UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Laudato si’ mio Signore. Per la spiritualità del creato

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9 Novembre 2001

per la bellezza che vediamo nella creazione, dalla creazione e soprattutto dalla contemplazione imparare - non a essere padroni - ma a conoscere tante cose, a conoscere Dio dalla creazione, secondo quanto ci dice San Paolo, a conoscere noi stessi. - Laudato si' mi Signore. Per la spiritualità del creato
Il titolo che è stato dato a questo intervento "Laudato sì, mi Signore per una spiritualità del Creato", si stacca un po' da tutti gli altri perché il rapporto con la creazione può essere solamente un canto, "Laudato sì mi Signore". E importante e lo ricorda, ad esempio, un altro titolo, dato ad un'Assemblea mondiale del Consiglio Ecumenico delle Chiese a Canberra, che era una preghiera: "Vieni, o Spirito Creatore, e rinnova la faccia della terra". Credo che proprio su questo profilo di un canto e di una preghiera vada visto il rapporto dell'uomo con la creazione. Le riflessioni saranno divise in quattro punti secondo una indicazione introduttiva che è stata proposta. Quando sono stato invitato mi è stato detto che in quanto francescano, in quanto biblista, in quanto ecumenista io ero in grado di proporre queste riflessioni; quasi sembrava che fossi l'unica persona in grado di presentare questo. Allora proprio in base a questa unzione iniziale in quanto francescano il primo punto sarà "San Francesco Cantore della Creazione"; in quanto biblista "Lo sfondo biblico dell'esperienza di Francesco"; in quanto ecumenista "La sintonia ecumenica del tema"; e alla fine il quarto punto alcune riflessioni unitarie "Per una spiritualità della creazione".
San Francesco Cantore della Creazione Il suo canto è uno stupore; è stato ripetutamente definito il "Cantore della Creazione". Ormai è un luogo comune, ma noi possiamo comprendere questo non solamente come uno dei tanti spunti, un aspetto particolare, ma come uno dei punti fondamentali della sua personalità. Nei suoi rapporti con la Creazione Francesco manifesta la più autentica immagine di sé, non tanto o solo come poeta, ma come uomo nuovo, rigenerato, che vive già la vita riconciliata della Risurrezione. Ed è proprio questa esperienza di vita radicata in una profonda povertà evangelica che Egli - a differenza dei riformatori del suo e di altri tempi - esprime non c on la contestazione o con la polemica ma con il canto. Il canto è il modo originario ed esperienziale di vivere ed annunciare le Beatitudini: la povertà, il distacco, la fratellanza sono in Lui una vera Beatitudine, il canto della vita. Al di fuori di questa idea fondamentale non si può comprendere la povertà di San Francesco, che non è rinuncia, ma piuttosto liberazione da un legame al particolare, per aprirsi all'accoglienza e alla comunione universale. La povertà, anziché defraudarlo, mette nelle mani di Francesco tutta la creazione; egli ne è il custode fedele, perché nella sua esperienza religiosa ha ritrovato l'umiltà di sentirsi creatura fra le creature e perciò fratello tra fratelli e sorelle. Quindi, scoprendo Dio nel suo cammino spirituale, riscopre la creazione e la fa cantare: ecco il senso del bacio e il senso del canto. Contemporaneamente, riscoprendo la creazione e mettendosi in sintonia con essa, vede tutta la originarietà e la originalità delle forze in essa presenti e così recupera l'integralità della sua esperienza e della sua persona umana. Ecco perché Francesco - come uomo che, in questo rapporto con Dio e con la creazione, recupera tutta la sua dimensione umana - è un messaggio e un punto di riferimento non solamente per i francescani, non solamente per i cattolici, non solamente per i cristiani, ma per chiunque sia alla ricerca di una esperienza originaria e di una profonda originalità e originarietà umana, di una esperienza integrale come uomo. In Lui il canto diventa preghiera contemplativa: non c'è preghiera in lui, non c'è espressione di religiosità che non coinvolga tutta la creazione. Anche nella sua regola, soprattutto nella prima, nella quale si