UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Il processo di unificazione europea: sfide e opportunità per il terzo settore

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6 Settembre 2000

a disperdersi nell e strutture complesse di molteplici Direzioni Generali.
Ø Giungere all'approvazione definitiva dei regolamenti sugli statuti della Associazione Europea, della Società Cooperativa Europea e della Mutua Europea. L'emanazione di tali misure permetterebbe di attribuire, a queste articolazioni rilevanti del terzo settore, un riconoscimento giuridico europeo, prospettando nel medio-lungo periodo un sistema di accreditamento comunitario per le organizzazioni non profit.
Ø Promuovere una riflessione generale sul ruolo che il terzo settore deve assumere nell'ambito delle politiche di coesione sociale propugnate dall'Unione, in special modo nel quadro della terza riforma dei fondi strutturali (Agenda 2000).
Ø Istituire, presso l'Unità operativa sull'economia sociale della DG XXIII, un'Anagrafe unificata dei soggetti del terzo settore che hanno già ottenuto finanziamenti europei, per alleggerire il peso della produzione di documenti all'atto di presentare nuovi progetti; le organizzazioni inserite in questo data base sarebbero automaticamente sollevate dalla reiterazione di adempimenti burocratici ridondanti.
Ø Elaborare un sistema di indicatori (omogeneo a livello nazionale ed europeo) volto a misurare gli impatti sociali (qualitativi e quantitativi) delle iniziative co-finanziate dall'Unione Europea; tale strumento dovrebbe consentire di superare gli attuali meccanismi di valutazione dei progetti, ancorati troppo spesso a forme di monitoraggio procedurale che si fondano quasi esclusivamente su criteri contabili di rendicontazione dei costi. 1. Il processo di unificazione europea ha segnato tappe fondamentali, i cui effetti influenzano in modo sempre più diretto la vita dei cittadini e le scelte politiche degli stati membri. L'aquis communitaire, sebbene sia stato accompagnato nel suo sviluppo da resistenze e opposizioni, derivanti dalla tensione permanente tra la difesa della sovranità nazionale e l'apertura verso meccanismi di integrazione sovranazionale sempre più cogenti, è diventato un capitale strategico in vista dell'evoluzione futura delle società europee. Il mercato unico, nel quale trovano applicazione le quattro libertà fondamentali (persone, merci, capitali e servizi), l'armonizzazione dei regimi fiscali, la moneta unica, costituiscono tasselli fondamentali verso la costruzione di quella casa comune che ha ispirato azioni e valori propugnati nell'immediato dopoguerra dai padri fondatori del progetto europeista (Altiero Spinelli, Robert Schuman, Alcide De Gasperi, ecc.). Il corpus del diritto dell'Unione (dai Trattati istitutivi, ai regolamenti, alle direttive ed ai pareri emessi dalle singole istituzioni ed organismi comunitari) rappresenta senza dubbio una potente leva di sviluppo per avvicinare le politiche adottate dagli stati membri, per ampliare le potenzialità dei loro sistemi economici, per aumentare la coesione sociale all'interno dell'Unione, per perseguire strategie di innovazione tecnologica e infrastrutturale. Nondimeno, dopo il raggiungimento degli obiettivi posti in essere dal Trattato di Maastricht (1992) (allineamento dei parametri finanziari, entrata in vigore dell'Euro, attribuzione alla Banca Centrale delle competenze in materia di politica monetaria), si è aperto un dibattito ricco ed articolato sulle sfide che l'Europa deve affrontare in questo scorcio di fine millennio. In particolare, il persistere di elevati tassi di disoccupazione e l'emergere di forme di esclusione sociale inedite (nuove povertà, condizioni di disagio psichico e sociale, malattie croniche, ec c.), l'inasprimento degli scenari di competizione nei mercati globali, la volatilità dei flussi finanziari internazionali, l'acuirsi dei conflitti etnici nel cuore del vecchio continente, la necessità di riformare i sistemi di welfare entrati in crisi durante gli anni settanta - tendono a rafforzare il convincimento che sia urgente un rilancio dell'impegno europeista. Tale spinta, riconosciuta dal Trattato di Amsterdam (1996), si muove in due direzioni: la dimensione politica e la dimensione sociale. Vi è, infatti, equanime riconoscimento circa l'urgenza di implementare la PESC (Politica Estera e della Sicurezza Comune), specie dopo l'esplosione della guerra in Kosovo, affinché l'Unione si doti di strumenti e istituzioni idonei ad esprimere posizioni politiche comuni nelle relazioni internazionali e a garantire la convivenza pacifica in Europa e nel mondo. Si diffonde, al contempo, l'opinione che l'integrazione monetaria ed economica non è sufficiente ad alimentare quella coesione sociale che è inscritta nel patrimonio genetico della Comunità. Da questo punto di vista, è avvertita l'esigenza di trovare soluzioni per coordinare le politiche del lavoro e di protezione sociale, per raggiungere una quadratura del cerchio tra parametri economici e sociali, in assenza della quale è arduo prospettare ipotesi di crescita durevole e fondate sul benessere collettivo. In altri termini, si va diffondendo la tesi secondo cui il mercato, pur se orientato da regole e strumenti uniformi e promozionali, non è in grado di sostenere autonomamente la transizione in atto. A ben vedere, il proponimento di rimettere in moto l'Europa politica e sociale si riallaccia alla ricerca di vie alternative ai modelli neoliberisti e socialdemocratici, entrambi incapaci di offrire ricette efficaci per intrecciare la crescita economica con la coesione sociale.
