avoro. Maria, modello di santità, ci doni di percorrere nel lavoro di ogni giorno la strada della nostra santificazione: in tal modo, saremo obbedienti alla volontà di Dio, in comunione intima con Cristo Gesù, al servizio umile e generoso dei nostri fratelli e del creato per l'avvento di un mondo più giusto, solidale e in pace.Carissimi lavoratrici e lavoratori che provenite dalle sette Diocesi della Liguria, a tutti voi il saluto cordiale e affettuoso mio e dei miei confratelli nell'episcopato, saluto che estendo a quanti con voi condividono la fatica e la speranza del lavoro quotidiano. Siamo saliti quassù, a questo nostro caro santuario della Madonna della Guardia. Siamo saliti, quasi obbedendo ad un bisogno insopprimibile che è nel cuore di ciascuno, e cioè quello di "uscire" dalle nostre occupazioni e preoccupazioni quotidiane: non per dimenticarle o rifiutarle, ma per "rientrarvi" e guardarle con occhi e cuore diversi. Con quali occhi e con quale cuore? Con gli occhi riempiti dalla luce della Parola di Dio: solo questa parola ci dà la possibilità di ritrovare nella vita nostra e del mondo quel significato profondo che Dio, nel suo disegno di sapienza e di amore, vi inscrive ogni giorno e offre come dono e compito alla nostra responsabilità. E con il cuore colmo della grazia e della forza del Signore: solo con questa energia divina ci è dato di poter vivere le nostre occupazioni e preoccupazioni in obbedienza serena e coraggiosa al disegno di Dio. Sì, l'essere qui in preghiera è una specie di tuffo di religiosità, perché il nostro lavoro e la nostra fatica si possano riempire di autentica umanità, divenendo per noi motivo di speranza e di coraggio. Celebriamo il Giubileo del mondo del lavoro. In questo santuario mariano vogliamo celebrare il Giubileo e celebrarlo come mondo del lavoro della Regione ligure: nel segno, dunque, della comunione e dell'unità. Che cosa il Giubileo comporti lo sappiamo. Comporta, in particolare, di rinnovare con più convinzione ed entusiasmo la nostra confessione di fede in Gesù Cristo, il Figlio di Dio che si fa uomo per guarirci dai nostri mali e per donarci la vita nuova della grazia, ossia la sua stessa vita diventata ormai realtà presente e operante nel nostro cuore di creature umane. Il Giubileo ci fa gridare con gioia, con tutta la forza della nostra fede: Tu, o Cristo, sei l'unico Salvatore del mondo! Sei l'unico Salvatore anche di questo mondo così ampio e complesso che è il mondo degli uomini e delle donne coinvolti nel lavoro, in tutte le sue più diverse forme. Anche il mondo del lavoro ha un grande bisogno di essere salvato. E a salvarlo, in verità e in pienezza, è Cristo Gesù. Solo Lui! Questo noi oggi, ancora una volta, proclamiamo! Questo noi vogliamo capire in un modo più profondo. Di questo noi vogliamo spiritualmente godere e per questo pregare. Ci lasciamo ispirare, nella nostra meditazione, dalla bellissima pagina che Luca ha scritto negli Atti degli Apostoli e che la liturgia di oggi ci ripropone (Atti 9, 31-42). Da questa pagina veniamo a conoscere e ad ammirare, ancora una volta, la potenza salvatrice di Gesù Cristo risorto e la sua prodigiosa efficacia sull'uomo e sulle sue situazioni di vita. Luca ci presenta l'apostolo Pietro che va a far visita ai cristiani di Lidda, una cittadina lontana circa 40 Km da Gerusalemme. Qui vi trova "un uomo di nome Enea, che da otto anni giaceva su un lettuccio ed era paralitico" (Atti 9, 33). A questo uomo Pietro dice: "Enea, Gesù Cristo ti guarisce; alzati e rifatti il letto" (Atti 9, 34). E Luca conclude: "E subito si alzò" (Atti 9, 35). Gesù Cristo ti guarisce! Siamo qui con profonda umiltà ed insieme con grande fiducia. Siamo qui, soprattutto, nel riconoscimento sincero delle nostre colpe e con una fede viva in Cristo per riascoltare anche noi, lavoratrici e lavoratori d'oggi, queste confortanti parole: "Gesù Cristo ti guarisce". Sì, anche il mondo del lavoro è come un paralitico, è in realtà un mondo malato, un mondo che ha le sue ferite. Non è forse una vera e propria "ferita" tutto ciò che misconosce la dignità della persona del lavoratore, che calpesta i diritti umani sul lavoro, che viola le esigenze della giustizia e della solidarietà? Le "ferite" del lavoro. Non ci sono dubbi: il mondo del lavoro ha le sue ferite. Numerose e gravi. Ci basti ricordarne alcune, tra le più diffuse, anche tra noi e nei nostri ambienti di lavoro. 