UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Il problema dell’evangelizzazione dei lavoratori stranieri

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3 Aprile 1999

che a d altre categorie. Se a conclusione volessimo evidenziare alcuni spunti pratici, in parte già segnalati, penso che meriterebbero priorità i seguenti: 1. Inserire nei nostri ambienti e gruppi impegnati (Acli, Api-Colf, ecc.) lavoratori stranieri. 2. Favorire, anche mettendo a disposizione strutture e locali della Chiesa locale, forme di solidarietà e di associazionismo tra di loro. 3. Cooptare nei consigli pastorali qualche lavoratore straniero che possa rendere partecipi dei problemi e delle attese degli immigrati i più diretti responsabili della vita ecclesiale. 4. Promuovere corsi di formazione professionale anche in vista di un rientro in patria. 5. Preparare anche con specifici stages formativi dei leaders o animatori di comunità, capaci di operare sia in ambiente di lavoro che altrove. Molto possiamo attenderci anche sul piano della vita cristiana dal movimento migratorio, ma anche qui mieteremo ciò che avremo seminato. Non dobbiamo illuderci di una specie di generazione spontanea. Anche se l'immigrato, e l'alta maggioranza degli immigrati sono qui per motivo di lavoro, è risorsa, è potenziale ricchezza, bisogna metterlo nelle condizioni favorevoli perchè esprima il meglio di sé. Nulla scatta automaticamente. C'è dunque bisogno di una sollecitazione, di un accompagnamento: alla fede si viene introdotti, educati. La pastorale del lavoro anche fra gli immigrati mette questa attenzione e questa prospettiva in primo piano.padre Bruno Mioli
1. Premessa Come missionario scalabriniano mi viene spontaneo richiamare la parola del Beato Scalabrini, che ricorre già nella sua prima conferenza sull'emigrazione e viene in seguito ripresa come programma di lavoro apostolico tra gli emigrati italiani: "Evangelizzare i figli della miseria e del lavoro". Non era comune a quel tempo parlare di "evangelizzazione" fuori del contesto in cui operano i missionari "ad gentes"; Scalabrini ha l'intuizione di accostare, per così dire, con pari dignità "missio ad gentes" e "missio ad migrantes". Con maggior ragione oggi possiamo valorizzare questo termine quando parliamo del servizio della Chiesa verso i migranti. Infatti l'opera di Scalabrini era diretta ai migranti cattolici e solo incidentalmente sconfinava fuori dell'area cattolica; invece la nuova immigrazione ci pone di fronte ad un impegno missionario a 360 gradi: cattolici delle più diverse etnie, cristiani non cattolici sia protestanti che ortodossi, non cristiani che rappresentano un po' tutte le religioni dell'Africa e dell'Asia. Ha sempre meno del retorico lo slogan, fatto proprio volentieri anche dagli Istituti missionari ad gentes: "La missione viene a noi". Noi vogliamo calare questa realtà e questo impegno missionario nel mondo del lavoro, prendendo spunto dalla Tertio Millennio Adveniente: "Più l'Occidente si stacca dalle sue radici cristiane, più diventa terreno di missione, nella forma di svariati areopaghi" (n. 57). Nella Redemptoris missio ricorre il termine "nuovo areopago" in riferimento ai mezzi di comunicazione; qui invece si parla di "svariati areopaghi" e fra questi noi poniamo appunto il mondo del lavoro, quale luogo qualificato d'incontro con gli immigrati di ogni provenienza e religione. Allora ci domandiamo: come noi possiamo e dobbiamo entrare in questo areopago moderno dei lavoratori immigrati sia per evangelizzare, sia per cogliere i semi di vangelo seminati in questo terreno ossia per lasciarci evangelizza re, sia per procedere al fianco di questi fratelli diversi da noi in una vera opera di evangelizzazione? Proprio da questa impostazione, insieme ingenua ed audace, del fatto migratorio prende significato forte l'altro slogan ormai comune: l'emigrazione più che problema è risorsa, è opportunità che viene offerta o, in termini biblici, è segno dei tempi da percepire alla luce della fede, è kairòs da valorizzare in vista del Regno.
