UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Il cristiano e la sfida della globalizzazione – parte seconda

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31 Dicembre 1998

mente intralciato".S. E. Card. Dionigi Tettamanzi - Arcivescovo di Genova Brescia, 7 settembre 1998 In preparazione alla visita di S.S. Giovanni Paolo II
Il testo prosegue dalla pagina della prima parte 5. Riprendiamo la lettura razionale e di fede della globalizzazione come di un segno dei tempi. Questa lettura fa emergere un'altra esigenza etica: quella propriamente politica. Una simile esigenza risulta oggi particolarmente acuta per una serie di motivi, tra i quali emergono, da un lato, "lo scandalo persistente delle gravi ineguaglianze fra le diverse nazioni, e fra le persone e i gruppi all'interno di ogni Paese", e dall'altro lato, il fatto che si sta creando uno spazio di potere economico, soprattutto finanziario, sganciato dagli Stati, cioè dagli ordinari soggetti di diritto e di vigilanza; spazio quindi al di fuori degli ambiti che finora erano per definizione preposti al bene comune, alla distribuzione di pesi e vantaggi. Non ci dispiaccia riascoltare il Papa nel suo citato Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali: "Ci sono ancora troppo persone povere nel mondo, che non hanno accesso neanche a una minima parte dell'opulenta ricchezza di una minoranza. Nel quadro della 'globalizzazione', chiamata anche 'mondializzazione' dell'economia (Cfr. Centesimus annus), n. 58) il facile trasferimento delle risorse e dei sistemi di produzione, realizzato unicamente in virtù del criterio del massimo profitto e in base a una competitività sfrenata, se da un lato accresce le possibilità di lavoro e il benessere di alcune regioni, dall'altro esclude altre regioni, meno favorite e può aggravare la disoccupazione in Paesi di antica tradizione industriale. L'organizzazione 'globalizzata' del lavoro, approfittando dell'estrema indigenza delle popolazioni in via di sviluppo, porta spesso a gravi situazioni di sfruttamento, che offendono le esigenze fondamentali della dignità umana. Dinanzi a tali orientamenti, è essenziale che l'azione politica assicuri un equilibrio di mercato nella sua forma classica, mediante l'applicazione dei principi di sussidiarietà e di solidarietà secondo il modello dello Stato sociale. Se quest'ultimo funzionerà in maniera moderata, eviterà anche un sistema di assistenza eccessiva, che crea più problemi di quanti ne risolva. Se così farà, sarà una manifestazione di civiltà autentica, uno strumento indispensabile per la difesa delle classi sociali più sfavorite, spesso schiacciate dal potere esorbitante del 'mercato globale' " (n. 4). Già Paolo VI nell'enciclica Populorum progressio, del 1967, aveva sollecitato l'intervento della politica nel campo economico scrivendo: "La sola iniziativa individuale e il semplice gioco della concorrenza non potrebbero assicurare il successo dello sviluppo (NB. l'obiettivo da raggiungere era, secondo Papa Montini, lo sviluppo integrale mediante la promozione "di ogni uomo e di tutto l'uomo"). Non bisogna correre il rischio di accrescere ulteriormente la ricchezza dei ricchi e la potenza dei forti, ribadendo la miseria dei poveri, e rendendo più pesante la servitù degli oppressi. Sono dunque necessari dei programmi per incoraggiare, stimolare, coordinare, supplire e integrare l'azione degli individui e dei corpi intermedi. Spetta ai poteri pubblici scegliere, o anche imporre, gli obiettivi da perseguire, i traguardi da raggiungere, i mezzi onde pervenirvi, tocca ad essi stimolare tutte le forze organizzative in questa azione comune" (n. 33). Occorre, dunque, un nuovo spazio "politico" in senso proprio, secondo l'effato "ubi societas, ibi ius". Occorre operare il passaggio dall'economia all politica, nella convinzione che nel settore sociale ed economico, sia nazionale che internazionale, l'ultima decisione spetta al potere politico, come ha mostrato Paolo VI nella Lettera apostolica