1. Ferita è il lavoro negato. Negato ai giovani che anelano ad entrare nel mondo del lavoro. Negato a chi, sul finire di una vita di lavoro, attende per sé, attende per l'azienda e per il Paese di dare gli ultimi e migliori frutti della sua lunga crescita umana e professionale. Spesso le due attese sembrano in conflitto tra loro. E questo accade tutte le volte che il discorso sul diritto al lavoro si fa meramente contabile. Ma per guarire da questa ferita ci vuole slancio e generosità; ci vuole il coraggio per una grande e solidale scommessa sul futuro: alzati e cammina! Dobbiamo prendere coscienza di ciò che possiamo fare se affrontiamo insieme, con comune decisione, un nuovo cammino di sviluppo. 2. Ferita è il lavoro sfruttato. E sfruttato il lavoro quando è sottratto ai necessari vincoli di garanzia (com'è il "lavoro nero"), quando sono lesi i diritti fondamentali - economici, previdenziali e di sicurezza - o è lesa la dignità stessa del lavoratore. E la ferita si fa spaventosa quando il lavoro giunge ai limiti davvero intollerabili dello sfruttamento minorile, particolarmente diffuso nei Paesi poveri - ma non solo in quelli! - e spesso come conseguenza dei comportamenti assunti dagli operatori ricchi ed evoluti: una piaga da guarire, non solo con divieti e sanzioni, che da soli curerebbero parzialmente la ferita a prezzo di una anche maggiore povertà, ma con interventi più complessi pensati ed attuati nel segno di un più largo e più coinvolgente sviluppo. 3. Ferita è il lavoro usato. Il lavoro è "usato" ogni volta che ad essere "usato" è il lavoratore. "Usato" da un altro uomo o da un impersonale potere forte che, così facendo, gli nega la sua stessa identità umana e ne ferisce, in modo o sottile o plateale, la dignità personale. Un "uso" che può spingersi fino all'"abuso" in un contesto di violenza, di cui quella sessuale è una parte, purtroppo tuttora frequente. Se chi "usa" si sapesse infermo quanto e più di colui che viene "usato", se attendesse insieme a lui la guarigione dal solo che può darla e che non attende da noi che un segno per farcene dono… Chi "usa" il fratello è davvero il più bisognoso di guarigione! 4. Ferita è il lavoro sacrificato. Spesso il lavoro è sacrificato ad una logica finanziaria sempre più diffusa e dominante; una logica che, nella ricerca senza vincoli dei massimi "ritorni", arriva a sottrarre all'impresa i mezzi finanziari indispensabili per il suo consolidamento e per il suo sviluppo. Pensiamo soltanto alla "logica della non-occupazione", secondo cui, sul mercato dei titoli azionari, l'impresa che assume va sempre penalizzata, indipendentemente da qualsiasi analisi sulle motivazioni, quasi che il lavoro fosse solo un costo e non anche, e prima ancora, il solo vero generatore di ogni ricchezza reale. O pensiamo alla "logica del breve o del brevissimo", che sacrifica ai benefici immediati ogni possibilità di serio investimento produttivo, con il drammatico indebolimento dell'impresa nel medio e lungo termine che tutti possiamo immaginare. Ci stiamo pericolosamente dimenticando che non ci sarebbe finanza senza il frutto del lavoro; che la finanza è nata per dare forza al lavoro, al servizio del lavoro; che all'uomo lavoratore è stato affidato il mondo - ossia il dominio sul mondo e la cura del mondo - e non viceversa. 