UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Incontro delle culture con saggezza

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19 Dicembre 2000

er l'incontro dei popoli. Da buon francescano aveva imparato da Francesco la metodologia per incontrare i popoli. Naturalmente nelle forme tipiche del suo periodo storico che prevedeva conversione e crociate. Con l'aiuto del re di Maiorca, egli fondò un collegio in Miramar dove tredici frati minori potessero studiare le lingue orientali e la cultura dei popoli arabi in modo da essere adatti all'apostolato fra loro. E per molti anni scrivendo, viaggiando, sensibilizzando i vari Sommi Pontefici e i re cercò insistentemente di far comprendere l'importanza di quelle conoscenze.
Non è esattamente quel che noi intendiamo per dialogo fra le culture, ma ne è un primo passo che ci fa comprendere quanti antica sia l'attenzione del mondo cristiano al tema che il Papa ripropone con chiarezza e lungimiranza.

Con grande capacità di sintesi il Papa, nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1° Gennaio 2001, che ha come tema "Dialogo tra le culture per una civiltà dell'amore e della pace", ha posto la saggezza come fondamento di un approccio al tema delle varie culture (n° 2); saggezza, termine che rimanda a quella sapienza che viene dall'alto, così familiare al parlare cristiano.
Ma cosa è sapienza? Uno dei doni, il primo, dello Spirito che scende sulla creatura umana. Il dono che ci dà la "struttura" mentale, di spirito e di cuore per vedere le cose dal punto di vista di Dio; cioè vederle nella loro verità.
Di questa sapienza o saggezza noi abbiamo bisogno quando ci troviamo a leggere la nostra storia umana e quando ci fermiamo a considerare le vicende dei popoli che troppo spesso non sono vicende di Pace. Le varie culture (il Papa scrive che "essere uomo significa necessariamente esistere in una determinata cultura", n° 5) infatti, sono ricchezza a guardarle in profondità, ma possono essere fonte di contrasto quando ci si ferma ad una considerazione superficiale. E noi di questo secolo XX° che si apre al XXI°, inizio del terzo millennio, non brilliamo per una capacità di lettura al positivo delle varie culture. Quelle culture che, sempre più, si avvicinano, s'incontrano e si scontrano, si mescolano e si fronteggiano quasi in attesa di un cruento esito finale.
Non è a dire che nei secoli passati si stesse meglio. A differenza dei giorni nostri, gli scontri culturali erano più fatto esterno che interno. Si andava a combattere un nemico che era fuori e non si permetteva, abitualmente, che culture alternative vagassero indisturbate nei propri territori. In questo modo le società tendevano ad avere comuni punti di riferimento.
L'abitudine di secoli a vivere in un mondo dai modelli culturali omogenei, ci ha impedito di maturare in noi il valore della tolleranza e dell'apprezzamento di quello che gli altri sono. Certamente non ci ha resi intolleranti, poiché le nostre radici cristiane ci spingono ad apertura mentale, ma non è da meravigliarsi se facciamo fatica a renderci disponibili all'accoglienza di persone che non hanno i nostri stessi punti di riferimento esistenziali. E se a volte questa fatica si ammanta di religiosità, o decade in un razzismo neppur tanto velato, ciò potrebbe dipendere anche da pigrizia e ristrettezza di vedute.
Ci troviamo a stretto contatto con culture a noi estranee e non abbiamo ancora imparato a stare con loro, a convivere con chi ha altri modi di concepire la vita e l'agire quotidiano. Per questo abbiamo bisogno di focalizzare il problema e risolverlo, magari con qualche lampo di genio che ci spiani la via. S. Francesco d'Assisi si trovò in una situazione simile e può essere interessante vedere come si è comportato.
Nel secolo XII, che è l'epoca di Francesco, vi era scontro violento fra cristiani e musulmani; uno scontro esterno e non dentro le mura cittadine, questo è vero, ma non è che la situazione fosse tanto bella. Per giunta non c'era un Papa che predicasse un confronto pacifico tra le due popolazioni. Erano i tempi delle scorrerie sulle coste d'Italia, da una parte, e delle crociate dall'altra.