Octogesima adveniens (n. 46). Oggi però ad una comunità economica internazionale deve poter corrispondere una società civile internazionale, capace di esprimere forme di soggettività economica e politica ispirate alla solidarietà e alla ricerca del bene comune di tutto il globo. Sempre nel già citato discorso del Papa Giovanni Paolo II leggiamo: "Occorre tuttavia riconoscere che nell'ambito di un'economia 'mondializzata', la regolamentazione etica e giuridica del mercato è obiettivamente più difficile. Per giungerci efficacemente, in effetti le iniziative politiche interne dei diversi Paesi non bastano; occorrono la 'concertazione fra i grandi Paesi' e il consolidamento di un ordine democratico planetario con istituzioni in cui 'siano equamente rappresentati gli interessi della grande famiglia' (Centesimus annus, n. 58). Le istituzioni non mancano a livello regionale o mondiale. Penso in particolare all'Organizzazione delle Nazioni Unite e alle sue diverse agenzie con vocazione sociale. Penso anche al ruolo che svolgono entità quali in Fondo Monetario Internazionale e l'Organizzazione Mondiale del Commercio. E' urgente che, nel terreno della libertà, si consolidi una cultura delle 'regole' che non si limiti alla promozione del semplice funzionamento commerciale, ma che si occupi, grazie a strumenti giuridici sicuri, della tutela dei diritti umani in ogni parte del mondo" (n. 6).
6. Già da quanto precede non è difficile cogliere che il livello più profondo del complesso e articolato fenomeno della globalizzazione è quello specificamente antropologico. E' proprio a questo livello che scende la lettura razionale e di fede della globalizzazione intesa come segno dei tempi. Nel desiderio di cogliere meglio questo aspetto tipicamente umano, parto dalla famosa espressione di Ralf Dahrendorf "Quadrare il cerchio" come esigenza di dar vita ad un'armonia in qualche modo strutturale, ad una sinergia tra benessere economico, coesione sociale e libertà politica. E' un'esigenza, questa, che per taluni è del tutto utopica, e quindi di fatto irrealizzabile; per altri, invece, è un'esigenza etica, e come tale è da proporsi e riproporsi come un impegno al quale non ci è lecito sottrarci. Si pone sulla linea della mera utopia chi è convinto di trovarsi di fronte a un dilemma insuperabile: o lo sviluppo economico nella libertà politica ma senza la coesione sociale (il "primo modello" nella terminologia di Dahrendorf), oppure lo sviluppo economico e la coesione sociale senza la libertà politica (il "terzo modelli"). Si pone nella linea dell'esigenza etica - non solo possibile ma da realizzarsi - chi crede nel primato indiscutibile dell'uomo. A proposito della sinergia tra mercato, società civile e Stato, in occasione della XLI Settimana sociale dei Cattolici Italiani, dell'aprile 1991, Stefano Zamagni diceva: "In questa fase della transizione da un ordine economico internazionale a un altro, è urgente ripensare le relazioni tra mercato, Stato e società civile. Questi tre termini possono essere pensati come i vertici di un triangolo che descrive i tre modi in cui le persone possono porsi in relazione l'una con l'altra. Come partecipanti al mercato, gli individui si pongono in relazione attraverso atti di scambio volontario: ognuno ottiene ciò che vuole offrendo qualcosa in cambio. Come cittadini di uno Stato, le relazioni fra le persone sono determinate da regole formali che definiscono ciò che ognuno può e ciò che ognuno deve fare: i beni vengono allocati sulla base di processi decisionali a valenza politica. Come membri di una comunità, infine, le persone entrano in relazione attraverso vincoli d'identità che determinano un obbligo informale di aiuto reciproco. La sfida che sta oggi di fronte alla cristianità è quella di riuscire a combinare in un modo nuovo questi tre vertici del triangolo, superando le obsolete e unilaterali esasperazioni sia del vecchio liberismo, sia dell'ormai estinto modello di socialismo reale" (I cattolici italiani e la nuova