5. Ferita è il lavoro snaturato. Il lavoro e il mondo del lavoro possono snaturarsi per scelte politiche o sindacali sviate dalla demagogia fino a sacrificare rilevanti opportunità a favore di improponibili "garanzie", che eccedono largamente quelle inalienabili: garanzie che, proprio per questo, non sono né necessarie alla giustizia sociale né utili ad una vera crescita umana. Un eccesso di garanzie che, prima che sui conti aziendali e quindi sulle possibilità di sviluppo dell'economia e dell'occupazione, pesa sui "conti dello spirito". Quali garanzie aveva il paralitico di essere guarito? e sarebbe guarito se si fosse rivolto a un assicuratore? Fatti salvi i diritti inalienabili cui tutti gli uomini hanno ragione di aspirare, resta una quota di rischio che ci è connaturale, che dobbiamo accettare e vivere con la gioia dei figli ammessi a condividere la grande opera del Padre. 6. Ferita è il lavoro tradito. Il lavoro può essere svilito in tanti modi, ma tradito può esserlo solo dal lavoratore. Accade purtroppo: quando il lavoratore è egoista e svogliato; quando sfrutta i vantaggi della propria posizione, ma nega il proprio contributo alla produzione della ricchezza necessaria per il lavoro di altri uomini, di oggi e di domani. Quando nega quel contributo proprio lui che dissipa il frutto della fatica di chi l'ha preceduto e di chi l'accompagna. Paralitico, se mai ce ne fosse uno, se solo sapesse guardare ai tanti fratelli che faticano anche per lui, o agli altri che attendono anche da lui qualcosa che loro spetta, si alzerebbe e riprenderebbe il cammino, come se Gesù per bocca di Pietro gliel'avesse ordinato. 7. Ferita è il lavoro corrotto. Corrompe se stesso e il proprio lavoro chi sacrifica al proprio individuale e illecito interesse la salute economica dell'azienda. O magari la salute stessa, economica e morale, del suo Paese, se l'illecito dilaga, come spesso accade, oltre il perimetro aziendale, verso qualche decisore pubblico, stravolgendo decisioni e comportamenti, con danno e disprezzo per il bene comune. 8. Ferita è il lavoro emarginato. Parliamo tutti di "globalizzazione", con enfasi o con timore, ma intanto viviamo come se non ci fosse e finiamo per emarginare noi stessi e il nostro lavoro. Il legittimo desiderio di identità sconfina anche troppo spesso nella voglia di comodo ritiro, fuori dai gravi problemi del mondo, desiderosi come siamo di chiamarcene fuori, per non incorrere nel rischio di qualche rinuncia. Ma, in questa dimensione confinata dell'economia che vorremmo, il nostro lavoro rigetta ed è rigettato, non dà né riceve solidarietà. E paralisi anche questa, paralisi grave dello spirito. Solo dalla "globalizzazione delle solidarietà", per usare una felice espressione del Santo Padre, può venire la risposta alle attese del mondo, degli "ultimi", ma anche di noi che "ultimi" non siamo. Ma da sola questa non si farà. Dunque, se resteremo nel chiuso del nostro ritiro, bloccati dalla nostra paralisi, non salveremo né ci salveremo. "Alzati e cammina!": non occorre che Gesù e Pietro ripetano il loro invito; l'hanno già pronunciato anche per noi. Per ciascuno di noi. Sì, riconosciamo queste e altre "ferite" del mondo del lavoro e per tutte le responsabilità che le generano chiediamo sinceramente perdono a Dio, ricco di misericordia. Chiediamo che Gesù Cristo, con la forza del suo amore compassionevole, operi la guarigione delle menti e dei cuori. Gesù Cristo ti guarisce! Possa ascoltare questa parola di consolazione e di incoraggiamento ogni uomo che si pente del proprio peccato e che vuole impegnarsi a purificare il luogo e il posto di lavoro dall'ingiustizia e dalla mancanza di amore. Ecco, io faccio nuove tutte le cose! Alzati e rifatti il letto, e dunque riprendi risanato il tuo cammino! Così Pietro, nel nome di Cristo risorto, dice ad Enea, il paralitico guarito. Alzati: è lo stesso ordine che Pietro rivolge a una discepola della vicina Giaffa, chiamata Tabità e che "abbondava in opere buone e faceva molte elemosine" (Atti 9, 36) e che era venuta ad ammalarsi ed era morta. Davanti alla salma, Pietro si inginocchia a pregare e dice: "Tabità, alzati!" (Atti 9, 40). Ecco la conclusione: "Ed essa aprì gli occhi, vide Pietro e si mise a sedere. Egli le diede la mano e la fece alzare, poi chiamò i credenti e le vedove, e la presentò loro viva" (Atti 9, 40-41). Alzati! Gesù non