avverte una certa insofferenza per l'espressione giuridica, lui pone nel cap. XXIII quello che viene definito come un canone, od un praefatio, che proclama, con un inno di lode e ringraziamento, i momenti fondamentali della storia della salvezza. E importante questa unità di visione: in lui : la creazione, la redenzione e il ritorno di Cristo, le tre grandi rivelazioni di Dio. E le esprime con un grande senso di stupore e di meraviglia: "Onnipotente, Altissimo, Santissimo e Sommo Iddio Padre Santo e Giusto, Signore del cielo e della terra, per Te stesso Ti rendiamo grazie...". Quindi in lui diventa preghiera contemplativa perché scopre il Creatore e, scoprendo il Creatore Padre di tutti, scopre la fraternità universale. Non è un senso puramente estetico, ma è questa sintesi - della quale accenneremo dopo - di visione, perché scoprendo Dio lo vede nella concretezza, lo vede come Creatore e lo vede nella Incarnazione e nella incarnazione viene pure riallacciata l'opera di Cristo con l'opera del Padre e la presenza dello Spirito. E sempre una esperienza trinitaria quella di Francesco e come frutto di questa esperienza abbiamo il Cantico delle Creature, che è stato definito come un atteggiamento nel quale Francesco si vede come un centro di amore in una fraternità universale. E un canto non rivolto alle creature - si è voluto parlare spesso di una atmosfera quasi panteistica in Francesco… il Canto non è rivolto alle creature ma al Signore per le creature: "Laudato si', mi Signore, per tutte le creature", quindi a causa delle creature e per mezzo delle creature. E questo Lui lo può fare, perché la sua povertà gli permette di non fermarsi alle creature, ma di cogliere in esse la presenza del Signore. In questa prospettiva vediamo eliminato ogni dualismo: Lui si sente fratello tra fratelli e questo è l'unico rapporto giustificato con tutto ciò che esiste. E Francesco, all'interno di questo canto, che naturalmente non abbiamo il tempo di vedere e di leggere, canta la vita e la morte. Noi abbiamo cantori solo della vita o cantori solo della morte. Tante volte ci sentiamo di cantare la vita e accogliamo messaggi di canti alla vita, ma dettati da edonismo o da egoismo perché identifichiamo la vita solo con la nostra esperienza attuale. O abbiamo canti alla m orte che derivano da delusione, da stanchezza e da rifiuto della vita, ma non è questo il canto alla morte di Francesco. Francesco può cantare e la vita e la morte, perché ha trovato il senso e il gusto del suo essere e della sua esistenza al di fuori di sé: l'ha trovato in Dio, presente sia nella vita sia nella morte. Il Cantico delle Creature, che è una sintesi, è un canto appunto di questo rapporto di Francesco con la Creazione, una profonda esperienza biblica che lo mette in questo rapporto con la natura.
Lo sfondo biblico dell'esperienza di Francesco Nella Lettera ai fedeli abbiamo una preghiera simile a quella che abbiamo sentito prima e che riproduce praticamente quel Cantico rivolto a Dio e a Cristo dai quattro esseri viventi in Ap.5. Soprattutto, poi, in lui è presente quel messaggio di Rom.8, nel quale Paolo esprime il gemito della creazione, assoggettata alla corruzione a causa del peccato, ma che Paolo vede ancora gemere. Essa geme in sintonia con i gemiti dello Spirito, che abita il nostro corpo: anche il nostro corpo animato dallo spirito geme, per arrivare a una liberazione finale. Quindi questi gemiti, che vedono la creazione opera del Creatore ed anche la caduta - altro elemento fondamentale per interpretare la storia e la creazione - ci fanno ricordare la maledizione ma contemporaneamente quella promessa che troviamo sempre nella Genesi, "non maledirò più la terra". Il secondo punto di riferimento, molto vivo nell'esperienza e nel messaggio di San Francesco, è quello che è già stato ricordato - e anche qui solo qualche accenno - di Gen.1, 28, dove abbiamo il coronamento dell'opera della creazione. Qui abbiamo la narrazione della creazione, presentata in un dinamismo liturgico verso un fine che la trascende: la creazione trova il suo completamento nel sabato, che è al di sopra della creazione, ma trova