UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

L’animazione spirituale

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19 Gennaio 2000

fede-vita viviamo la morte e risurrezione del Signore). Ecco l'essenziale della nostra missione nel sociale e nel mondo del lavoro: fare tutto ciò che dipende da noi, con tutto noi stessi (prendere la croce, Mc 8,34), con forte identità (carismi a servizio della comunità e del Regno), in comunità apostoliche (il nostro essere Chiesa) profondamente inserite in contesti di povertà (condizioni sociali di emarginazione, lavoro dipendente, ambienti popolari marginali), facendo tutto il nome del Signore (Col 3,17) e camminando come suo popolo incontro a Lui (tensione escatologica della nostra vita). Solo allora ci accorgeremo di avere un cuore di carne che coglie la presenza dei poveri e, in essi viviamo la presenza di Dio nell'oggi; con loro comprenderemo il significato delle Scritture e riconosceremo il Signore nello spezzare il pane della vita. Allora, non perdiamoci d'animo: "Teniamo fisso lo sguardo su Gesù: è Lui che ci ha aperto la strada della fede e ci condurrà sino alla fine" (Ebr 12,2). 1. Nel mondo ma non del mondo
"E la Missione che deve far uscire la Chiesa da se stessa per un'evangelizzazione di inculturazione, attraverso la quale la fede si incarna in una terra nuova, sia geografica che sociale. Allora la Chiesa è 'Chiesa' quando cerca il mondo per il quale prova rispetto, simpatia, amore. Allora è missionaria" (p. Chenu). P. Chenu parlava così, verso la fine della sua vita, della Missione Operaia di Francia. Negli ultimi anni della sua vita, p. Chenu fa il bilancio del suo cammino di fede e individua due momenti: l'incontro e l'approfondimento teologico della Parola di Dio; il secondo momento gli è stato dato dalla partecipazione ad incontri di assistenti e militanti dell'ACO e della JOC in cui ha scoperto la stessa conoscenza di Dio dalla vita dei militanti cristiani e dalla scoperta dei segni del Regno di Dio all'interno della vita dei lavoratori. Gli ultimi, la nostra scelta di campo ci fanno essere dentro la storia, "nel mondo ma non del mondo", cioè uomini e donne che ricercano e vivono "il totalmente Altro" nel mondo, nella carne dell'uomo. E nella storia, nel mondo, scopriamo la nostra "laicità", l'essere laico, cioè cristiano senza aggiunte. Occorre ritrovare la nostra identità laica e dunque battesimale, prima di preoccuparci dei "laici" e del ruolo dei "laici nella Chiesa e nel mondo". E la vita di discepoli del Signore, "sale" dentro ambiti secolari, "seme" che muore perché il frutto ci sia e sia abbondante. A tutti noi sono ben presenti la contraddizione che genera questa condizione: essere nel mondo ma non del mondo, come pure l'espressione paolina "usare come se non si usasse" (1Cor 7,29-31). Come seguire Gesù (Mt 10,37) ed essere fedeli all'uomo. A volte siamo tentati di cercare l'uno tralasciando l'altro. La tensione interiore tra l'assoluto escatologico e il pieno impegno nel mondo sarà uno degli equilibri instabili che accompagneranno la nostra vita. E l'equilibrio che il cristiano deve ricercare quando prende coscienza che come discepolo è mandato a "liberare": predicando