UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

La terra è mia e voi siete presso di me come stranieri ed ospiti (Lev 25,23)

Riflessione biblica di apertura del seminario sull'evangelizzazione del mondo rurale
17 Marzo 1999

ono il diritto all'iniziativa e alla proprietà individuale (CA 43). Questi diritti implicano una responsabilità personale che si estende a ciascuna famiglia, a ciascuna società e a ciascun Paese, e va esercitata nel rispetto del bene di tutti e di ciascuno e dei diritti degli altri. Spiega Giovanni Paolo II: "Mediante il suo lavoro l'uomo s'impegna per sovvenire ai bisogni della sua famiglia, della comunità di cui fa parte, della Nazione e, in definitiva dell'umanità tutta in una catena di solidarietà che si estende progressivamente. La proprietà dei mezzi di produzione sia in campo industriale che agricolo è giusta e legittima, se serve ad un lavoro utile; diventa, invece, illegittima, quando non viene valorizzata o serve ad impedire il lavoro degli altri, per ottenere un guadagno che non nasce dall'espansione globale del lavoro e della ricchezza sociale, ma piuttosto dalla loro compressione, dall'illecito sfruttamento, dalla speculazione e dalla rottura della solidarietà nel mondo del lavoro. una tale proprietà non ha nessuna giustificazione e costituisce un abuso al cospetto di Dio e degli uomini" (CA 43).mons. Carlo Rocchetta- Consigliere ecclesiastico nazionale della Coldiretti
Il testo del Levitico 25,23, che fa da punto di riferimento per questa "lectio biblica", va ovviamente compreso nel contesto dell'esperienza di fede d'Israele: un'esperienza che va dall'essere stati "stranieri" in terra d'Egitto fino all'essere stati condotti, per puro dono, nella terra promessa da Jahweh. Al di là di questo contesto, l'affermazione del Levitico rimanda ad una vera e propria teologia della terra. Se infatti la signoria di Dio riguarda in modo particolare Israele; essa va oltre e concerne la totalità della terra, come afferma Es 19,5: "Perché mia è tutta la terra". Lev 25,23 riassume in un certo modo l'insieme dell'esperienza biblica d'Israele e suppone: - la fede nell'evento della creazione, da cui è derivato il mondo, i suoi beni e i suoi abitanti; - il ruolo primario che l'uomo e la donna svolgono sulla terra come collaboratori di Dio; - la giusta distribuzione delle ricchezze della terra, evitando accumulazioni ingiuste, sperequazioni ed egoismi di parte.
Tre le tematiche di fondo che costituiscono le prospettive di riflessione di questa "lectio": 1. La terra è proprietà di Dio: Egli ne è l'unico Signore. 2. Il compito dell'uomo sulla terra come "guida" e "giardiniere". 3. La terra e i suoi beni come un dono di Dio per tutti.