solo guarisce, ma fa uscire dall'immobilismo della paralisi o della morte, rimette in piedi dando la forza per un nuovo cammino, soprattutto offre una vita nuova. La salvezza di Gesù Cristo non è solo guarigione dalle ferite, ma è anche e soprattutto dono di una vita nuova. Paolo scriverà: "Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove" (2 Corinzi 5, 17). Si tratta di una novità che tocca le radici più profonde dell'essere dell'uomo e insieme tocca il suo operare concreto. Una novità dunque che è fonte di novità, che ha in sé la forza di rinnovare la vita in ogni ambito, anche in quello del lavoro. "Ecco, io faccio nuove tutte le cose". Queste parole dell'Apocalisse (21, 5) dicono che la salvezza di Cristo risorto ha la forza di rinnovare in profondità il cuore degli uomini e delle donne che lavorano, e in tal modo di rinnovare il mondo stesso del lavoro nelle sue strutture e nelle sue dinamiche. Se il Giubileo ci sollecita a riconoscere le nostre colpe e a chiedere la guarigione delle ferite del lavoro, ancor più ci sollecita a riconoscere e a vivere la novità di cui Gesù Cristo segna il mondo del lavoro, anche oggi. E la novità prima e sorprendente, del tutto inimmaginabile per le religioni al di fuori del cristianesimo, è che Gesù Cristo stesso ha voluto essere "il figlio del carpentiere" (Matteo 13, 55). Così lo conoscono e lo chiamano i suoi compaesani : lui, il Figlio eterno di Dio, si fa uomo come noi ed afferma la sua vera umanità anche nel lavoro e attraverso il lavoro. "Ha lavorato con mani d'uomo", scrive conciso ed efficace il Concilio Vaticano II (Gaudium et spes, 22). La sua vita, al di là dei tre anni di presenza pubblica, è tutta trascorsa nel lavoro di Nazaret. E anche tramite la fatica e il sudore di questo lavoro - anche Gesù ha voluto sentire rivolte a sè le parole che il Creatore ha detto al primo uomo, Adamo: "con il sudore del tuo volto mangerai il pane" (Genesi 3, 19) - egli è il redentore dell'uomo e il salvatore del mondo. Gesù fa del suo lavoro uno strumento di salvezza e di santificazione: Cristo salva il lavoro e lo rende fonte di salvezza e di grazia. Sì, la vita cristiana nella sua tensione alla santità, ossia alla perfezione della carità, trova nel lavoro quotidiano, nelle sue varie specie, il luogo comune e abituale di realizzazione. Santi nel lavoro e col lavoro, non mai al di fuori e contro il lavoro. Come scrive il Concilio, "gli uomini e le donne che per procurare il sostentamento per sé e per la famiglia esercitano il proprio lavoro così da prestare anche conveniente servizio alla società, possono a buon diritto ritenere che col loro lavoro essi prolungano l'opera del Creatore, si rendono utili ai propri fratelli, e donano un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia" (Gaudium et spes, 34). La novità che Cristo inserisce nel mondo del lavoro, oltre o meglio in dipendenza del suo essere "lavoratore", ha ancora altre forme di espressione. Dicevamo che le "ferite" del mondo del lavoro derivano fondamentalmente dal misconoscimento della dignità personale del lavoratore, dal non rispetto dei diritti umani sul lavoro, dalla violazione delle esigenze della giustizia e della solidarietà. Ora Gesù Cristo con la sua grazia dà all'uomo questa straordinaria novità: di poter amare l'uomo, non soltanto con il proprio amore, ma con il medesimo amore con cui Gesù lo ama, vedendo in lui - sempre, anche nelle condizioni più problematiche o disagiate - l'immagine splendida del volto di Dio Creatore e Padre. Può sembrare piccola cosa, questa. E' vero invece il contrario: è piuttosto l'irrompere nella storia di una rivoluzione inaudita. Infatti, se ci fosse realmente negli uomini e nelle donne che lavorano un simile amore, non ci sarebbe più il lavoro negato, sfruttato, usato, sacrificato, snaturato, tradito, corrotto ed emarginato: ci sarebbe soltanto il lavoro veramente umano e umanizzante! Molti credettero nel Signore. Su di un ultimo particolare l'evangelista Luca, nel brano degli Atti dal quale abbiamo preso