evangelizzazione dell'Europa, Roma, editrice AVE, pp. 214-215). Ma che cosa è il gioco in ogni realtà considerata - sia essa il mercato, lo Stato, la società civile - se non l'uomo e la relazione tra gli uomini? Sì, ciascuna di queste tre realtà, e lo stesso rapporto tra di loro, rimandano a un "al di là" che è precisamente l'uomo, l'uomo concreto (ciascuno e tutti), al quale fanno riferimento obbligato economia, società e politica. In questo senso è stato giustamente detto che "il problema non è solo di quadrare il cerchio, bensì di trovare il centro del cerchio. E il centro è l'uomo, il centro è la società civile, il centro è una cittadinanza animata da un forte movimento ideale" (C.M. Martini, Diagnosi e terapie per un'Europa dello spirito, in L'amico importuno, p. 47: dalla relazione al Forum, Palazzo Isimbardi, Milano 14 marzo 1997). Ora a tanti potrà sembrare una troppo piccola cosa affrontare il grossissimo problema attuale della globalizzazione facendo riferimento all'uomo, all'uomo concreto. Mi tornano alla mente le parole del Salmo 8: "Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi?" (vv. 4-5). Ma il Salmo prosegue: "Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo ha coronato: gli hanno dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi" (vv. 6-7). In realtà il riferimento all'uomo - che per la globalizzazione - è del tutto ineludibile ed è il solo capace di ridestare in tutti - nelle persone e nelle istituzioni - il senso della "responsabilità", cioè di una libertà che si attua in modo autenticamente umano solo nella verità (Cfr. Gv 8,32: "la verità vi farà liberi"). E la prima verità - in un certo senso l'unica - è quella dell'uomo come immagine di Dio. In questa imago Dei sta l'uomo singolo, nella sua unicità e irripetibilità quale segno della sua incancellabile dignità personale; così come in questa imago Dei sta l'intera umanità nel suo complesso. Di qui l'esigenza ineludibile per una globalizzazione che voglia essere veramente umana: deve avvenire nel rispetto della totalità dei valori e delle esigenze - quelle materiali ma anche quello morali e spirituali - dell'uomo singolo - di ciascun uomo, chiunque egli sia - e nel rispetto della solidarietà. In questo senso il papa ha detto ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali: "Più il mercato è 'globale', più dev'essere equilibrato da una cultura 'globale' della solidarietà attenta ai bisogni dei più deboli. Sfortunatamente, nonostante le grandi dichiarazioni dei principio, questo riferimento ai valori è sempre più compromesso dal risorgere di egoismi da parte di nazioni o di gruppi, così come, a un livello più profondo, da un relativismo etico e culturale molto diffuso, che minaccia la percezione del significato stesso dell'uomo" (n. 6). E ancora: l'obiettivo è "la costruzione di una società che rispetti pienamente la dignità dell'uomo, che non può essere mai considerato come un oggetto o una mercanzia, in quanto porta in sé l'immagine di Dio" (n. 8). E ancora, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1998: "La sfida insomma è quella di assicurare una globalizzazione nella solidarietà, una globalizzazione senza marginalizzazione" (n. 3). Mi piace concludere con un brano di un'intervista che il Papa ha rilasciato il 20 agosto 1997 al quotidiano francese "La Croix": "Il termine stesso di mondializzazione - diceva - non mi soddisfa pienamente. Prima di tutto ci sono il mondo, le persone, la famiglia umana, la famiglia dei popoli. Questa realtà è preesistente alle tecniche di comunicazione che permettono di dare una dimensione mondiale a una parte, ma solo a una parte, della vita economica e della cultura. Di mondiale c'è innanzitutto un patrimonio comune; c'è, direi, l'uomo con la sua natura specifica di immagine di Dio e c'è l'umanità intera con la sua sete di libertà e di dignità. Mi sembra che sia a questo livello che si debba parlare innanzitutto di un movimento di mondializzazione, anche se è meno visibile e ancora frequente