1. La terra è proprietà di Dio Il principio è affermato in mille modi nella Sacra Scrittura, ed è sempre fondato sull'evento delle origini, l'evento della nascita dell'universo ad opera del gesto creativo del Signore. essendo Dio il creatore di tutto, egli solo può rivendicare una signoria assoluta sulla terra e su quanto è in essa. "Tuoi sono i cieli, tua è la terra, tu hai fondato il mondo e quanto contiene" (Sal 89,12). Jahweh è ripetutamente qualificato, in questo senso, come il "Signore di tutta la terra" (Gs 3,11.13; Sal 97,5; Mi 4,13; Zac 4,14; 6,5). La stessa verità viene affermata dai salmi in una forma innica: " Del Signore è la terra e quanto contiene, l'universo e i suoi abitanti" (Sal 24,1). Particolarmente significativo, in tale contesto, è il contenuto della benedizione proclamata da Davide: "Sii benedetto, Signore Dio di Israele, nostro padre, ora e sempre. Tua, Signore, è la grandezza, la potenza, la gloria, lo splendore e la maestà, perché tutto, nei cieli e sulla terra, è tuo. Signore; tu ti innalzi sovrano su ogni cosa. Da te provengono la ricchezza e la gloria; tu domini tutto, nella tua mano c'è forza e potenza; dalla tua mano ogni grandezza e potere. Ora, nostro Dio, ti ringraziamo e lodiamo il tuo nome glorioso... tutto proviene da te; noi, dopo averlo ricevuto dalla tua mano, te lo ripresentiamo. Noi siamo stranieri davanti a te e pellegrini come i nostri padri. Come un'ombra sono i nostri giorni sulla terra..." (! Cr 29,10ss). Tutto ciò che la terra produce lo deve al suo Creatore. E lui il fecondatore e il benefattore dei doni del suolo: "Tu visiti la terra e la disseti, la ricolmi delle sue ricchezze... Tu fai crescere il frumento degli uomini, ne irrighi i solchi, ne spiani le zolle, la rendi fertile con le piogge e benedici i suoi germogli, coroni l'anno di lavoro con i benefici della terra, al tuo passaggio stilla l'abbondanza" (Sal 65,10-12; cf, anche Sal 104).
La convinzione che la terra è di Dio è particolarmente veicolata e , per così dire, plasticamente espressa dall'idea dello shabbat, il riposo della terra, richiesto nell'anno giubilare, sulla scia del sabato settimanale. "Quando entrerete nel paese che io vi do, la terra dovrà avere il suo shabbat". Il significato di questo riposo è molteplice. - la signoria di Dio: l'uomo dovrà fermarsi da ogni sua opera per riconoscere la signoria di Dio su tutta la terra, prendendo rinnovata coscienza del suo essere in essa come "straniero" e "ospite", essendo Dio l'unico proprietario; - l'inappropriabilità della terra: facendo shabbat, si afferma che la terra è sottratta al dominio dell'uomo o ad un s uo uso puramente funzionale; - la gratuità: se la terra è di Dio e l'uomo non ne è il padrone, egli vive in forza di un'esperienza di gratuità, di disinteresse, verso gli altri e i beni della terra; - la giustizia e la solidarietà: dal momento che la terra è di Dio, essa è di tutti, e ci si deve opporre ad ogni forma di accaparramento, ponendo fine alle disuguaglianze e agli egoismi: "Guai a voi che aggiungete casa a casa e unite campo a campo", grida Isaia (Is 5,8); - il perdono: l'anno giubilare iniziava il giorno dello yom kippur, il giorno della grande riconciliazione, a significare che l'anno dello shabbat della terra comportava il condono dei debiti, la restituzione delle terre e la liberazione degli schiavi (Lev 25, Es 23, 10-11; Ger 34,8ss; Is 61,1-3).

2. L'uomo, "guida" e "giardiniere" della terra Quanto Dio creato lo ha donato con liberalità all'uomo, afferma con forza il salmista: "I cieli sono i cieli del Signore, ma ha dato la terra ai figli ai figli dell'uomo" (Sal 115,16). Un dono evidentemente da non sprecare, ma da valorizzare con ordine, verità e giustizia: l'uomo è infatti collaboratore di Dio, amministratore e usufruttario della terra, non padrone assoluto. Riferendosi al dono della creazione, il libro del Siracide (17,1-12) riassume con estrema bellezza di linguaggio questo compito dell'uomo e le facoltà che Dio gli ha donato perché possa svolgere con sapienza il suo ruolo: "Il Signore creò l'uomo dalla terra e ad essa lo fa tornare di nuovo. Egli assegnò agli uomini giorni contati e un tempo fissato, diede loro il dominio di quanto è sulla terra. Secondo la sua natura li rivestì di forza, e a sua immagine li formò. Egli infuse in ogni essere vivente il timore dell'uomo, perché l'uomo dominasse sulle bestie e sugli uccelli. Discernimento, lingua, occhi, orecchi e cuore diede loro perché ragionassero. Li riempì di dottrina e d'intelligenza, e indicò loro anche il bene e il male. Pose lo sguardo nei loro cuori per mostrare loro la grandezza delle sue opere. Inoltre pose davanti a loro la scienza e diede loro in eredità la legge della vita. Stabilì con loro un'alleanza eterna e fece loro conoscere i suoi decreti. I loro occhi contemplarono la grandezza della sua gloria, i loro orecchi sentirono la magnificenza della sua voce. Disse loro: "Guardatevi da ogni ingiustizia!" e diede a ciascuno precetti verso il prossimo".
