UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Il mondo rurale fra conservazione e innovazione: un contributo alla valutazione della situazione

Relazione sociologica al seminario sull'evangelizzazione del mondo rurale
17 Marzo 1999

nti all'opinione pubblica vanno attentamente studiati e capiti. Presentiamo una sintesi dei principali contenuti dell'indagine, rinviando, per la lettura integrale del testo, alla consultazione del file allegato al presente abstract
1. Premessa In questo contributo si cerca di perseguire tre obiettivi: individuare la varietà e complessità dei criteri di lettura della campagna; applicare questi criteri per verificare se esiste ancora una 'questione agraria' o una 'questione rurale'; mettere a fuoco alcune delle nuove sfide che il mondo rurale si trova ad affrontare. Il primo fine è metodologico, il secondo risente del tradizionale dibattito sui problemi della campagna, il terzo è connotato dalla ricerca di quali siano gli esiti delle più recenti trasformazioni
2. Criteri di analisi di città e campagna L'individuazione dei criteri di descrizione della realtà rurale è problematico e pone in evidenza il problema metodologico di fondo: cosa è rurale oggi? In questa relazione saranno presi in esame tre serie di criteri.
a) I criteri strutturali e morfologici Sono quelli più usati e si riferiscono alla dimensione demografica, alla densità, alla varietà delle forme dell'insediamento e della produzione nonché alla morfologia del territorio. La dimensione demografica riguarda il numero di residenti in un dato comune; la densità è il rapporto tra gli abitanti e la superficie del comune; la varietà riguarda una molteplicità di dimensioni: dall'articolarsi delle professioni e delle attività produttivo-commerciali ai paesaggi, dalla struttura fondiaria alle forme delle abitazioni. In origine si concepiva come carattere cruciale dell'insediamento la concentrazione delle persone e la loro specializzazione professionale
b) I criteri di tipo culturale Un 'altra tradizione che ha studiato la città e la campagna ha puntato di più sugli aspetti di tipo culturale, osservando che ci sono dei modi sostanzialmente diversi, in città e in campagna, di concepire la vita, la morale, le relazioni sociali. In questo caso, è la modernizzazione o razionalizzazione il criterio discriminatorio. La campagna è meno investita dalla modernità i cui valori centrali sono l'individualità, la ragione e la fede nel progresso. In essa, al contrario, prevale il gruppo sul singolo (gruppi primari, appartenenze forti, relazioni faccia-a-faccia) e atteggiamenti irrazionali (fatalismo, fideismo, autoritarismo...). c) I criteri di tipo relazionale Il terzo ordine di criteri può essere definito "relazionale" in quanto definiscono la città e la campagna in funzione dei rapporti e degli scambi reciproci. In questo ambito si distinguono due filoni: vi è quello che si potrebbe definire razionale, che cerca di spiegare la gerarchia che si forma fra centri grandi e piccoli in base ad una spontanea ed efficiente distribuzione di mezzi e risorse. Si formano così regolari rapporti fra la dimensione di un centro abitato e la disponibilità di merci e servizi.
3. Fine della marginalità rurale? Secondo i criteri visti in precedenza il rurale si connota, almeno nell'epoca moderna, in termini di marginalità. Se il centro urbano è caratterizzato da varietà e densità elevate, la campagna con i suoi caratteri morfologici rappresenta il polo opposto; se il centro urbano è dominato dai valori dell'individualità, la campagna con la preminenza residuale dei legami familiari e parentali risulta marginale; se il centro urbano è il luogo del potere, la campagna si presenta come destinataria passiva delle direttive, come spazio sfruttato e dipendente. Si possono considerare queste letture, diverse nell'approccio ma convergenti nelle conclusioni, superate dagli eventi? La campagna ha finito di essere il luogo della marginalità? Il rurale è ancora la polarità negativa dello sviluppo? La risposta non può che essere articolata. Cominciamo dai criteri culturali. Si può generalmente affermare che nelle campagne al miglioramento delle condizioni materiali di vita ha corrisposto un avanzamento rapido della secolarizzazione dei costumi. Dalle poche ricerche italiane emerge che esiste ancora una differenza di grado tra città e campagna, misurata sul paradigma della modernizzazione-secolarizzazione. Per quanto riguarda i criteri strutturali vi sono da valutare diversi indicatori. Nelle aree rurali la rete commerciale sta subendo una certa razionalizzazione (Merlo, 1997), sta cioè diminuendo il numero degli esercizi e aumentando la loro dimensione. La disoccupazione segue probabilmente gli andamenti regionali più che le distinzioni città-campagna e la vivacità imprenditoriale non è molto diversa fra città e campagna. E' difficile poi quantificare il lavoro precario. Si ha notizia dalla stampa di forti concentrazioni di extracomunitari durante i periodi di raccolta in aree