2. Un triplice binomio da tener presente Questo discorso può essere sviluppato su tre piste o piuttosto da tre punti di vista, in ognuno dei quali ci troviamo di fronte a un binomio. 1. Loro e noi: questo tema dell'evangelizzazione ha come destinatari loro, gli immigrati, ma altrettanto noi, singoli e gruppi d'impegno. Il fatto che entrino nella nostra area anche lavoratori stranieri non può non cambiare qualcosa nella nostra vita e nella nostra azione: probabilmente si tratta non di un semplice allargamento del nostro tradizionale ambito di azione socio-pastorale, ma di una sua maggiore qualificazione, di apertura di un orizzonte nuovo che potrebbe esigere un salto di qualità, una specie di conversione. 2. Azione ordinaria e azione specifica: è più che scontato che i nuovi lavoratori stranieri condividono con i nostri le stesse problematiche, gli stessi bisogni e, quindi, quanto suggerisce alla pastorale del lavoro la dottrina sociale della Chiesa vale anche per loro. Ma c'è da domandarsi se essi pongano anche dei problemi specifici che esigono da noi un'attenzione e una risposta specifica. 3. Evangelizzazione e testimonianza della carità: il cristiano, anche in ambiente di lavoro, sente l'ansia e coglie l'opportunità dell'annuncio diretto di Cristo, ma coglie pure ogni occasione perchè la sua testimonianza della carità e il suo impegno di promozione umana abbiano valore di evangelizzazione. In tal caso non è sufficiente dire evangelizzazione e promozione umana; bisogna aggiungere l'affermazione: evangelizzazione è promozione umana, come la promozione umana è già vangelizzazione.
3. Testimonianza della carità e promozione umana nel lavoro Premesso che la carità non rende superflua, non sostituisce la giustizia, ma la presuppone, la include e la genera, ci domandiamo: come di fatto testimoniare, come promuovere carità e giustizia tra i lavoratori immigrati? Questa è una prima risposta: poichè sono lavoratori al pari degli altri, devono essere, come i nostri lavoratori italiani, oggetto di attenzione in tutto ciò che si riferisce alla pastorale del lavoro. Ma questa risposta generica, per quanto valida, non è esauriente. I lavoratori stranieri devono essere oggetto anche di un'attenzione più articolata e specifica, come cercheremo di far risaltare dai seguenti punti.
1. Gli "Orientamenti pastorali per l'immigrazione" della CEMi-Migrantes (1993) riserva il n. 26 al tema lavoro e propone otto fondamentali obiettivi. Balza evidente che tali obiettivi, se interessano ogni lavoratore, hanno un senso più pregnante se riferiti alla situazione specifica del mondo migrante. Per completare questo quadro, è bene includere tra i migranti qualche altra categoria, per esempio: a) gli emigrati italiani: a parte quelli che si trovano tuttora all'estero e che, col progredire della seconda e successive generazioni, sono entrati in una nuova fase che esige nuove risposte pastorali, non vanno dimenticati quelli che ancora rientrano e che rischiano di vivere il rientro al loro paese, anche dal punto di vista lavorativo, come una seconda emigrazione; né vanno dimenticati quelli che tuttora espatriano sia al seguito di ditte specializzate, sia come tentativo disperato di trovare una qualche soluzione a un cronico stato di disoccupazione; naturalmente si tratta della gente del Meridione; b) i fieranti e circensi la cui professione, anche se altamente qualificata, non è sostenuta e valorizzata, e si trova in fase di accentuata crisi a causa dei gravami fiscali e amministrativi; una crisi ancor a più acuta colpisce i rom e sinti, le cui occupazioni tradizionali sono ormai del tutto fuori mercato; anche i mozzi, la ciurma delle gigantesche petroliere o delle eleganti navi crociera è in prevalenza gente del terzo mondo; c) i minori di talune etnie, sfruttati spesso anche in forma sistematica nel lavoro sia in casa che fuori, con grave pregiudizio per la salute, l'istruzione e in genere per la crescita normale; d) le donne trafficate a scopo di abuso sessuale, per le quali il riscatto sembra ora favorito dalla prospettiva di un regolare soggiorno e lavoro; e) gli irregolari e clandestini, i quali non possono essere disattesi sui tanti loro problemi riguardanti pure il lavoro, anche se tutti noi in linea di principio si è contrari alla clandestinità e al favoreggiamento della medesima.