L'uomo vi è descritto come concreatore di Dio, non come un suo concorrente. Il mito di Prometeo che ruba il fuoco agli dei e si mette in rivalità con loro non ha niente a che vedere con la fede biblica. Il problema semmai è di comprendere con esattezza il senso del compito affidato da Dio all'uomo, anche perché, non di rado storici ed ambientalisti hanno ritenuto la tradizione giudaico-cristiana responsabile del degrado ambientale, facendo risalire l'origine di questa responsabilità al comando biblico di Gen 1,28: "Siate fecondi e dominate la terra, soggiogatela e dominatela...". Il problema è derivato da un'interpretazione non adeguata del comando biblico. Non sarà male soffermarsi un momento sulla esegesi di questi testi. Due quadri di riferimento vanno tenuti presenti: quello del primo racconto (racconto sacerdotale) e quello del secondo (racconto jahwista).
Gen 1,26.28. I due verbi aramaici corrispondenti a "soggiogare" e "dominare" contengono, nel linguaggio biblico, due immagini estremamente significative. Il primo verbo, come ha notato anche il recente documento sulla terra del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, serve a descrivere il dominio di un re saggio che si prende cura dei suoi sudditi e fa di tutto perché non manchi loro niente. Non indica dunque un potere dispotico o sfrenato che fa scempio della terra e dei suoi frutti, ma esattamente il contrario. Il secondo verbo (radah) rimanda ad un essere guida, pastore dell'essere, e non va assolutamente inteso come un potere arbitrario, ma piuttosto come il potere di guidare, come fa un pastore che conduce il suo gregge all'ovile, evitando in tutti i modi che vada incontro alla morte o all'auto distruzione. Il potere dato da Dio, in entrambe le formulazioni verbali, alle creature umane non rappresenta dunque un potere assoluto, ma relativo: di guida responsabile e attenta a proteggere quanto a loro è stato affidato.
Gen 2,15. Il test del secondo racconto è più facile da comprendere e interpretare; e implica un'ulteriore immagine di notevole significato: l'uomo è considerato come il giardiniere di Dio nell'oasi dell'Eden: "Il Signore prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse". I due verbi ("coltivare" e "custodire") esprimono il compito specifico di un custode che si prende cura del giardino che gli è affidato, coltivandolo e custodendolo appunto. "Coltivare" si oppone ad abbandonare; "custodire" si oppone a distruggere, inquinare, devastare. Ancora una volta l'uomo è considerato come fruitore del bene-terra, non come un padrone senza limiti. E quanto viene richiamato, indirettamente, dalla stessa immagine dell'albero del bene e del male, come ricorda lo stesso Giovanni Paolo II, nell'enciclica "Sollecitudo rei socialis": "Il dominio accordato dal Creatore all'uomo non è un potere assoluto, né si può parlare di libertà di 'usare e abusare', o di disporre delle cose come meglio aggrada. La limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio, ed espressa simbolicamente con la proibizione di 'mangiare il frutto dell'albero' (Gn 2,16ss), mostra con sufficiente chiarezza che, nei confronti della natura visibile, siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire" (SRS 34). Si pone in questo ambito un duplice attualissimo problema: il problema di un etica teologica e quello di uno sviluppo sociale e di un'economia che rispettino il creato, e non lo usino solo per fini utilitaristici o di profitto come avviene nell'attuale modello consumistico di sviluppo. "Ancora una volta - sottolinea Giovanni Paolo II nella medesima enciclica - risulta evidente che lo sviluppo, la volontà di pianificazione che lo governa, l'uso delle risorse e la maniera di utilizzarle non possono essere distaccati dal rispetto delle esigenze morali. Una di queste impone senza dubbio limiti all'uso della natura visibile" (SRS 34).