agricole specializzate. Si ha poi notizia della persistenza di forme di 'caporalato' ossia di controllo forzoso dell'offerta di manodopera da parte di organizzazioni illegali. Questo fenomeno sarebbe diffuso soprattutto al sud ma con manifestazioni anche al nord. Un fenomeno di notevole interesse sono le differenze fra città e campagna nella distribuzione degli status o posizioni di classe. Nelle aree agricolo-rurali vi è una minore concentrazione di persone fornite di laurea. Il livello di istruzione è l'unico indicatore fra quelli qui utilizzati per il quale vi sia coerenza fra aree agricole e aree piccole a livello demografico. Le politiche agricole in sede comunitaria, in termini molto generali - facendo ammenda per le inevitabili semplificazioni di una politica fra le più complesse e intricate (Cfr. Russu e Di Iacovo, 1998) - portano verso una diminuzione degli aiuti, almeno alla produzione, e ad un aumento della competizione internazionale. Le conseguenze saranno probabilmente un ulteriore calo del numero delle aziende e una combinazione variabile fra l'agricoltura orientata al mercato e quella orientata al territorio, vale a dire ai servizi ambientali, all'agriturismo, all'autoconsumo, ai prodotti di qualità e al mercato locale. Per quanto riguarda i criteri relazionali bisogna prendere in considerazione due fenomeni: la controurbanizzazione e l'industrializzazione diffusa. Entrambi hanno frenato se non invertito il processo di accentramento della popolazione dalle campagne verso le città e le aree metropolitane. La controurbanizzazione è un fenomeno registrabile anche in Italia a partire dagli anni '80. Ha riguardato prevalentemente il Centro-nord, mentre nel sud continua il processo di accentramento verso la costa e le città. Quale che sia la sua entità e diffusione, la controurbanizzazione non è in grado di riportare le aree rurali all'equilibrio demografico precedente il grande esodo degli anni '50-'60. Le aree rurali erano il classico serbatoio di giovani, di forze fresche, perché facevano tanti figli, e una parte di questi, tradizionalmente, andavano ad alimentare il bilancio demografico delle città. L'industrializzazione diffusa è un fenomeno parallelo alla controurbanizzazione. Per una molteplicità di fattori - riduzione dei costi di produzione, pace sindacale, aree industriali a buon mercato, disponibilità di tecnologie modulabili nella piccola dimensione, incentivi pubblici, incidenza di valori 'lavoristi', humus imprenditoriale diffuso, lungimiranza di piccoli istituti di credito locali - a partire dagli anni '70 le imprese hanno cominciato a decentrare nelle aree periferiche o nelle aree stesse sono sorte nuove unità produttive. Alcuni dei cosiddetti 'distretti industriali' sono sorti in aree rurali o a ridosso di centri urbani di piccolissime dimensioni. A fronte di tutte queste analisi emerge abbastanza chiaro che la polarizzazione urbano-rurale esiste ancora anche se piuttosto sfocata. Permette di cogliere ancora delle differenze sia sul piano culturale che economico. I processi di cambiamento più recenti hanno ridotto il divario sia avvicinando i tratti della campagna a quelli della città sia permettendo all'una e all'altra di interagire più di frequente. La controurbanizzazione e l'industrializzazione diffusa infatti hanno prodotto una intensificazione delle relazioni fra aree centrali e periferiche. Va anche detto che la classica concezione della campagna come marginale, sulla quale convergevano le teorie classiche, non può essere del tutto abbandonata. 4. Le sfide per la campagna italiana La nozione di ruralità stava per diventare una parola da assegnare definitivamente alla storia delle scienze territoriali. La sua ricomparsa è dipesa dall'Unione Europea che con una nuova generazione di politiche di riequilibrio territoriale ha reintrodotto fra le aree bisognose di intervento quelle rurali (Osti, 1996). Questo fatto non ha un puro valore simbolico: significa infatti risorse per quelle aree che ricadranno sotto l'etichetta di rurale; significa anche preoccupazione per processi di accentramento di risorse e attività, in particolare del settore agricolo, che finiscono per danneggiare tutta la popolazione che vive in campagna. Le politiche sono state determinanti nello sviluppo dell'industrializzazione diffusa che ha così pesantemente interessato le campagne italiane. Le modalità di intervento sono state molto diversificate sia per il livello (nazionale, regionale, locale) sia per le modalità (clientelari, dirigiste, cooperative etc...) che per l'efficacia . Per le aree rurali poi hanno particolare rilievo le politiche ambientali. Riguardo all'ambiente naturale c'è una ricchezza e una responsabilità che non è stata ancora colta nelle campagne italiane. Queste sono le depositarie delle quasi totalità delle nostre risorse naturali, (ad esempio l'acqua) e seminaturali (ad esempio, gli alimenti). Ciò rappresenta anche una grande risorsa politica e infatti qualche segnale di conflitto città-campagna si nota.