ispirazione, richiama la nostra attenzione. Sì', Pietro dice: "Enea, Gesù Cristo ti guarisce; alzati…": E ancora: "Tabità, alzati". Ma qual è la reazione di quanti sono presenti a questo duplice fatto prodigioso, rivelatore della potenza di Cristo risorto? Luca, sintetico e puntuale, scrive: "E si convertirono al Signore" (Atti 9, 35 ) e "Molti credettero nel Signore" (Atti 9, 42). L'insegnamento per i cristiani che lavorano è semplice ma di grande interesse: dal come noi viviamo la nostra fede nel lavoro e attraverso il lavoro noi siamo missionari e testimoni del Vangelo. Ma, di fatto, che missionari e testimoni noi siamo? coerenti e coraggiosi o incoerenti e paurosi? In tal senso si deve dire che come lavoratrici e lavoratori cristiani non abbiamo soltanto una responsabilità umana: personale, professionale, aziendale e sociale. Abbiamo anche una responsabilità cristiana ed ecclesiale. Infatti, diffondere la fede, mediante le parole e ancor più le opere, è una grazia e una responsabilità che ogni cristiano riceve da Cristo col Battesimo e in modo pieno con la Cresima, che dona lo Spirito della Pentecoste proprio in ordine alla testimonianza cristiana. I lavoratori e le lavoratrici cristiani non possono sfuggire a questo compito e sono chiamati a svolgerlo, sia personalmente che in gruppo, in un certo senso anzi tutto nel luogo del loro lavoro e nei riguardi dei compagni della medesima fatica quotidiana. Del resto, proprio gli stessi problemi del lavoro non si prestano, forse, per testimoniare con umiltà e convinzione un modo nuovo e originale di affrontarli e di risolverli, un modo cioè che sia coerente con il Vangelo e, proprio per questo, corrispondente alle esigenze più vere del cuore umano? All'inizio del suo brano, Luca parla di una comunità cristiana, di una Chiesa che "cresceva e camminava nel timore del Signore, colma del conforto dello Spirito Santo" (Atti 9, 31). Anche oggi la crescita della Chiesa scaturisce dalla presenza viva dello Spirito Santo, dono di Cristo risorto; ma questo stesso Spirito anima, guida e sollecita quanti riempie della sua grazia fortificante perché portino generosamente il loro contributo per l'annuncio del Vangelo nei più diversi ambienti di vita. Lo diceva già Pio XI: i primi apostoli dei lavoratori sono i lavoratori stessi. E' questa una verità che non è cambiata e non cambierà e che la Chiesa ha il diritto e il dovere di richiamare ai lavoratori cristiani, perché nessuno spazio umano - a cominciare da quello fondamentale del lavoro - rimanga estraneo o ostile al Vangelo che libera, salva e fa felice l'uomo. Affidati a Maria. Oggi, in questo santuario della Madonna della Guardia, ci sentiamo particolarmente vicini a Giovanni Paolo II. Come sappiamo, egli in queste stesse ore si trova a Fatima per la beatificazione dei due pastorelli, Giacinta e Francesco. Vogliamo condividere con il Papa il suo tenerissimo amore e la sua forte devozione a Maria. Ci rivolgiamo alla Vergine Santissima per affidarle, ancora una volta, i non pochi problemi ed insieme le tante speranze nostre e di tutto il mondo del lavoro in Liguria. Sentiamo di pregare Maria con quella incrollabile fiducia che, come figli, non possiamo non avere nei riguardi di una madre il cui cuore, più che quello di ogni altra donna al mondo, riflette l'infinito amore provvidente e confortante di Dio. E insieme desideriamo sostare in ascolto del messaggio che la Madonna rivolge oggi a noi, uomini e donne del mondo del lavoro. Maria è la donna di Nazaret che fa un lavoro di casa: un lavoro - diciamolo con coraggio - pienamente dignitoso come qualunque altro tipo di lavoro, nonché particolarmente utile alla società, anzi preziosissimo e insostituibile per la coltivazione di alcuni valori importanti per la crescita armoniosa e serena delle persone. Maria è la madre di Gesù, di colui che ha imparato da Giuseppe, il carpentiere, ed insieme da lei la fatica e la gioia del lavoro quotidiano. Maria, vergine fedele e saggia, ci dia di riscoprire e di vivere il senso umano del l