2. In questo quadro complesso e dagli esiti incerti, il terzo settore (l'universo variegato dei corpi intermedi espressione dell'associaz ionismo pro-sociale, del volontariato, della cooperazione sociale, del mutualismo organizzato - profondamente radicati nel tessuto connettivo delle società civili degli stati membri) acquisisce un ruolo sempre più significativo nell'agenda politica europea. Vari segnali confermano questa tendenza e riflettono la visione strategica che l'Unione ha adottato nei confronti dell'economia sociale. Occorre interrogarsi sulle ragioni di tale attenzione crescente. A questo proposito, si possono avanzare almeno due ipotesi. La Commissione europea, nel Libro Bianco di Delors (1993) e in altri importanti documenti (tra cui Iniziative locali di sviluppo e occupazione: inchiesta dell'Unione Europea, 1995; Agenda 2000. Per un'Unione più ampia e più forte,1997), ha sottolineato che il comparto dei servizi sociali (prestazioni alla persona e alla comunità in senso lato) rappresenta un giacimento potenziale di nuovi lavori, la cui attivazione consentirebbe di attenuare il problema endemico della disoccupazione e di combattere l'esclusione sociale. L'assistenza sociale, la tutela dei diritti del cittadino, la prevenzione e il supporto sanitario, la difesa dell'ambiente e del patrimonio culturale (solo per citare alcuni esempi) sono ambiti dove si intrecciano due elementi centrali per la costruzione di una società equa e responsabile: l'opportunità di innalzare la qualità della vita dei cittadini, attraverso l'attivazione di interventi efficaci ed efficienti, creando nei fatti nuove opportunità di lavoro difficilmente sostituibili dalle tecnologie (le attività di personal e community care si basano, infatti, su relazioni dirette tra operatori e destinatari degli interventi, difficilmente surrogabili da supporti tecnologici); la possibilità di progettare percorsi di inserimento sociale per i soggetti svantaggiati, che da utenti passivi si trasformano in attori che partecipano al processo di definizione/gestione degli stessi servizi. Si tratta dell'approdo verso configurazion i poliedriche e innovative di welfare community, laboratori aperti dove si sperimentano nuove soluzioni per rispondere ai bisogni mutevoli manifestati dalla cittadinanza. Il terzo settore, attraverso le sue diverse componenti interne (volontariato, associazionismo, mutualismo) ha offerto un contributo sostanziale al perseguimento di questi obiettivi, nella misura in cui ha promosso strategie di impresa sociale volte a coniugare occupazione e integrazione sociale, espansione economica e riduzione delle condizioni di emarginazione. In questo senso esso si propone (e come tale viene progressivamente riconosciuto dagli organismi comunitari) come un agente di coesione sociale che innesca dinamiche virtuose di sviluppo a livello locale (quartiere, comune, distretto). Questa capacità di agire localmente si accompagna a quella di pensare globalmente (fattore cruciale delle culture e delle prassi post-industriali), vale a dire la spinta a costruire percorsi che combinano i processi micro con quelli macro. Il terzo settore, specialmente negli anni novanta, ha alimentato diverse esperienze di networking nell'intento di influenzare il mondo politico e quello economico, di portare alla luce istanze dal basso seguendo da vicino l'evoluzione dei bisogni e l'esigenza di proporre