anche un suo culmine all'interno della creazione e questo culmine è la creazione dell'uomo. L'uomo, quindi, all'interno della creazione, di cu i costituisce l'apice, ma un uomo che riceve per missione un incarico: accanto alle creature è ordinato a Dio. E' il momento nel quale la creazione da buona diventa molto buona, non tanto in senso estetico o morale, ma in quanto trova la sua armonia completa, che corrisponde con l'introduzione dell'uomo al suo fine originario; solo con l'uomo ha il suo senso totale e finché c'è questa armonia la creazione ha un senso. Un uomo, che è creato a immagine di Dio - è stato osservato ieri sera - soprattutto perché non è creato, come nelle altre tradizioni, come schiavo di Dio o degli dei, ma associato a Dio nell'opera della creazione, in quanto gli viene affidato una missione che non è tanto quella di soggiogare, ma piuttosto di accompagnare e di condurre, di reggere. Ed è inserito come momento fondamentale in questa alleanza; ricordiamo l'importanza di Gen.9 - da aggiungere a Gen.1, 28 - dove mi pare che dal versetto 9 in poi abbiamo questa alleanza di Dio non solamente con l'uomo ma con ogni essere vivente e con la terra, che Dio non maledirà e non distruggerà più con il diluvio. Siamo nella estensione del concetto di alleanza che sappiamo ha le sue origini al Sinai, poi la riflessione teologica all'interno del popolo di Dio la estende ad Abramo - quindi prima del dono della legge, sottolineando la gratuità di questa alleanza - ma che nella Genesi viene allargata a tutta la creazione. L'uomo, in questo equilibrio e in questo rapporto di alleanza, ha questa funzione, questa missione. Il terzo momento di questo rapporto positivo dell'uomo con la creazione noi lo abbiamo in una prospettiva verso il futuro, se leggiamo il famoso testo di Is.11 e poi anche l'ultimo di Is.65: è l'armonia della creazione presentata come raggiungimento e scopo finale, la salvezza escatologica, quindi come ritorno all'armonia cosmica iniziale. Anche nella relazione di ieri era citato Colossesi 1, 20; anche in questa teologia del Nuovo Testamento viene sottolineata la portata cosmica della Redenzione. Questi sono fattori molto importanti, senza i quali non possiamo comprendere la spiritualità, l'esperienza e il messaggio di San Francesco. San Francesco non era il dotto nel senso classico ma aveva un senso profondo nella interpretazione della Parola di Dio e gli Esegeti lo mettono sempre maggiormente in evidenza. Quindi è una profonda comprensione che deriva dall'esperienza soprattutto, una profonda comprensione del messaggio biblico che dà questa armonia a tutta la sua esperienza religiosa.
La sintonia ecumenica La terza osservazione, il terzo punto, è quello della sintonia ecumenica. E già stato accennato anche prima; sappiamo che ha trovato una sensibilità prima di tutto in campo ecumenico, dapprima in campo protestante, ma immediatamente anche in campo ecumenico e quindi, in un secondo momento, direi, all'interno della Chiesa cattolica. Questo tema ha trovato un consenso in campo ecumenico ed, anzi, attualmente è uno dei campi privilegiati per l'ecumenismo, dove non è di ostacolo un contenzioso ecclesiologico o un confronto dottrinale diretto. In questo campo - io penso - si potrebbe essere più coraggiosi, avere meno paura dei propri limiti ed essere meno preoccupati per le proprie identità, perché i motivi teologici che sono alla base di un impegno ecologico credo che superino i classici ma anche eventuali nuovi contenziosi in campo ecumenico. Per esempio, a livello europeo abbiamo nello stesso mese due incontri, Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE), e un altro della Conferenza delle Chiese Europee (KEK) o meglio, dalla rete ecologica europea (ECEN), legata alla KEK, alla quale però il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee non partecipa. Noi, come francescani, siamo invitati dall'uno e dall'altro e quindi li seguiamo tutti e due, pensando che ci potrebbe essere una collaborazione più stretta. Alcune differenziazioni ci sono, anche a Seul ci sono state delle specificazioni su parecchie differenziazioni, ma