3. La terra e i suoi beni: dono per tutti gli uomini Proprio perché la terra è di Dio e l'uomo ha un compito di guida responsabile e di giardiniere, come un buon amministratore e non come padrone dispotico, egli deve essere consapevole di essere nella terra come uno straniero e un ospite, rispettando la legge biblica della terra e le sue obbligazioni: - in primo luogo, riconoscere e lodare il Creatore: e tale è il senso delle feste agricole (Es 23,14) che associano la vita del popolo ai ritmi stessi della natura come nella festa degli azzimi, della messe, del raccolto e delle primizie (Es 23,16); - in secondo luogo, l'uso dei prodotti del suolo dev'essere soggetto a regole che sono un continuo attestare la signoria di Dio sul creato, ma al tempo stesso il rispetto di esso e per gli altri: il far riposare la terra ogni sette anni per non esaurirne le risorse, consentirà al povero e allo straniero di spigolare nei campi dopo la mietitura, e così via. Soprattutto si deve rispettare la giustizia e la destinazione dei beni della terra a servizio di tutti, in modo che nessuno si debba sentire defraudato dei suoi diritti. Dire che la terra è di Dio equivale a dire che i suoi beni sono di tutti e di ciascuno; e nessuno può ritenersi proprietario assoluto e perenne di essi. "Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come stranieri ed ospiti" (Lev 25,23). Dire che si è "stranieri" è già affermare che non si è proprietari: ma all'israelita non basta. Occorre aggiungere che si è "ospiti" (toshavim); un espressione che evoca da vicino colui che è L'Ospitante, il Signo re Dio, come se l'autore biblico dicesse: "poiché la terra è mia, come siete in essa come ospiti ospitati da me, l'Ospitante". Il rapporto con la terra non è dunque un rapporto di appropriazione o di possesso, ma di accoglienza di un dono che va distribuito equamente. Il vero proprietario della terra rimane Dio. Questo non esclude il diritto di proprietà, semmai lo relativizza e lo riconduce alla sua verità. La legge ebraica protegge in diversi modi il diritto di proprietà. Il decalogo proibisce, ad esempio, di bramare quanto appartiene al prossimo (Dt 5,21). E, di fatto, l'israelita si sente veramente libero solo quando possiede un suo pezzo di terra. Ma questa proprietà non dev'essere mai separata dalla consapevolezza che il proprietario ultimo di tutto rimane il Signore e che dunque i beni della terra appartengono a tutti, non solo a qualcuno. In questo la legislazione ebraica si distingue dal diritto dei paesi confinanti. In Egitto, ad esempio, la terra apparteneva al faraone e i contadini erano solo suoi servi e sua proprietà. A Babilonia vigeva una struttura di tipo feudale: il re consegnava la terra in prestito ad alcuni in cambio di servizi e di beni. Nulla di simile in Israele: la terra è di Dio. Egli l'ha donata a tutti i suoi figli, ma vuole che sia usata con rispetto e giustizia. Risiede in questa consapevolezza il fondamento della destinazione universale dei beni. Afferma la "Gaudium et Spes": "Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all'uso di tutti gli uomini e pertanto i beni creati debbono secondo un equo criterio essere partecipati a tutti, avendo come guida la giustizia e compagna la carità" (GS 89). Un principio generale che suppone tre orientamenti di fondo: i principi della libera iniziativa e del diritto di proprietà privata, la "funzione sociale" della proprietà e la salvaguardia del bene comune. Dalla libertà dell'uomo, come "segno altissimo dell'immagine divina" (GS 17), discend