strumenti e mezzi innovativi per farvi fronte. La stessa abilità nell'anticipare questioni di interesse pubblico (come nei casi della tutela dei diritti del cittadino, della difesa ambientale, dell'assistenza nei confronti dei malati cronici, ecc.) non avrebbe trovato adeguati spazi di praticabilità se non si fosse avvalsa di queste forme di coordinamento, della possibilità di tessere reti sempre più ampie attraverso le quali le organizzazioni locali entrano in contatto, scambiano esperienze e metodologie di lavoro, si avvicinano alle istituzioni e veicolano (con l'ausilio degli organismi di rappresentanza liberalmente scelti) la loro voce. Si tratta di una nuova presenza politica che incide in misura se mpre più stringente sulle dinamiche di concertazione e sul policy making. Il networking assume configurazioni diversificate a seconda degli obiettivi e delle istanze espresse dalle differenti famiglie che popolano il terzo settore. In questi ultimi anni, in Italia come in altri paesi, si è assistito alla nascita e al consolidamento di organismi di rappresentanza del non profit: organizzazioni di secondo livello che offrono consulenze e sostegno tecnico all'associazionismo, al volontariato, al mondo della cooperazione solidaristica (Centri di servizio per il Volontariato, Consorzi di cooperative sociali, Agenzie di servizi del terzo settore), organizzazioni ombrello che veicolano e difendono gli interessi di particolari ambiti settoriali (Coordinamenti delle comunità terapeutiche, Collegamento delle iniziative di lotta contro la povertà, ecc.), organizzazioni di terzo e quarto livello (Centrali delle cooperative sociali, Coordinamenti dei presidenti delle organizzazioni di volontariato e delle ONG, Forum permanente del Terzo settore), Network europei tematici (European Anti-Poverty Network, European Network Women and Decision Making, Consumer Affairs Network, Eurolink age-Elderly people network, European Environmental Bureau). In prospettiva, queste forme di coordinamento tra le differenti manifestazioni del settore non profit articolano e sostanziano il principio di sussidiarietà, che è assunto quale linea direttrice del processo di unificazione europea dal Trattato di Maastricht (articolo 3b) e come strategia di fondo delle politiche sociali (Libro Verde sulle Politiche Sociali, 1994) e per l'occupazione (Libro Bianco di Delors, 1993) predisposte dalla Commissione Europea. Le reti del terzo settore sembrano rispondere alle tre funzioni che declinano a livello operativo il principio summenzionato. Esse, infatti: svolgono azioni di advocacy a beneficio della base associativa, difendendo le sue prerogative e specificità di fronte alle istituzioni comunitarie, nazionali e regionali (funzione protettiva nei riguardi dell'autonomia della società civile e delle organizzazioni che in essa prendono forma); dialogano con le agenzie pubbliche, a tutti i livelli, invocando interventi e politiche attive in vista dello sviluppo del terzo settore (funzione promozionale a sostegno degli attori locali, per realizzare le mete che questi ultimi non sono in grado di intraprendere con i propri mezzi e risorse); attivano meccanismi di autoimprenditorialità e di ampliamento del raggio di azione del settore non lucrativo (funzione di responsabilizzazione delle articolazioni sottostanti, che non invocano misure dall'alto quando queste possono essere perseguite autonomamente).
