UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Il decalogo del dipendente pubblico

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23 Novembre 1999

i effetti negativi delle sue disfunzioni ricadono in misura maggiore sui più poveri, deboli, indifesi: cioè proprio sulle categorie meritevoli, invece, di maggiore protezione e quindi più affidate alla responsabilità di coloro da cui dipendono. Tutto ciò non deve essere ignorato, per esempio, anche quando si intendono rivendicare propri e pur legittimi interessi. Non si nega il diritto a tali rivendicazioni. Ma occorre anche qui curare l'informazione motivare con precisione ogni scelta rivendicativa, soprattutto se onerosa per gli altri, e persuadere l'opinione pubblica che il miglioramento delle condizioni di chi lavora rifluisce sul miglioramento dei servizi resi.
9. Trattare bene le cose di tutti La coscienza di una singolare responsabilità verso la comunità si estende al rapporto con i beni e gli strumenti essenziali al proprio lavoro. Una scrupolosa cura delle cose che, in quanto di proprietà comune, raccomanda la dedizione di tutti e di ognuno è indubbiamente tratto caratteristico della morale professionale del dipendente pubblico.
10. Amare il lavoro ben fatto Nei servizi pubblici, come è noto, l'esercizio di un controllo puntuale sulla produttività e qualità delle prestazioni risulta oggettivamente difficile. Di qui l'esigenza di coltivare personalmente una viva coscienza etico-professionale, intessuta di competenza, di spirito di servizio, di quel gusto artigianale per l'opera ben fatta così caratteristico della tradizione italiana. 1. Non lavorare solo per "guadagnarsi il pane" Ogni lavoro, infatti, è anche attuazione di valori: collaborazione, reciproco servizio, solidarietà...In quanto tale, esso si carica di una specifica ed intrinseca dignità. A maggior ragione questo vale per l'opera prestata nelle istituzioni e strutture essenziali a un ordinato e giusto svolgimento della convivenza. La coscienza di tale dignità del "lavoro pubblico" è lo spirito che ne deve pervadere e animare l'esecuzione.
2. Essere coscienti della rilevanza civile e morale delle istituzioni in cui si lavora In termini generali si richiede un adeguato "senso dello Stato". L'istituzione politica e le sue molteplici articolazioni sono necessarie per subordinare nel miglior modo possibile la realtà del potere - che storicamente connota ogni rapporto sociale - all'esigenza etica della giustizia o del bene comune.
3. Comprendere la crescente complessità L'estrema complessità che caratterizza le moderne istituzioni pubbliche rende sempre più difficile cogliere il senso e il valore "umano" dello Stato. Ciò spesso impedisce al lavoratore di rendersi conto del rapporto tra l'opera da lui concretamente prestata e i fini ultimi perseguiti dalla macchina organizzativa. A tale opacità si deve anzitutto rimediare con un supplemento di informazione e di conoscenze circa l'articolazione della struttura pubblica, le difficoltà e i problemi del suo funzionamento, le sue finalità che vanno condivise e fatte proprie da ogni operatore.
4. L'informazione dell'utente La carenza di informazioni è la situazione in cui versa normalmente l'utente dei servizi pubblici. Il disorientamento che ne deriva lo spinge a un atteggiamento di generalizzato sospetto e di risentimento, che finisce per provocare attriti nei rapporti col funzionario pubblico. Una preventiva, chiara e paziente opera di informazione dell'utente è il primo rimedio per superare pregiudizi spesso infondati.
5. "Mettersi nei panni" degli altri E' questa una norma etico-pratica che vale per tutti. Essa sollecita, nel caso, la capacità di immedesimarsi nella situazione di chi è spesso costretto a rivolgersi ad un pubblico ufficio, comprendendone i bisogni, superando l'inclinazione a schemi di comportamenti burocratici e routinari, resistendo all'assuefazione anche di fronte a casi drammatici, non pretendendo dall'interlocutore quanto può essere richiesto solo ad un addetto ai lavori.
6. Non difendere privilegi né cercare vantaggi personali Il "lavoro pubblico" ha una specifica dignità che esige di essere riconosciuta anche dall'opinione pubblica. Esso però non è un privilegio personale, e la posizione di potere che in varia misura garantisce non deve essere sfruttata a proprio vantaggio. Il servilismo che fa da corrispettivo all'autoritarismo riesce forse a nascondere, ma sicuramente alimenta il disprezzo nei confronti di colui il cui comportamento è avvertito come ricattatorio e dispotico.
7. Custodire il senso della giustizia Espressione caratteristica di arbitrarietà è la cosiddetta "raccomandazione", tesa a conseguire trattamenti di favore (concessioni e privilegi in contrasto con leggi e regolamenti o anche solo tesi ad aggirare lungaggini e vincoli burocratici). La pratica della "raccomandazione" (e la diffusa propensione ad istituire apposite procedure per il suo esame-accoglimento) alimentano il pregiudizio secondo il quale il personale e la macchina amministrativa, venendo meno alle esigenze di imparzialità e trasparenza, sarebbero piuttosto disciplinati da regole misteriose e inique.
8. Preoccuparsi che, alla fine il bisogno sia soddisfatto Il senso di responsabilità consiste nella capacità di farsi carico di tutte le conseguenze della proprie azioni, non solo di quelle immediate, ma anche di quelle a più lungo termine e che coinvolgono terzi estranei. Il lavoro nel pubblico impiego, per definizione, possiede, da questo punto di vista, una "efficacia" notevolmente alta. Gl