UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia: gli orientamenti pastorali 2001-2010 dell’episcopato italiano

14 Febbraio 2002

giovani. Non si tratta della scelta a caso tra i tanti ambiti vitali in cui si esprime la presenza della comunità. L'individuazione di queste due specifiche attenzioni per i prossimi anni è legata alla percezione che ciò che è oggi in gioco è soprattutto la trasmissione della fede tra le generazioni. Giovani e famiglia vengono pertanto proposti come luoghi del passaggio generazionale e quindi anche della trasmissione della fede.
Il testo che i vescovi consegnano, attende ora di essere accolto e condiviso. Si pone in questa ottica l'ultimo avvertimento che leggiamo al termine dell'appendice: l'invito a vivere un anno di lettura e di assimilazione dei contenuti di questi orientamenti pastorali, come pure della Novo millennio ineunte, al fine di far crescere nelle nostre comunità una mentalità comune che favorisca poi la condivisione delle scelte pastorali che verranno fatte nelle comunità ecclesiali diocesane. In quest'anno di preludio si colloca anche l'ipotesi di un evento che voglia esprimere questa attenzione e volontà di comprensione. I dieci anni su cui si proietta la sua vitalità hanno bisogno di un coinvolgimento sincero e duraturo. Ritengo che tutti dobbiamo sentirci impegnati in una cordiale e positiva accoglienza, per stabilire salde radici ai futuri impegni.

Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia: gli orientamenti pastorali 2001-2010 dell'episcopato italiano
(il testo che segue riprende, con qualche variazione, un articolo pubblicato nella nuova rivista di cultura e pastorale dell'Azione Cattolica Italiana Dialoghi, n. 3, settembre 2001, pp. 60-69)

1. - All'interno di un cammino di Chiesa Come gli orientamenti di questo decennio si inseriscono nel cammino della Chiesa italiana di questi ultimi tempi? Non è domanda oziosa, perché non è raro che l'indicazione di nuove strade da percorrere subisca un rifiuto a partire da un malinteso senso di estraneità. Non così, si spera, dovrà accadere per questi orientamenti, perché essi si innestano all'interno di acquisizioni largamente condivise nelle nostre comunità ecclesiali. L'impatto del Concilio Vaticano II sulla Chiesa italiana aveva riportato l'attenzione già fin dagli anni '70 verso la centralità dell'evangelizzazione, come riconquistata esigenza di una fede più consapevole, capace di accompagnare e motivare la pratica. Ma nei decenni successivi si è fatta più acuta la coscienza che il cambiamento culturale epocale esigeva di intendere l'evangelizzazione nella direzione di una più vigile identità, capace di superare il vaglio della necessaria convivenza con una pluralità di esperienze e visioni del mondo, e di una più coraggiosa missionarietà, pronta a misurarsi con la sfida di mostrare la perenne novità e vitalità del Vangelo di Gesù. Letto così, il Concilio smette di essere la semplice declinazione del Vangelo nel pensiero e nel mondo moderno, come pretende una facile vulgata, e si rivela invece come la riappropriazione da parte della Chiesa di strumenti e orizzonti che ne rendono possibile la missione in una cultura in continuo cambiamento. Il ritorno alle sorgenti (bibliche, patristiche, liturgiche...) e lo sguardo sull'oggi come luogo di storia di salvezza si saldano insieme per dettare le condizioni di una più profonda comprensione di dati di fede fondamentali (dalla creazione riletta in chiave cristologica al mistero pasquale, dalla Chiesa comunione al rapporto tra verità e libertà, ecc.) e per rilanciare l'annuncio di Cristo come unico salvatore del mondo. Per quanto ci riguarda da vicino, questa consapevolezza si è fatta esplicita in due eventi ecclesiali. Sul piano della Chiesa universale il Giubileo del millennio, nella sua preparazione e celebrazione, ma anche negli esiti pastorali che il Papa indica nella Novo millennio ineunte, è stato ed è un insistito richiamo ai "fondamentali" della fede, all'impegno a riappropriarsene per chi crede e al coraggio di proclamarli a chi non crede o ha affievolito la propria appartenenza di fede. Quanto alla Chiesa italiana, il Convegno ecclesiale di Palermo ha segnato una svolta nella consapevolezza circa l'urgenza di una crescita formativa più esigente, sviluppata secondo le categorie della vita secondo lo Spirito, e di una "estroversione" della Chiesa per una maggiore attenzione a un contesto sociale e culturale in progressiva scristianizzazione. In ambedue gli eventi viene dunque indicata la duplice direzione di un ritorno all'essenziale e di un inedito slancio missionario. Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia vuol dire raccogliere queste istanze e coniugarle nei termini di una più profonda maturità di vita di fede, come condizione per una esplicita missionarietà, che mostri la rilevanza imprescindibile del Vangelo per le attese di più piena umanità che nutrono gli uomini e le donne del nostro tempo, "convinti che compito primario della Chiesa sia testimoniare la gioia e la speranza originate dalla fede nel Signore Gesù Cristo, vivendo nella compagnia degli uomini" (CVMC, 1). In questa prospettiva gli orientamenti dei vescovi italiani si collocano sulla stessa lunghezza d'onda della Novo millennio ineunte, "vogliono essere una risposta all'invito formulato da Giovanni Paolo II a guardare in avanti, a "prendere il largo" con un dinamismo nuovo e nuove iniziative concrete" (CVMC, 9), ne costituiscono una rilettura nella condizione del nostro Paese e uno strumento per accoglierla e attuarla.
2. - In un contesto da discernere Questo cammino di Chiesa si inserisce a sua volta in un contesto culturale che il documento fin dal suo titolo definisce mediante la categoria del cambiamento. Di qui l'impossibilità stessa di una descrizione compiuta e definitiva dei fenomeni che caratterizzano l'ora presente. Ciò che viene richiesto è piuttosto un atteggiamento di ascolto e discernimento, che deve accompagnare il cristiano nel suo essere nel tempo. Non che non si possano scorgere tendenze più significative e emergenze che interpellano con maggiore forza. Lo stesso documento dei vescovi prova a tracciare alcune linee in termini di potenzialità e di ostacoli (cf. CVMC, 36-43), senza pretendere pertanto completezza ed esaustività. Proviamo a raccogliere tali indicazioni in una ulteriore sintesi: - una nuova percezione del tempo, caratterizzata dall'appiattimento sul presente di gran parte della nostra vita, impoverita dalla perdita del passato e quindi della memoria, ma anche del futuro e quindi della speranza; in tal modo l'"oggi" diventa ripetitività banale, e non più "tempo opportuno" in cui accade per noi la salvezza. E uno dei problemi più gravi per l'annuncio del vangelo: non può esistere infatti fede cristiana se non nutrita di memoria, kairòs e speranza; - il cambiamento nell'ambito della comunicazione, della grande comunicazione - un fenomeno a tutti evidente -, ma anche della "microcomunicazione", quella che lega le persone nella quotidianità. Siamo preda e schiavi di una comunicazione esasperata, per il gran numero di messaggi che ci investono, e al tempo stesso selettiva, ciascuno con le proprie fonti di informazione e con i propri destinatari. Per una fede come quella cristiana, legata essenzialmente all'annuncio, è una grande sfida: a metterci nell'agorà, sulla piazza della comunicazione, a essere capaci di comunicare con questi mezzi e in queste condizioni di comunicazione; a ripensare il nostro modello di comunicazione, chiedendoci se il linguaggio a noi abituale, appiattito sulle due modalità dell'asserzione della verità e della esortazione morale (quando non è moralistica), sia esaustivo di ciò che dovrebbe essere la comunicazione della fede, fatta, stando ai Vangeli, di narrazione, lode, giubilo, ecc.; - la dimensione sempre più multiculturale della nostra società. Volti nuovi percorrono le nostre strade, con storie, culture, religioni diverse della nostra. Il mondo è un "villaggio globale" e, soprattutto, noi possiamo ormai venire a contatto con le realtà culturali più disparate. C'è chi pensa che la