il regno di Dio e ridando la salute (Lc 9,2; Mc 6,7.13; Mt 10,1), dove la parola è congiunta all'azione: "il regno di Dio è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo" (Rom 14,17). Parola e Giustizia, ambedue sono parti integranti dell'evangelizzazione. L'attenzione ai problemi di giustizia, di pace, di integrità del creato sono una dimensione "laica" di tutta la Chiesa e di ogni ministero nella Chiesa e sono ambiti dove vivere la fede e l'annunzio della Parola incrociando l'uomo nelle sue situazioni di vita. Dare testimonianza dinanzi al mondo del bisogno di amore e di giustizia contenuto nel messaggio evangelico è missione e responsabilità di tutta la Chiesa. Non possiamo sfuggire alle azioni per la giustizia, partecipando alla trasformazione del mondo. E il tessuto vivo della nostra fede, non è un optional ma la condizione "di vita" in cui rendere ragione della nostra parte e continuare a ricercare "il volto di Dio". Tra giustizia, fede e evangelizzazione c'è un legame essenziale. Si è ancora troppo poco convinti che "la priorità riconosciuta alla libertà e alla conversione del cuore non elimina affatto la necessità di un cambiamento delle strutture ingiuste" (Congr. Dottrina della Fede, 75). Lavorare per un mondo più giusto solamente attraverso la conversione del cuore è solo un sogno che ci pone fuori dal mondo, ma lavorare per la giustizia senza annunziare la liberazione del cuore è un'illusione materialistica che ci fa essere solo "del mondo". Noi vogliamo essere uomini e donne liberi che hanno "fame e sete di giustizia", discepoli e servitori del Signore nelle realtà umane, con generosità e competenza, all'interno delle strutture dove sono in gioco la sorte dei poveri, poiché sono queste strutture a condizionare la vita degli uomini e possono favorire o contrastare il regno di Dio. E al loro interno che siamo chiamati a rendere efficienti gli imperativi della carità ponendo opere di giustizia e a entrare in relazione per aiutarsi a scoprire la presenza del Signore e "trovare il senso" della vita e delle sue situazioni. E faticoso e presto nel mondo troviamo la croce che ha il nome di smacco, incomprensione, vere sofferenze: ... "Chi rifiuta voi rifiuta me, ma chi rifiuta me rifiuta colui che mi ha mandato" (Lc 10,16). Gesù avverte i discepoli che dovranno testimoniarlo davanti ai tribunali (At 5,4-22) ed anche essere messi a morte (At 12,1-2). Ma "non temete coloro che uccidono il corpo" (Mt 10,28), "chi non prende la sua croce non è degno di me" (Mt 10,38). L'impegno del cristiano nel sociale non è un ripiego, è l'ambito dove vivere la dimensione della croce e della risurrezione come condizione ordinaria della comunione con Cristo morto e risorto (Rom 12,1-2). Non ci viene chiesto di convertire il mondo operaio ma di rendere testimonianza a Lui, servendolo presso i lavoratori e quanti sono provati nella loro dignità di uomini. Non una Chiesa che si curva sopra ma che vive la fede e l'annunzio dentro le contraddizioni e le povertà del mondo del lavoro. Più siamo "dentro" e più avvertiamo l'urgenza di essere radicati in Cristo; più Lo conosciamo più troviamo l'audacia per aprire nuove strade all'evangelizzazione.