2. Inoltre i lavoratori immigrati fanno appello alla comunità cristiana e in particolare ai lavoratori cristiani, singoli o associati in gruppi impegnati, per una solidarietà verso di loro, espressa anche in forme particolari corrispondenti alle situazioni tipiche che stanno vivendo. Essi infatti, almeno nella prima fase dell'esperienza migratoria, in genere: * sono più esposti, perchè meno protetti, allo sfruttamento e all'emarginazione; * sono più fragili anche psicologicamente e spiritualmente per la condizione stessa di stranieri fuori del proprio ambiente vitale, con scarsa conoscenza della lingua, precarietà di alloggio e lontananza della famiglia; * sono più dequalificati, per mancanza di titoli professionali e possibilità di promozione nella scala sociale e occupazionale.
3. Tuttavia l'aiuto solidale più efficace è quello che, facendo leva sulle loro risorse e sulla loro dignità, mira a coinvolgerli direttamente sui problemi del lavoro, quali soggetti attivi e responsabili, consapevoli dei propri diritti e doveri. Anche qui è necessario il passaggio dalla fase assistenziale a quella promozionale: agire per loro in vista di agire con loro e loro con noi, per la causa comune del lavoratore. Allo scopo è di fondamentale importanza che essi entrino nelle strutture associative, sia quelle pubbliche come il sindacato, sia quelle di ispirazione cristiana. Un grande sostegno può essere loro dato con iniziative non più di prima accoglienza ma in linea con questa politica di autopromozione. Si possono segnalare: * l'aggiornamento dei nostri centri di ascolto e di accoglienza, perchè sappiano orientare bene gli immigrati in base alla nuova legge sull'immigrazione, rendendoli chiaramente coscienti delle opportunità e dei limiti, dei diritti e dei doveri; * l'inserimento in corsi professionali già funzionanti per gli italiani o istituiti appositamente per loro, anche con contributi di enti pubblici e dell'UE; * costituzione di cooperative etniche o miste di produzione, di commercio, di servizi; su questa linea molto può essere utile l'intervento di imprenditori cristiani; * acquisizione di capacità professionali e imprenditoriali in vista di un loro reinserimento produttivo nel loro Paese di origine, d'intesa con progetti di sviluppo pubblici o privati; * non è da escludere, per stimolare anche la solidarietà tra connazionali, l'incoraggiamento a costituire una specie di cassa di mutuo soccorso dentro singole etnie, come in qualche modo già avviene tra i senegalesi muridi. Discorsi più ampi e impegnativi, ma che esigerebbero una particolare competenza, potrebbero riguardare: * il movimento migratorio in rapporto alla globalizzazione della finanza e dell'economia; * la declamata flessibilità del lavoro in relazione alla particolare condizione lavorativa, tanto spesso precaria, dei migranti; * l'impegno, più volte incoraggiato anche dalla S. Sede, perché dai singoli Stati, compresa l'Italia, venga ratificata la "Convenzione ONU sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie", approvata il 18 dicembre 1990.
