espressione di questo bisogno di cambiare, coincide con l'obiettivo stesso della conversione pastorale che non è tanto quello di aumentare la percentuale della pratica religiosa - certamente questo può anche avvenire ed è auspicabile che avvenga -, ma è plasmare un'autentica mentalità cristiana. Sempre più ci rendiamo conto che la sintesi tra fede e vita è la sfida di fondo dei cristiani di oggi. Riusciamo a dire delle cose molto belle, ad annunciare grandi verità e grandi princìpi, ma se guardiamo alla prassi delle nostre comunità e alla vita di noi cristiani, ci rendiamo conto di una grande divisione. Certo, la realtà del peccato attraversa tutta la storia della Chiesa; non siamo peggiori o migliori dei cristiani del passato, ma mai come oggi lo scarto tra fede e vita rischia di essere, per così dire, "strutturale" perché sembra non fare più problema per cui pare quasi normale avere "vite parallele". Un terzo aspetto della conversione emerge dall'esigenza che i vari soggetti della pastorale imparino ad operare insieme e a fare sintesi tra di loro. Ci sono le parrocchie, le varie pastorali, le aggregazioni laicali, le differenti presenze di ambiente: non si tratta di svalutare nessuno, né di privilegiare alcuno, ma di cominciare a ragionare in una prospettiva che sa coniugare in modo propositivo e creativo e disegnare una nuova relazione tra questi vari soggetti. Anche se non ci nascondiamo le difficoltà, le resistenze e i limiti, siamo coscienti che non è possibile una conversione pastorale senza un'armonizzazione di questi vari soggetti che non significa omologazione o appiattimento, ma capacità di realizzare sinergie, di riconoscere ruoli specifici, di individuare impegni particolari.
b) alcune condizioni indispensabili 1. La prima condizione o scelta di fondo per una progettualità pastorale comune è il discernimento comunitario. Il discernimento comunitario nei confronti del mondo del lavoro deve rimette al centro della pastorale la questione del lavoro oggi. Abbiamo celebrato l'anno scorso un Convegno nazionale nel quale questo in parte si è realizzato e costituisce certamente un punto di riferimento. A questo proposito il rischio che viviamo è quello di ripetere gli schemi conflittuali di un tempo - da questo punto di vista la nostra pastorale forse è il luogo dove persistono di più certe visioni rigide del passato - oppure di accogliere acriticamente i nuovi miti e gli slogan che sono di moda oggi, mentre di fronte alla questione del lavoro è urgente una vigilanza attenta. Come cristiani non abbiamo ricette per il problema lavoro, ma certamente il dovere di vigilare sui nuovi fenomeni in nome di una visione cristiana dell'uomo e del lavoro, partendo da alcune opzioni fondamentali come la scelta dei poveri, delle persone meno privilegiate, degli esclusi. E questo non nell'ottica conflittuale dei vecchi schemi, ma nella prospettiva di chi sa di dover stare nella storia avendo il compito di portare il sale e la luce e di collaborare con tutti gli uomini di buona volontà nella ricerca di soluzioni di giustizia e solidarietà. 2. La seconda condizione per una progettualità unitaria e comunitaria è la scelta prioritaria dell'evangelizzazione, scelta che commento rapidamente perché sarà oggetto della riflessione di oggi. Questa, infatti, realizza il compito fondamentale della Chiesa e ne è la categoria costitutiva per quanto riguarda la sua missione nel mondo in generale e nella realtà del lavoro in particolare. Nel documento Il rinnovamento della catechesi, l'evangelizzazione viene descritta in questi termini: "Educare al pensiero di Cristo, a vedere la storia come lui, a giudicare la vita come lui, a scegliere e ad amare come lui, a sperare come insegna lui, a vivere in lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo. In una parola, nutrire e guidare la mentalità d i fede" Per realizzare questo è necessario raggiungere le persone nei vari ambienti di vita, anche nei contesti di lavoro, parlare alle loro coscienze e, al contempo, è fondamentale che la stessa comunità cristiana si lasci evangelizzare. 3. La terza condizione è quella della responsabilità e della partecipazione. Non è possibile una conversione pastorale che giunga ad un progetto comune se non riscopriamo che questo è compito di tutti, che tutti dobbiamo convertirci perché tutti siamo responsabili. Saper coniugare responsabilità e partecipazione non è cosa facile perché, quando ci sentiamo responsabili, tendiamo ad escludere gli altri, mentre la responsabilità comporta sempre il coinvolgimento dei vari soggetti della Chiesa.