2. I poveri presenza di Dio nel mondo
"Se qualcuno vuol venire con me, smetta di pensare a se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Chi pensa a salvare la propria vita la perderà; chi invece è pronto a sacrificare la propria vita per me e per il vangelo la salverà... Se uno riesce a guadagnare anche il mondo intero, ma perde la vita, che vantaggio ne ricava? C'è forse qualcosa che l'uomo può dare in cambio per riavere la vita"? (Mc 8,34 ss.). Seguire Gesù vuol dire fare le sue stesse scelte: l'impegno per il Regno. Il Regno è nel mondo e la sua gemmazione è in tutta l'umanità. La Chiesa è segno e sacramento del Regno. I poveri sono i titolari del Regno: "di essi è il Regno"... Se i poveri sono i soli eredi del Regno, la povertà è la legge del rapporto Dio-uomo e deve essere anche la legge dei rapporti interpersonali e della convivenza dei popoli. Come credenti e come Chiesa rischiamo di perdere il senso della nostra vita se non riscopriamo la povertà, quella di Gesù di Nazareth come risposta alle attese degli uomini. Il segno dato da Cristo Gesù non è stato che il vangelo è annunziato a tutti gli uomini, bensì il vangelo annunziato ai poveri. Il vangelo è destinato a tutti, senza distinzioni, ma non è l'annunzio universale del vangelo che rivela la presenza di Dio nel mondo ma il fatto che si realizza per mezzo dei poveri. L'autenticità dell'annunzio a tutti gli uomini è garantita se passa attraverso la crune dei poveri. Se non c'è questo segno nella nostra vita pastorale-missionaria, si affievolisce il segno che ci è stato affidato della presenza di Dio stesso. La nostra esperienza testimonia quanto la povertà e la scelta dei poveri ci rendano veri e liberi: nudi davanti a Dio e uguali tra fratelli e sorelle. Ma quanti contrasti e problemi ci vengono da questa scelta! Attraverso essa, anche nel mondo d'oggi, diventa visibile la nostra appartenenza al Regno di Dio. Occorre riscoprire e riavvicinarsi a Gesù povero di Nazareth per ritrovare le ragioni ultime del nostro impegno nel sociale e, particolarmente per il mondo del lavoro dipendente. Incarnato, perso nella folla senza distinguersi da essa, per liberarla da tutto ciò che tormenta e opprime l'uomo. La sua vita non è fatta di miseria ma di povertà laboriosa. Come quella dei lavoratori dipendenti fatta di laboriosa subalternità. Il loro nome non è conosciuto, non hanno incarichi particolari, nemmeno nella Chiesa. Sono stati privati anche del loro "spirito" dal consumismo edonistico e dal materialismo ateo e, spesso, anche dall'insignificanza del sale dei credenti che ha perso sapore. Noi vogliamo essere tra questi uomini comuni, la nostra gente, come Gesù di Nazareth e spendere la nostra vita per il Regno non tanto per loro, quanto con loro. Con lo stesso rispetto di Gesù, chiamati con loro ad essere segno della presenza di Dio nel nostro mondo. Per essere discepoli del Signore e Chiesa, ricchi della cittadinanza di Nazareth (il lavoro) e della ricerca quotidiana di fedeltà al vangelo. Da questa condivisione, vissuta in contesti e in modi diversi, con la gente comune che vive di lavoro, che si impegna per la giustizia e il diritto delle persone, si dovrà continuare a poter dire: "i poveri sono evangelizzati". L'evangelizzazione del mondo del lavoro e, più in generale degli ambienti poveri, prima di essere affidata a tecniche e ad organigrammi, è condizionata dal nostro essere cristiani poveri e Chiesa povera che cammina con i poveri. Il muro dei poveri "si è allungato" ed il fossato si sta allargando. Ma lungo questo muro ci sono tanti uomini e donne, credenti e non credenti, che scelgono di essere con questi poveri. Il cuore povero e l'essere Chiesa povera ci devono spingere ad una vera condivisione con i poveri. Occorre un cambiamento di mentalità: non è un problema di assistenza ma di giustizia che si risolve con nuovi rapporti basati sul rispetto della persona e dei suoi diritti. Poveri in una Chiesa povera. L'esperienza ci dice che per essere poveri che evangelizzano dobbiamo innanzitutto lasciarci evangelizzare dalla Parola di Dio e dalla vita dei poveri. Essere Chiesa povera perché non noi da soli ma la Chiesa evangelizza. E' lei che ci invia. Ed è tutta la Chiesa che evangelizza, tutto il popolo di Dio: laici, sacerdoti, religiosi. E' urgente che si formino laici per l'evangelizzazione che, con tutta la Chiesa siano attenti soprattutto a coloro dai quali la Chiesa è più lontana ma che sono quelli che ci evangelizzano.