convivenza sia possibile solo con il sacrificio della identità propria di ciascuna cultura, miscelando elementi di varia provenienza in una "marmellata" culturale anodina e per questo da tutti accettabile. Altri invece reputano che le culture possano vivere con la propria identità l'una accanto all'altra, in una sorta di "insalata", in cui le diversità diverrebbero sopportabili in forza della tolleranza. Ma che cosa fare quando gli elementi sono irriducibilmente contrastanti? Come salvare la nostra identità e quella di un popolo? Come cristiani non possiamo accettare l'assimilazione a una supercultura umanistica di fatto senza spazio per una vera trascendenza; né ci basta una tolleranza che impedisce il dialogo e il confronto, perché nega il concetto stesso di verità. Coniugare insieme ascolto e testimonianza, dialogo e annuncio sembra essere l'imperativo dei prossimi anni, perché l'identità non diventi intolleranza e l'accoglienza non diventi insignificanza; - la crescente "globalizzazione". In essa si mescolano giuste istanze di universalismo, di partecipazione, di abbattimento delle barriere… Ma altrettanto evidente è la gestione delle sorti dell'umanità intera da parte di pochi, di chi detiene i poteri dell'economia, della politica, della cultura; la prevalenza degli interessi dei popoli del benessere a scapito degli altri. La globalizzazione, di per sé, non è né un male, né un bene: come viene governata determina se essa è una risorsa di comunione oppure un'ulteriore, definitiva sanzione delle differenze e delle distanze tra le persone e i popoli. E come affrontare all'interno di tutto questo la micro- e la macropovertà, sempre più vicine e interagenti in un mondo così globalizzato? - il cambiamento radicale nel nostro rapporto con la materia: il nostro corpo anzitutto e l'ambiente intorno a noi. Entrambi sono interessati da un processo di artificialità, costruente (l'uomo nei secoli ha modificato l'ambiente, ma ora le biotecnologie stanno cambiando il nostro stesso corpo) ma anche distruttiva (distruggiamo non solo la natura, ma anche i corpi, quelli più indifesi, quelli ancora non nati…). Come cattolici ci troviamo accusati di fissismo e al tempo stesso di manipolazione indiscriminata. Come salvare lo specifico umano, la conquista profondamente cristiana del concetto di persona, l'unità di spirito e di corpo?
3. - Alcune scelte di fondo A fronte di questa situazione, i vescovi italiani ribadiscono che "compito assolutamente primario per la Chiesa, in un mondo che cambia e che cerca ragioni per gioire e sperare, sia e resti sempre la comunicazione della fede, della vita in Cristo sotto la guida dello Spirito, della perla preziosa del Vangelo" (CVMC, 4). L'attuazione di questo proposito è legata ad alcune scelte di fondo che provo a riassumere. Anzitutto la convinzione che soltanto ponendo "fisso lo sguardo su Gesù" (Eb 12,2) sia possibile alla Chiesa cogliere il fondamento del proprio essere e il modello del proprio agire: "La Chiesa può affrontare il compito dell'evangelizzazione solo ponendosi, anzitutto e sempre, di fronte a Gesù Cristo, parola di Dio fatta carne" (CVMC, 10). Il cammino della missione comincia da un ritorno a Gesù Cristo, perché solo in lui possiamo trovare Dio e l'uomo, e s perimentare l'incontro tra l'infinito di Dio e il nulla dell'uomo. Si tratta di una concentrazione cristologica che vuole aiutare a comprendere come il Vangelo di Gesù altro non è che il Vangelo che è Gesù. In lui appare a noi il volto di Dio e al tempo stesso l'uomo è rivelato a se stesso: in tal senso la cristologia non esclude la teologia e l'antropologia, ma ne apre le strade più vere. Da lui scaturisce la sorgente della vita per ogni creatura e a lui è orientata l'intera storia umana: da ciò deriva la pertinenza storica del cristianesimo e la sua capacità di offrire una speranza che va oltre ogni tempo. Il soggetto di ogni azione salvifica, e quindi anche di ogni azione pastorale ed ecclesiale, è Cristo. Solo partendo da lui, guardando a lui e traendo forza da lui, potremo esprimere un'azione