3. L'impegno profuso dall'Unione Europea, al fine di inserire le organizzazioni di terzo settore nel circuito delle policies comunitarie, è testimoniato da una serie di misure implementate a partire dagli anni Ottanta. L'istituzione, all'interno della Direzione Generale XXIII, di una Unità operativa con competenze specifiche in materia di economia sociale ha permesso di avanzare, con il concorso attivo dei coordinamenti nazionali ed europei del non profit, importanti riforme settoriali. In primo luogo, non può essere sottaciuto lo sforzo compiuto per giungere alla definizione degli statuti relativi all'Associazione Europea, alla Società Cooperativa Europea ed alla Mutua Europea. L'iter di produzione normativa di questi tre strumenti non è ancora concluso e, tuttavia, il susseguirsi di proposte di regolamenti e di pareri da parte delle principali istituzioni comunitarie (Commissioni, Consiglio dei Ministri e Parlamento) lascia ben sperare per il futuro. L'adozione definitiva degli Statuti consentirebbe di arrivare ad un riconoscimento giuridico uniforme applicabile alle famiglie più importanti del terzo settore e, nel medio-lungo periodo, di innescare processi di accreditamento che eliminerebbero procedure e passaggi burocratici ridondanti, rendendo più a gevole la gestione dei progetti finanziati dalla Comunità. Si deve, inoltre, rammentare che la Commissione (con Decisione del 13 marzo 1998) ha costituito il CMAF (Comitato consultivo delle cooperative, mutue, associazioni e fondazioni), organismo che emana pareri sulle azioni e i programmi concernenti il mondo della cooperazione, dell'associazionismo e del mutualismo; esprime posizioni sul ruolo economico di queste componenti del terzo settore; infine, sottopone alla Commissione "proposte di misure legislative riguardanti le cooperative, mutue, associazioni e fondazioni (art. 2 della Decisione)". In prospettiva, il Comitato rappresenta il luogo idoneo dove intrecciare un dialogo fertile tra le forze più rappresentative della solidarietà organizzata e le istituzioni dell'Unione. Tale dispositivo di concertazione potrebbe estendere la capacità del terzo settore di influenzare le azioni comunitarie a monte, dal momento che prevede un interscambio diretto con la Commissione, nelle sue prerogative di istituzione esecutiva che attiva le politiche europee. L'effetto più visibile della valenza strategica che l'Unione assegna all'economia sociale risiede nell'inclusione progressiva delle organizzazioni di terzo settore fra i destinatari delle linee di bilancio che implementano i programmi comunitari (allo stato attuale, sono oltre 100, disseminate tra le diverse iniziative predisposte dalle Direzioni Generali della Commissione). Il finanziamento europeo è divenuto un canale di sviluppo a cui ricorrono con crescente frequenza gli enti non lucrativi. Come è noto, tra i criteri valutativi adottati dalla Commissione vi è l'impatto occupazionale dispiegato dai progetti, accanto al loro livello di innovazione e di diffusione dei risultati raggiunti. Pertanto, una componente non trascurabile di questo processo di europeizzazione del terzo settore si traduce in azioni pilota destinate ad incidere in modo positivo sul lavoro, sulla coesione sociale, sulla costruzione di piattaf orme flessibili di welfare mix a livello locale.
4. Le misure varate e quelle in corso di elaborazione delineano certamente uno scenario favorevole al rafforzamento (empowerment) del ruolo del terzo settore nel processo di unificazione europea. Nondimeno, per rispondere alle sfide e alle opportunità che si manifestano in questa appendice finale di millennio, e in particolar modo per realizzare quella dimensione sociale dell'Unione che darebbe un impulso decisivo al progetto comunitario, occorre pensare e realizzare strategie di intervento che raccolgano i risultati ottenuti nel percorso sin qui seguito e li proiettino in un orizzonte più ampio. Con riferimento ai rapporti tra Unione Europea e terzo settore, si possono avanzare alcune proposte che potrebbero rappresentare ipotesi di lavoro da inserire nell'agenda politica della Comunità. Ø E opportuno procedere all'accorpamento delle competenze in materia di terzo settore, oggi disseminate in diverse Direzioni Generali della Commissione (DGV, DGX, DGXII, solo per citare alcuni esempi), all'interno dell'Unità operativa sull'economia sociale, dislocata nella DGXXIII. Tale operazione produrrebbe alcuni effetti promozionali sulle politiche che l'Unione adotta nei confronti del privato solidaristico: consentirebbe di semplificare le procedure applicate nei progetti finanziati dalla Commissione, costituendo un quadro di regole chiare, uniformi e certe (oggi le difficoltà in cui si imbattono più di frequente le organizzazioni che si candidano nei diversi bandi di finanziamento traggono origine dalla difformità dei metodi di valutazione e rendicontazione dei progetti); rafforzerebbe il meccanismo di dialogo fra Unione e terzo settore, dal momento che individuerebbe un soggetto unico con cui il CMAF e gli altri networks europei possono interloquire; migliorerebbe l'accesso alle informazioni da parte delle organizzazioni di base, visto che potrebbero riferirsi ad una fonte unitaria senz