4. Evangelizzazione nel mondo del lavoro Naturalmente qui si intende evangelizzazione nel senso più ampio, sia di prima e di nuova evangelizzazione, che di servizio pastorale per sostenere la vita cristiana di chi è già credente. Va anzitutto posto in risalto che l'ambiente di lavoro pone fianco a fianco, più di ogni altro, lavoratori italiani e stranieri, di religione cattolica o almeno cristiana e di altre religioni. Questo stare fianco a fianco quotidianamente e per lunghe ore può creare affiatamento e conoscenza reciproca, voglia di parlare e di confidarsi, comunicazione di conoscenze e di esperienze di ogni tipo, anche religiose. Si è di fronte alla forma più spontanea e naturale, meno strutturata e formale del dialogo. Chi crede in Cristo e vive la sua vita cristiana anche con una certa dimensione apostolica, ha una privilegiata e continua occasione di fare del suo posto di lavoro un areopago di evangelizzazione, di rendere ragione della propria speranza a chi glielo chiede o almeno è disposto ad ascoltare. E' superfluo anche aggiungere che evangelizzazione non è soltanto il parlare espressamente del Vangelo e di Cristo. Evangelizzazione è anche: * discorrere dei valori autentici, umani, religiosi e morali, che possono essere piattaforma comune per cattolici e non cattolici; * discorrere in particolare, nel contesto del lavoro, della dottrina sociale della Chiesa; * sottolineare come cristiani, ed eventualmente condividere con aderenti ad altre fedi, la contestazione del mondo moderno, occidentale, immerso del materialismo consumista ateo o areligioso, che si chiude nel momento presente e nell'individualismo egoista; * mettere in guardia contro la "auri sacra fames" che già per i nostri emigrati all'estero ha seriamente compromesso valori morali, sociali, familiari ed anche religiosi, come la santificazione della festa. Il cristiano, verso il proprio compagno di lavoro immigrato, avrà la franchezza, all'occasione opportuna, di aprire anche un discorso apertamente religioso, di favorire il suo contatto con persone e gruppi cristiani capaci di accoglienza e di vera testimonianza, di mettere in mano un qualche opuscolo o libro attraverso il quale il migrante possa conoscere qualcosa di più della fede cristiana. Non è da escludere che qualche migrante, grazie a queste discrete sollecitazioni, cominci ad aprirsi alla fede e al cammino di catecumenato. Naturalmente questa attenzione "missionaria" deve manifestarsi anche verso i propri colleghi di lavoro già cristiani, siano essi italiani o stranieri. Pensiamo quanto può essere schoccante per un musulmano sentire i cristiani bestemmiare con una certa disinvoltura; a questo si potrebbero aggiungere altri esempi facilmente intuibili. Ma si aggiunga che potrebbe essere altrettanto schoccante per cristiani di formazione piuttosto superficiale qualche manifestazione forte di religiosità diversa dalla propria; per esempio il momento di preghiera che venisse chiesto dai musulmani e concesso in fabbrica o la pratica del ramadan. Un supplemento di catechesi in tali casi risulta necessaria. E finalmente anche in tema di evangelizzazione i migranti vanno visti pure come soggetti attivi, missionari capaci di dare annunci nuovi ed efficaci. Pensiamo alle collaboratrici familiari, in prevalenza cattoliche, che sono in continuità al fianco di anziani e di bambini che mai sentono una parola di fede. Questa capacità del migrante di approfondire e testimoniare con possibilità di contagio la propria fede va coltivata anche sistematicamente, almeno per non essere troppo indietro a confronto di chi cerca di minare alla radice la fede con un proselitismo settario e talora fanatico. Da questo presupposto parte una modesta iniziativa di questi giorni, un breve "Corso per animatori di comunità" al quale partecipa una quarantina di immigrati di diverse nazionalità.. Si sta già pensando di ripetere in seguito questo corso per categorie particolari di lavoratori, per esempio per quelli addetti alla collaborazione domestica. Fuori Roma si può pensare an