sui problemi immediati dell'ambiente, credo che non dovrebbero esistere motivi che giustifichino seriamente cammini separati e quindi meno efficaci. Comunque riguardo a questo tema credo che può essere utile un riferimento a uno studio di Simone Morandini che ha pubblicato in Studia Patavina del 2000, "Un approccio sacramentale per la teologia della creazione" dove potete trovare riferimenti sia a teologi che a documenti delle varie chiese . Io mi limito a qualche riferimento per dire come questo problema sia importante in campo ecumenico e sentito a Basilea. Nell''89 credo che tutti o quasi tutti ricordiamo questo avvenimento, nel documento di Basilea nei nn. 12 e 13 si parla delle minacce dell'ambiente, cosa che è più sviluppata nel numero 87, dove vengono presi parecchi impegni ed offerte parecchie indicazioni. Molte di queste sono state ricordate anche nella prima relazione di stamattina e questo indica che forse aggiungere tanta carta è solamente uno spreco ecologico, forse bisognerebbe trovare vie per una sensibilizzazione, vie concrete, abbiamo sentito anche ieri sera praticamente ce ne sono, poi anche ci sono iniziative concrete, i funerali ecologici, ecc.. Ecco, tutto questo è urgente, deve diventare una mentalità, una spiritualità prima che diventare una attività che si impegna e colpisce settori specifici. (Il titolo di Basilea era "Pace nella giustizia". L'urgenza dell'ecologia da parte dei componenti cattolici ancora non era molto sentita e sottolineata. Altro avvenimento importante è l'assemblea del Consiglio ecumenico di Seul del 1990, il tema era "Pace, giustizia e salvaguardia del creato". Di Seul vorrei ricordare soprattutto nel documento finale l'affermazione VII, dove - è importante questa sottolineatura, proprio quel cuore che si diceva prima, quel bacio - affermiamo che la creatura è amata da Dio, finché non maturiamo questo senso di una creazione amata da Dio non abbiamo motivi sufficienti per rispettarla, non solo per rispettarla ma per prenderci c ura ed essere preoccupati di lei. Secondo il suo criterio e la sua divisione affermiamo la sua integrità intrinseca, ci opporremo ad alcune pratiche - lo sfruttamento, l'estinzione delle specie, l'inquinamento, ecc. - e noi ci impegniamo ad essere al tempo stesso membri della comunità vivente del creato, in cui siamo non semplicemente una delle specie e membri della comunità dell'alleanza di Cristo. E nell'affermazione VIII affermiamo che la terra appartiene al Signore: affermiamo che gli esseri umani dovrebbero far uso della terra e delle acque in modo da permettere alla terra di ripristinare con regolarità la sua capacità di dare vita - abbiamo sentito stamattina - ci opporremo alle politiche che trattano la terra come una semplice merce. In questo contesto è notevole il contributo degli ortodossi in preparazione a Seul i quali fanno delle riflessioni molto importanti: la creazione è riportata naturalmente al concetto trinitario, ma è colta anche come creazione disintegrata. Soprattutto loro insistono su questo fatto: ogni volta che si parla di creazione, come quando si parla della storia della salvezza, loro rimproverano a noi occidentali di partire da schemi e di non tenere conto del fatto del peccato, fin dal peccato originale. Infine, la terza sottolineatura è quella del creato trasfigurato, cioè partendo dalla creazione e in riferimento al messaggio biblico di San Paolo. Canberra, come accennavo prima, nel 1991, Assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese, dà un titolo all'assemblea "Vieni Spirito Santo, rinnova l'intera creazione", ed è importante anche qui la proposta che fa. "Fonte di vita custodisci il creato", quindi come invocazione a Dio, sapendo che la storia ci insegna che noi finché confidiamo nella nostra abilità, finora siamo riusciti solo a rovinarla. Poi la prospettiva sacramentale cristiana della creazione, una teologia della creazione centrata sullo Spirito di modo da far sorgere una spiritualità della terra; e poi "Verso un'etica dell'e conomia e dell'ecologia" naturalmente solamente per accennare ai temi che sono stati affrontati in quelle assemblee.