5. Breve conclusione Per una corretta valutazione del mondo rurale in Italia sembra quindi necessario sottolineare i seguenti punti: - bisogna abbandonare le visioni manichee del mondo contadino, esplorare con occhi nuovi una figura e una cultura troppo caricata di significati politici e ideologici. L'esempio storico è stato il presunto familismo della società rurale meridionale (cfr. Meloni, 1997). Un esempio, di attualità riguarda i cacciatori - categoria particolarmente diffusa nelle aree rurali. Nei loro confronti c'è il rischio di una valutazione semplificante che è imprecisa dal lato scientifico (stereotipo) e forse anche dannosa per l'attuazione delle nuove politiche territoriali e ambientali. - vi è la necessità di approfondire i significati culturali della crescente passione per il passato, il localismo, la natura. Sono tutte bandiere sotto le quali molte aree rurali cercano di attivare iniziative di sviluppo. Senza un'adeguata comprensione di questi simboli vi sono rischi di mistificazione sia nei confronti delle popolazioni locali (autoinganno) sia verso i turisti. In altre parole, vi è il rischio di seguire mode più che filoni culturali. Anche lo sviluppo che da questo deriva ne verrebbe alla lunga danneggiato; - vi è il compito di capire se nel mondo rurale, nelle aree a bassa densità, nelle popolazioni più a contatto con l'ambiente naturale vi sia un peculiare modo di porsi in relazione l'uno con l'altro. Vi è urgenza di capire se l'elevata frequentazione reciproca in piccoli agglomerati dia la possibilità alla persona di partecipare di più alle cose pubbliche o di creare forme di convivenza più umana. In termini più teorici, si vuole capire quale sia il rapporto fra spazio e relazione sociale. In passato questa visione ha preso il nome di "comunità". Purtroppo, da ipotesi empirica si è trasformata in una certezza, creando una ideologia del mondo rurale spesso dannosa, perché non vera. Si tratta ora di verificare con mente sgombra se le grandi trasformazioni che ha subito il mondo rurale italiano abbiano lasciato o creato peculiari forme di convivenza e se queste rispondano ai nostri parametri della qualità della vita. - è opportuno tenere al centro del mondo rurale le attività agricole e silvo-pastorali. Ciò vale sia a livello analitico che a livello normativo. La peculiarità del mondo rurale è anzitutto la trasformazione secondo modalità dolci della natura. L'appannarsi del concetto di ruralità è dovuto alla pretesa di considerarlo un tratto esclusivamente economico (l'impresa agricola o la povertà) o sociale (la comunità). Si tratta in realtà di una modalità peculiare di interagire con la natura, di farla produrre e allo stesso tempo riprodurre. In questa dinamica che si ammanta nella società attuale di dimensioni culturali e morali (vedi biotecnologie) vi è probabilmente un futuro per il concetto di ruralità. La centralità dell'agricoltura vale anche come ideale, come obiettivo delle politiche (dimensione normativa). E' indispensabile pensare al mondo rurale come fatto anche di uomini e donne che producono beni scarsi in maniera efficiente (imprenditori). Questa tensione ad essere impresa va salvaguardata e potenziata. Altrimenti si riduce la vocazione delle aree rurali al solo turismo o alla conservazione delle risorse naturali. Mantenere la centralità dell'agricoltura permette di potenziare l'autonomia e la dignità dei residenti non più considerati alla stregua di residui di un nostalgico mondo antico o disturbatori di una presunta armonia della natura. - bisogna considerare che urbano e rurale non sono in un contesto come quello nazionale la frattura dominante. A livello territoriale pesa soprattutto quella fra nord e sud. Anche i dati in nostro possesso lo documentano. Tuttavia, trascurare le fratture territoriali minori, meno appariscenti, meno dotate di potenziale oppositivo sarebbe un grave errore politico. Se risulterà confermato che pesa fra città e campagna una struttura sociale sbilanciata a livello di status, di classe o di istruzione si pone ancora la 'vecchia' questione dell'equità sociale. Questo ed altri problemi che non risultano particolarmente apparisce

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