Francesco, che aveva desiderio immenso di andare in Terra Santa, dopo un primo tentativo andato a vuoto, riuscì finalmente a partire nell'anno 1219. Giunse a Damiata dove le truppe crociate assediavano l'esercito di Melek-el-Kamil. Francesco volle andare da lui e ci riuscì semplicemente presentandosi ai soldati musulmani. Chiese di parlare con il Sultano.
In quel momento Francesco superava la barriera della cultura, della religione, della razza, dell'economia, della lingua. Al posto della guerra, come era costume dei tempi, portò il dialogo. Quasi una scoperta, una novità. L'assisiate che si definiva 'ignorante' correva molto più avanti dei dotti dell'epoca.
Trovò in Melek-el-Kamil, uomo altrettanto aperto al dialogo. Fra i due nacque amicizia; Francesco parlò a lui di Gesù Cristo, ed il sultano donò a Francesco un olifante con, forse, il salvacondotto per la terra di Palestina. Fu dialogo vero.
Papa Giovanni Paolo II, nel suo messaggio, così introduce il tema del dialogo fra le culture: "Analogamente a quanto avviene per la persona, che si realizza attraverso l'apertura accogliente all'altro e il generoso dono di sé, anche le cultura, elaborate dagli uomini e a servizio degli uomini, vanno modellate coi dinamismi tipici del dialogo e della comunione, sulla base dell'originaria e fondamentale unità della famiglia umana uscita dalle mani di Dio che creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini (At 17,26)" (n. 10).
Ma il dialogo richiede sicurezza della propria identità, per essere veramente un arricchimento reciproco, nel reciproco rispetto. La cultura in dialogo infatti, "non è mai appiattimento nell'uniformità" (cf n. 10). Solo a queste condizioni può produrre una vera "civiltà dell'amore e della pace".
Se vogliamo ancora commentare con le intuizioni di san Francesco questa fermezza di fede, pur nell'apertura del dialogo, possiamo rileggere quanto il Santo scrisse nella sua Regola del 1221 al cap. XVI: "I frati che vanno fra gli infedeli, possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi.
Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni umana creatura per amore di Dio e confessino di essere cristiani.
L'altro modo è che quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, poiché se uno non sarà rinato per acqua e Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio".
Esempi di dialogo di cui abbiamo necessità; ed anche esempi di Pace da mettere in pratica non con le sole parole, ma con atteggiamenti di vita concreta.
In Italia abbiamo molti immigrati, attirati da motivazioni econo miche e da un falso luccichio di benessere di tipo televisivo. Tutto questo rende la nostra terra luogo di sperimentazione come ce ne sono ormai tanti in Europa. Alle belle parole abbiamo il compito di sostituire comportamenti adeguati che, lo si voglia o meno, comportano fastidi ed incomprensioni. E finita l'epoca dei discorsi a distanza. Gli immigrati sono qui con noi ed hanno esigenze materiali e spirituali cui c'è da dare risposta.
Ne nascono diritti e doveri: degli immigrati verso di noi e nostri verso gli immigrati. Le cultura diverse sono invitate a confrontarsi ed integrarsi: ma fin dove giunga il rispetto che la minoranza deve alla maggioranza e che la maggioranza deve alla minoranza non è questione di legislazione. E compito della saggezza, chiamata a suggerire le strade da percorrere perché non vi sia sopraffazione da parte dei più o arroganza da parte di chi è minoritario.
Il Papa, nel suo messaggio di pace ci offre indicazioni preziose tratte dalla sapienza divina e dalla saggezza umana. Tra le varie indicazioni una può essere riassuntiva: "Quanto alle istanze culturali di cui gli immigrati sono portatori, nella misura in cui non si pongono in antitesi ai valori etici universali, insiti nella legge naturale, ed ai diritti fondamentali, vanno rispettate ed accolte" (n. 13). E scendendo maggiormente nel particolare aggiunge: "Più difficile è determinare dove arrivi il diritto degli immigrati al riconoscimento giuridico pubblico di loro specifiche espressioni culturali, che non facilmente si compongano con i costumi della maggioranza dei cittadini. La soluzione ... è legata alla concreta valutazione del bene comune in un dato momento storico e in una data situazione territoriale e sociale" (n. 14).
Raimondo Lullo, spirito inquieto e formidabile viaggiatore, nato intorno al 1235 nel regno di Maiorca, ebbe una qualche intuizione del problema culturale come fondamento p