UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro…

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3 Aprile 1999

isce per scaricare sulle associazioni di volontariato la risposta ai bisogni primari. Mentre ritengo che sia fondamentale presidiare questo tipo di attività "caritativa" che è strategica per l'inserimento anche lavorativo, bisogna prestare attenzione a questa sorta di furbizia del quadro istituzionale che riversa le parti più scomode del problema proprio sugli enti e le istituzioni caritative. Siamo quindi provocati a far girare la ruota della storia nella direzione giusta. Per difendere e qualificare quel minimo di civiltà che il nostro mondo ha saputo costruire, dobbiamo essere capaci di allargare i paletti della tenda per includere altri popoli, altre persone, altri fratelli dentro questa tenda dei diritti della cittadinanza e della civiltà.Sintesi( non rivista dall'A.) dell'intervento, il cui testo integrale può essere consultato nel file allegato. L'A. inquadra la propria riflessione nello scenario delle società occidentali, nelle quali è oggi possibile distinguere due categorie di persone: cittadini a pieno titolo e altri che non sono riconosciuti come tali pur lavorando più o meno regolarmente. Il diritto dei lavoratori migranti richiama non delle categorie specifiche di persone da tutelare e proteggere, ma tocca un punto fondamentale di una società che è incapace di andare oltre, di invertire quella tendenza perniciosa che colloca nel cuore della democrazia la divaricazione tra cittadini a pieno titolo e non cittadini, forse tollerati in quanto utili, ma sempre relativamente e in maniera condizionata. Passando ad analizzare i processi migratori, l'A. conclude che il fenomeno dell'immigrazione non può essere connotato solo in termini di miseria. Esiste certamente una spinta derivata dalla povertà, dalle diversità di reddito tra le aree del mondo, ma c'è anche la spinta derivante dal rapporto che si intesse fra immigranti e non immigranti e la forza delle motivazioni individuali, dell'istruzione e della mobilità professionale. Non si può, quindi, leggere l'immigrazione come un comportamento autonomo degli immigrati. L'immigrazione non è solo un problema degli immigrati, ma è profondamente legata alle istituzioni, ai comportamenti e agli atteggiamenti delle società ospitanti. In altri termini ogni società plasma, definisce e costruisce il suo tipo di immigrazione. Fra i tanti modelli di immigrazione che si sono succeduti, nel tempo e nello spazio, l'A. definisce anche un modello "implicito" che si identifica con il caso italiano e, in parte almeno, con gli altri paesi della sponda settentrionale del Mediterraneo, che soltanto in anni recenti sono passati da società di emigrazione a società di immigrazione. Buona parte dei nostri problemi derivano dal fatto che l'immigrazione non è stata esplicitamente costruita, voluta, accettata e riconosciuta, ma è stata utilizzata economicamente e nel mercato del lavoro. Si finisce per regolarizzare chi, in un modo o nell'altro, è riuscito ad entrare, anziché prevedere un modello di regolazione e di promozione più disciplinata ed esplicita di migrazione. Certamente non è una politica da paese civile quella di tenere le frontiere formalmente chiuse e poi regolarizzare quelli che in qualche modo sono riusciti ad eludere i controlli, spesso con modalità irregolari, utilizzando vari stratagemmi che sono fra l'altro sempre più spesso gestiti da organizzazioni criminali. Poste queste valutazioni, l'A. passa a presentare le forme di mercato del lavoro verso le quali l'immigrazione si orienta. C'è una integrazione industriale che è tipica del Nord Est e della Lombardia e c'è un'integrazione, chiamata subalterna, che è quella dei servizi domestici e che sfocia sempre più nell'assistenza agli anziani. Queste due integrazioni hanno caratteristiche quasi opposte: la prima è maschile, la seconda è maggiormente femminile; la prima è più legata alla provincia e ai contesti extraurbani, la seconda è tipicamente cittadina e metropolitana. C'è un terzo fenomeno che comincia ad emergere ed è l'integrazione imprenditiva, come lavoratori autonomi, nei settori della ristorazione, dell'edilizia, del piccolo commercio, dei negozi e delle attività di import-export. Come funziona questo strano fenomeno del lavoro immigrato che si inserisce in un paese con tanti disoccupati? Il discorso è molto complesso e l'A. si limita ad accennare a qualche passaggio. In realtà proprio questa contraddizione dimostra la complessità del mercato del lavoro italiano. In una società sviluppata il mercato del lavoro è segmentato; possono coesistere settori e aree in cui c'è il lavoro e non ci sono le persone disponibili a farlo, e altre aree in cui invece le persone che cercano lavoro superano la disponibilità di posti. Naturalmente in Italia tutto è reso più complicato dalle differenze regionali. Abbiamo regioni che hanno tassi di disoccupazione fra i più alti d'Europa e altre che tendono verso i valori più bassi. Da alcuni anni è ricominciato il fenomeno dell'immigrazione interna, che però non è più sufficiente a rispondere ai bisogni delle imprese. Dopo aver analizzato le ragioni, anche di carattere etnico, che permettono di capire meglio le modalità dell'incontro tra domanda di lavoro e offerta immigrata, l'A. affronta il tema del lavoro irregolare, ritenendo che non dobbiamo lasciarci avviluppare dalla polemica per cui il lavoro irregolare sia quasi tutto manovalanza criminale. Certamente questa esiste, ma ci sono anche molte altre realtà. C'è il lavoro dei braccianti nell'agricoltura, c'è il lavoro nelle imprese etniche dei cinesi e di altri, ma c'è anche un fenomeno molto più normale e tranquillo che è il numero enorme di collaboratrici domestiche non regolari che lavorano nelle nostre famiglie italiane. L'A. conclude richiamando l'importanza dell'associazionismo volontario per gli immigrati. C'è l'associazionismo tradizionale caritativo che eroga servizi diretti; c'è l'associazionismo che possiamo definire rivendicativo che difende i diritti, protesta contro il razzismo; c'è un associazionismo emergente definito imprenditivo che si organizza in cooperativa per gestire centri di accoglienza o altre attività e infine, meno diffuso nel nostro paese, ma molto importante, c'è l'associazionismo etico, promosso dagli stessi immigrati per rispondere ai loro bisogni. Sappiamo che questi tipi di reti hanno avuto una grande importanza in Italia, soprattutto nel primo decennio della grande immigrazione; probabilmente abbiamo bisogno di sviluppare tutte le forme di associazionismo e di una più organica collaborazione tra queste diverse reti associative e le istituzioni pubbliche. Spesso proprio negli enti locali si assiste ad una sorta di sufficienza nei confronti dell'accoglienza di primo livello e si fin

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