Per una spiritualità del creato Ultima riflessione: "Per una spiritualità del creato"; il discorso è già avviato nel cap. VII di un libro di Simone Morandini, "Nel tempo dell'ecologia" , che evidenzia sei importanti tematiche, alle quali aggiungerò le mie. Prima di tutto il fatto "creati dalla terra", tenere presente la corporeità, la finitezza, è stato sottolineato anche stamattina, e il legame con tutti i viventi; la creazione come sacramento; poi la coscienza di vivere in una storia, naturalmente tramite la nostra concretezza corporea; l'orizzonte escatologico; trasformare il creato; e una terra delle donne e degli uomini. Vorrei aggiungere a questo qualche osservazione: prima di tutto la necessità di una vera spiritualità, una spiritualità che non è una devozione. Una spiritualità deriva solamente da una visione unitaria della propria fede; da un aspetto particolare potrà nascere una devozione, ma non una vera spiritualità che caratterizza nel concreto tutta l'esperienza personale. Quindi il rischio, credo, di avere le famose teologie: teologia di questo, teologia di quest'altro, ognuna con un suo centro focale. Io credo che una spiritualità e una teologia deve inserirsi in una visione unitaria che è la visione della nostra fede, la sintesi della nostra fede radicata nel credo e quindi nella trinità e nella resurrezione. Lì deve trovare la sua collocazione. Secondo la famosa gerarchia delle verità: c'è l'esigenza prima di tutto di una visione unitaria all'interno di una situazione trinitaria, quindi di un Padre Creatore, e qui la necessità di un dialogo con la creazione e con le culture. E, all'interno di questa visione unitaria, l'ecologia trova lo spazio nella Incarnazione e quindi nella unità in Cristo e qui trova spazio il dialogo fra le Chiese. Nella visione trinitaria è la presenza dello Spirito fonte di vita e qui abbiamo la presenza di Dio che opera anche fuori del cristianesimo. Quindi l'esigenza di inserirci con questo problema all'interno di questa visione unitaria più che focalizzare nuovi punti, naturalmente ognuno ha i suoi punti specifici. E poi per una spiritualità, oltre che in riferimento a questa visione unitaria, l'esigenza di concretezza, cioè deve diventare non teoria oppure non semplice definizione, non semplice spiegazione concettuale, ma deve diventare esperienza di vita più che elaborazione concettuale. Deve diventare un sapere che maturi un sentire e sappiamo che il sentire, anche se non dà la giustificazione razionale di tutto ciò che esprime, è segno di maturità, vuol dire che una realtà è penetrata nella vita; un sentire è un vivere nella concretezza. Quindi esigenza di una visione unitaria ed esigenza di concretezza in questo senso. Una spiritualità del creato - e qui faccio una semplice enumerazione - può essere tratteggiata in forma descrittiva e non sistematica attraverso alcune affermazioni o caratteristiche; ancora non ho trovato una sistematizzazione, ma penso che ci si arriverà. Prima di tutto una visione sacramentale e/o eucaristica del mondo, che collega l'elemento visibile, palpabile, con Dio presente nel mondo tramite il Suo Spirito. Dicevo prima, che San Francesco canta Dio "per" le sue creature. Quindi, il mistero della Incarnazione e qui dovrebbe essere spontaneo riferirsi alla creazione parlando dell'Incarnazione; ricordiamo San Francesco che per l'Incarnazione porta da mangiare agli uccelli, perché è di tutti, e fa cantare alle stelle una sinfonia, secondo la descrizione che ne fa anche il Celano. Quindi, ancora, questa visione sacramentale ed eucaristica nell'ottica della risurrezione; basta sentire le sollecitazioni soprattutto degli ortodossi anche se non sono solamente loro, e dei sacramenti. Quindi l'eucaristia vista come sacramento cosmico, e poi il valore della corporeità, e qui si inserisce e trova senso la mondanità, la laicità e qui si collega quel sacerdozio universale che permette e anzi obbliga ciascuno a rendere sacrifici spirituali a Dio. Altra componente è quella della riconciliazione universale nella riscoperta della sorgente o del padre della vita: la vita quindi, tutto l'ampio spazio della vita, come luogo di condivisione e di fraternità. Tutto ciò che vive fa parte di questo tipo di fraternità e qui va recuperata la sinfonia fra creazione e redenzione senza dualismi, ed è una delle accuse che gli orientali fanno agli occidentali, questo dualismo spirito e corpo. Un altro: la fede nella Provvidenza come dimensione normale dell'esperienza di Dio e non come avventura o attesa miracolistica, noi ricordiamo qualcuno che ha fede nella Provvidenza e la Provvidenza consiste nel far succedere qualcosa di strano; in questa visione anche il dolore, se viene a superare la sua dimensione individualistica, acquista il suo vero senso. Poi la categoria della misericordia e della compassione come categoria di rapporto: questo è un nuovo concetto emerso a Graz, io