3. Siete il sale della terra
"A chi dunque paragonerò gli uomini di questa generazione, a chi sono simili? Sono simili a quei bambini che stando in piazza gridano gli uni agli altri: "Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; vi abbiamo cantato un lamento e non avete pianto"! E venuto infatti Giovanni Battista che non mangia pane e non beve vino e voi dite: Ha un demonio. E venuto il Figlio dell'uomo che mangia e beve e voi dite: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa giustizia da tutti i suoi figli" (Lc 7,31-35). E anche la nostra esperienza. L'indifferenza alla fede mette alla prova sia il nostro canto che il nostro lamento. Non deve mettere in discussione il nostro "come" e "per che cosa" stiamo con i poveri. Il termine di paragone non è l'indifferenza che ci circonda, quanto la coscienza di essere testimoni veri di un altro mondo: Il Regno di Dio, Gesù Cristo, le sue beatitudini, i poveri. La nostra fede, la nostra azione missionaria, troppe volte è messa in discussione dagli insuccessi o dall'inefficienza, al punto da offuscare le motivazioni di fondo mentre, al contrario, dovrebbero costituire una spina nel fianco che quotidianamente ci spinge a purificare la nostra fede, per riscoprire l'essenziale. Troppo spesso ci rifugiamo nel nostro status o ci fidiamo della scelta iniziale, credendo che sia possibile vivere da una posizione di rendita. "Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde sapore, con che cosa gli si renderà sapore?... Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città posta su un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa" (Mt 5,13-15). Il rapporto diretto con Cristo in nome del quale vogliamo vivere la fraternità a partire dai poveri, ci chiede di non procrastinare all'infinito l'annunzio esplicito del suo nome. Il sale insipido può essere anche la nostra "durezza di cuore", quando non ci accorgiamo né del mondo né di Dio, non viviamo la sua Parola né scorgiamo i segni, né creiamo spazi ecclesiali di fraternità. Pensiamo di salvare la nostra identità e dignità a volte con l'efficientismo, a volte col ritorno al magico-sacrale, a volte adducendo scuse per non farci scoprire poveri. Ma, essere sale e luce ... mentre lottiamo con l'indifferenza e la durezza del cuore, non ci induce allo sconforto bensì ci colma di speranza e ci sprona a ricercare l'essenziale nella nostra azione per il Regno. Cristo Gesù e la costituzione di una comunità fraterna che nasce dall'annunzio nella condivisione. Senza Cristo non c'è evangelizzazione. Ci sarà filantropia, ideologia, azione sociale ma non evangelizzazione. Cristo è punto di partenza e di arrivo di ogni evangelizzazione. E l'essenziale! L'evangelizzazione ha bisogno di uomini e donne che conoscono e amano Cristo e l'uomo in comunità apostoliche che suscitano e accompagnano la fede. Per questo non basta l'approccio spontaneo personale indispensabile ma occorre anche quello sociale e culturale che tenga conto dei gruppi sociali di riferimento in cui le persone si riconoscono. All'uomo che si scopre sempre più "superfluo" e "indifferente" sia negli affetti come nel processo produttivo come nella gestione della "cosa" pubblica e anche nella Chiesa, dobbiamo proporre di fare nella Chiesa un cammino verso l'Essenziale, con al centro Cristo Gesù, assumendo tutta la vita, fatta in gran parte di ore dedicate al lavoro per guadagnarsi il pane. E il cammino della donna che prima della Pasqua dà tutto al Signore che ha incontrato (Mt 26,6-13). L'incontro avviene prima di Pasqua come segno profetico ma ci fa comprendere il senso dell'incontro dei discepoli col Signore risorto, il vivente, nelle apparizioni post-pasquali. E' il paradigma del nostro incontro con Gesù, il vivente, nel nostro mondo, nei poveri d'oggi. Lo accoglie in modo del tutto personale (riconoscere nella nostra missione la chiamata di Gesù e la nostra unione con Lui, personale ma nella Chiesa), gratuitamente (assumerci la nostra responsabilità con atteggiamento oblativo), con gesto profetico (perché evangelicamente essenziale) e battesimale (con l'unità