c) i soggetti chiamati a conversione A questo punto pare opportuno ricordare i vari soggetti che storicamente sono presenti nella pastorale sociale e del lavoro. Non voglio qui trattare la storia - l'abbiamo fatto altre volte -, ma presentare semplicemente le varie presenze pastorali che sono chiamate a convertirsi insieme per costruire una nuova progettualità. Ci sono le pastorali diocesane che sono espressione della missione della Chiesa; le aggregazioni laicali nella loro multiforme caratterizzazione e nei loro diversi carismi che costituiscono la ricca tradizione del movimento cattolico italiano; le comunità parrocchiali; le singole persone che agiscono in quanto credenti. E' essenziale rendersi conto che ognuna di queste realtà ha un suo compito, una sua caratterizzazione, un suo carisma, una sua autonomia, ma anche il dovere di saper collaborare responsabilmente partecipando alla progettualità comune. L'obiettivo del nostro convenire - come è stato detto più volte - consiste proprio nel saper trovare le linee, i percorsi e gli strumenti necessari per questa progettualità pastorale. Per quanto riguarda le pastorali diocesane, mi pare che uno dei problemi di cui siamo chiamati a prendere coscienza è il fatto che sovente abbi amo modelli diversi di riferimento ed anche dei linguaggi differenti. Non si tratta, affatto, di omologare niente e nessuno, anzi di saper essere attenti alle peculiarità territoriali, coscienti che non è tanto la specificità che crea problemi, quanto l'incapacità di elaborare un modello comune che sa adattarsi alle specificità. Alla luce delle indicazioni fondamentali del documento Evangelizzare il sociale, con la volontà di superare incomprensioni e personalismi e senza cadere nella sterile protesta nei confronti di un'innegabile marginalità del nostro ambito di pastorale, dobbiamo ritrovare il coraggio apostolico di costruire un linguaggio comune più preciso e più articolato che permetta di dialogare con tutti e di costruire questa progettualità pastorale, affrontando le difficoltà oggettive con uno spirito nuovo e propositivo. Per quanto riguarda le aggregazioni laicali la conversione di fondo concerne l'impegno a superare una certa "autoreferenzialità" che le porta a vivere una sorta di ripiegamento su se stesse, sui loro programmi e scadenze, perdendo il senso della Causa fondamentale che è all'origine della loro presenza e dei loro servizi. Tutte le aggregazioni laicali di ispirazione cristiana, infatti, nella loro variegata configurazione, hanno avuto una Causa religiosa forte che le ha fatte sorgere; in che misura questa continua ad essere il loro sostegno e la loro ispirazione anche in mezzo ai cambiamenti in atto, alle difficoltà e ai problemi attuali? Come l'ispirazione cristiana comune le spinge a collaborare tra di loro, superando le difficoltà di dialogo? Tante volte le varie aggregazioni sono presenti sullo stesso territorio e insistono sugli stessi servizi, incapaci di costruire delle sinergie e dei collegamenti, pure nella diversità dei carismi. Anche in questo caso bisogna superare la paura di essere omologati o "incapsulati" dalla pastorale, per comprendere quali rapporti è essenziale costruire. Superare, da parte delle associazioni, una certa paura di perdere la loro autonomia e, da parte delle pastorali, un certo fatalismo, sono elementi sui quali è necessario ragionare.
3. Una proposta da realizzare insieme
Mi rendo conto che i problemi non mancano, che l'impresa può sembrare un po' ardua - e certamente non sarà l'elaborazione dei gruppi che risolverà tutto - ma è indispensabile indirizzarci con coraggio verso l'impegno di costruire una progettualità pastorale che parta dai punti fermi che ci siamo detti, dal cammino di questi anni e dalle convinzioni che abbiamo maturato insieme. Questa progettualità comune diventa espressione della conversione missionaria perché i progetti, sebbene siano sempre storici e contingenti, sono uno strumento indispensabile per tradurre in pratica la nostra missione. Le grandi idee hanno sempre bisogno di un carrello per atterrare. Tutti, ormai, siamo stanchi di ripetere le cose sulle quali siamo d'accordo; quello che ci manca è la capacità di scendere nel concreto per battere alcune piste comuni di costruzione. Questa progettualità unitaria non è un semplice progetto organizzativo ma è l'espressione di una missione, di una coerenza e di una fede comuni. "II Santo Padre ha sollecitato un'evangelizzazione nuova anche nell'espressione. Sono espressione di evangelizzazione anche le strutture attraverso cui si organizza l'azione pastorale. Anch'esse, dunque, hanno un valore pastorale e devono essere rinnovate. Per la loro natura le strutture tendono alla stabilità, e per questo possono in qualche modo rallentare o bloccare il dinamismo dell'azione pastorale. Si impone, pertanto, una loro revisione costante. Per un'azione pastorale rinnovata, in rapporto alle esigenze attuali del lavoro, dell'economia e della politica, anche le strutture organizzative della pastorale sociale devono configurarsi essenzialmente come evangelizzatrici e missionarie". La progettualità, quindi, non è fine a se stessa ma è il modo per tradurre in concreto la conversione pastorale di cui tutti quanti avvertiamo il bisogno e che oggi tenteremo di avviare nei lavori di gruppo attraverso l'individuazione di quattro ambiti sui quali rifletteremo insieme a partire da quattro sollecitazioni e da quanto stiamo già realizzando nelle nostre esperienze. I quattro ambiti sono: 1. l'evangelizzazione delle varie categorie di lavoratori, la pastorale d'ambiente; 2. la formazione; 3. la spiritualità; 4. la testimonianza delle opere.
Sono ambiti fra di loro collegati che costituiscono per così dire la trama del progetto pastorale che cercheremo di sviluppare in questi anni.
4. Pietro, l'icona della conversione
Pietro è colui che ha fatto esperienza diretta nella sua opera missionaria della verità del titolo che abbiamo dato al nostro convenire: "Com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?" (At 2,8). Incontrando Cornelio, infatti, esclama: "In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto" (At 10,34-35). Pietro non solo sperimenta questa verità, ma tocca anche con mano il contrasto, la fatica di realizzarla. Il libro degli Atti ci riporta le critiche che Pietro ha dovuto subire: "Sei entrato in casa di uomini non circoncisi e hai mangiato insieme con loro!" (11,3). Questa frase, rivolta a Pietro, è emblematica delle critiche di sempre nei confronti di ogni conversione pastorale perché questa implica sempre un uscire fuori dagli schemi e dalle idee preconcette, obbliga ad azzerare i pregiudizi e le soluzioni consolidate per aprirsi alla novità dello Spirito di Dio. Pietro, infine, dall'esperienza della verità e del contrasto, giunge alla capacità progettuale missionaria: "Or dunque, perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di portare?" (At 15,10) Solo dopo questo cammino di co