ero convinto che sarebbe poi stato valorizzato, come la categoria dell'alleanza a Seul ma è passato inosservato, non ha lasciato tracce. All'assemblea di Graz, il documento base al n. 23 dice "scopriamo una spiritualità della compassione per la creazione di Dio che ricorda la radicale umiltà e povertà di molti movimenti cristiani fra cui quello di San Francesco d'Assisi". Credo che questo senso di compassione e di misericordia sia un'espressione di un vero rapporto con la creazione. Ancora, la sottomissione - può sembrare strano - come rapporto di dialogo. C'è questa espressione di San Francesco che lo fa sembrare ancora più pazzo e strano: "La santa obbedienza confonde tutte le volontà corporali e carnali e ogni volontà propria e tiene il suo corpo mortificato per l'obbedienza allo Spirito e per l'obbedienza al proprio fratello. Allora l'uomo è suddito e sottomesso a tutti gli uomini che sono nel mondo e non soltanto ai soli uomini ma anche a tu tte le bestie e alle fiere, cosicché possano fare di lui quello che vogliono per quanto sarà loro concesso dal Signore" (Lode alle virtù). Questo cosa vuol dire? E un atteggiamento di chi non si sente padrone di nessun altro, despota di nessun altro, ma sottomesso a tutti gli altri. Poi la vita vista come un canto alla bellezza - questo sarebbe molto bello - frutto di contemplazione e di trasparenza: si vedono le cose che partono da Dio e ritornano a Lui. Penso che una insensibilità per la bellezza sia una mancanza di contatto con Dio e segno di un falso rapporto con la creazione. Sintesi di un rapporto positivo è, invece, la preghiera di San Francesco il quale dice: tu sei bellezza. E' stato osservato che, se Dostoevskij ha affermato che la bellezza salverà il mondo, ciò ricorda che il mondo non può essere salvato con il ricorso alla forza. Da qui nasce l'ascolto, la necessità dell'ascolto e del dialogo. Altro punto è la speranza e non la catastrofe che caratterizza la visione cristiana del mondo, è il messaggio della risurrezione (ricordiamo Romani 8 e Apocalisse). San Francesco poi parla della grazia del lavoro nella sua regola, non più lavoro come castigo ma come grazia, come dono, il lavoro che torna a essere vocazione e missione. Senza lavoro verrebbe compromessa l'immagine dell'uomo immagine di Dio, quindi il lavoro ha una valenza antropologica, il lavoro lega l'uomo alla creazione. San Francesco dice: "che i frati lavorino non per cupidigia o per ricevere la mercede ma per vivere onestamente e se non fosse dato a loro la ricompensa del lavoro, non si preoccupino, vadano ad elemosinare, però lavorare devono lo stesso" perché fa parte della dignità umana, è una missione per la crescita del mondo, per il progresso, per la dignità dell'uomo nella sua integrità, non subordinato agli interessi del mondo. E da qui nasce la necessità di un rapporto positivo con la scienza senza dualismi, lo richiede l'unità dell'uomo - corpo e spirito - e la dignità della corpo reità. Come conclusione io invito - non lo faccio io perché non c'è più tempo - a rileggere la sintesi di spiritualità del creato offerta da Ap.4-5 e 21-22: la novità della creazione e della storia, la creazione che ha rinnovato e continua a rinnovare il mondo, promettendo e spingendoci verso cieli nuovi e terra nuova insieme. Nel paradiso, in Ap.22, c'è un fiume di acqua viva, albero della vita e universalità. Cristo risorto, quindi, che riconcilia la creazione e la storia. Nella Genesi la creazione era stata creata da Dio buona, e molto buona con l'ingresso dell'uomo, ora tutta la creazione nell'Apocalisse raggiunge il sommo della bontà. Nella pratica io credo che la spiritualità dovrebbe e deve essere un punto di partenza specifico delle chiese, prima che interventi su problemi particolari. E' un'indicazione che viene anche dall'ecumenismo che, dopo aver prodotto quasi tutti i chiarimenti possibili in campo teologico, non ha portato ufficialmente le chiese ad un passo in avanti verso l'unità. E lo stesso: il problema ecologico, se non diventa mentalità e spiritualità, allora possiamo produrre tanti altri documenti, migliori e più perfetti, ma rimarremo statici. Bisogna, quindi maturare una esperienza cristiana individuale ed ecclesiale; una formazione alla bellezza e al bello, rapportare il lavoro alla dignità della persona (cose già dette, ma io credo che debbano diventare mentalità). Celebrare, cantare, pregare la creazione, far entrare nel nostro sentire la vita; catechizzare e predicare una visione ecologica di Dio, dell'uomo e del mondo; conoscere e far conoscere quindi le visioni e le sintesi di molti documenti. Non preoccupiamoci di far veicolare, di spiegare il documento di Graz, il documento di Seul e il documento di Basilea; i loro contenuti sono quelli che interessano e che dovrebbero diventare materia del nostro sentire, ma anche della nostra catechesi. Occorre bandire in tutti i campi ogni dualismo