missionaria autentica, secondo la volontà del Padre. Guardando a Gesù, la Chiesa scopre se stessa. La prima domanda non può essere: "che cosa fa o deve fare la Chiesa?" e neppure: "qual è il volto della Chiesa?"; ma anzitutto: "qual è il volto di Cristo?", perché solo scoprendo il volto di Cristo si scopre il volto della Chiesa. Su questo riaffermato primato di Cristo si innestano le altre scelte, tutte connotate da quel carattere di paradossalità che contraddistingue l'esperienza cristiana: - contemplazione e servizio. A quanti pensano che fare pastorale sia disperdersi rispetto all'essenziale della fede, come pure a quanti pensano che la pastorale sia una ricerca di interessi di Chiesa rispetto all'attenzione all'uomo, si risponde che l'azione pastorale sta proprio nel tessere un ponte tra le ragioni dell'essere e quelle del fare, tra lo sguardo rivolto al mistero di Dio e le mani che si infangano nel servizio del mondo. Da una parte si fa forte il richiamo al primato della contemplazione, soprattutto dell'ascolto: Cristo si manifesta a noi, concretamente, nella sua parola e quindi solo attraverso un rinnovato incontro, una ritrovata familiarità con il Vangelo, potre mo trovare la strada della missione nel nostro tempo. Dall'altra si fa urgente l'appello a farsi vicini alle attese dell'umanità per mostrare il Vangelo di Gesù come gioia che dà compimento alla speranza. La parola del Signore che trasforma il cuore dei credenti è dono da condividere con tutti (cf. CVMC, 32); - comunità vive e attenzione a tutti. La scoperta del Vangelo e dell'urgenza della sua comunicazione implica "una chiara connotazione missionaria" (CVMC, 44) di tutta la vita della Chiesa. Si riprende qui l'idea lanciata dal Papa a Palermo della necessità di una "conversione pastorale", che tocca due livelli complementari: quello della comunità formata da quanti si riuniscono con assiduità nell'Eucaristia e partecipano con dedizione alla vita parrocchiale; quello di quanti di fatto ne sono ai margini, perché la loro fede si è affievolita, sostituita dall'indifferentismo, contraddetta da un esplicito o implicito agnosticismo o ateismo, mai incontrata nella propria vita perché non battezzati o appartenenti ad altre religioni (cf. CVMC, 46). Non si tratta di fare scelte tra "vicini" e "lontani", ma di misurare l'esigenza di una rinnovata evangelizzazione di tutti, intrecciando lo sguardo "ad extra" con quello "ad intra"; - formazione e missione. E una scelta strettamente connessa alla precedente: superare la falsa antinomia tra momento formativo e missionario, tra essere e fare. Non può esserci vera missionarietà se non a partire da una profonda spiritualità e non c'è uomo che si lasci guidare dallo Spirito che non senta il bisogno di comunicare agli altri la propria esperienza di Dio. La formazione deve pertanto camminare di pari passo con la missionarietà, ma anche consapevolezza che "formazione è missionarietà" e viceversa. Ci si forma per la missione e essere cristiani formati è già essere missionari, come pure essere missionari è parte integrante di un cammino formativo e una vera missione porta a rileggere l'azione formativa e a ripensare tutta la pastor ale; - annuncio e testimonianza. Anche in questo caso il documento chiede di superare una falsa antinomia, che ha tormentato a lungo il mondo cattolico negli anni recenti. Si tratta di comprendere come la testimonianza non può non dire le proprie ragione nell'annuncio e questo non può non mostrare la propria credibilità nel servizio reso ai fratelli. Il ricorrente rimando alla parola di Dio, prima da ascoltare e poi da proclamare, si unisce all'invito ad una piena cittadinanza nella società degli uomini e ad una particolare attenzione ai più deboli; - itinerari e vita quotidiana. La comunicazione della fede ha una struttura ben definita. Il documento la rintraccia nei primi versetti della prima lettera di Giovanni: ascolto, esperienza, condivisione (cf. 1 Gv 1,1-4). Questa imprescindibile struttura della vita di fede si presenta come un itinerario, che va però tradotto in cammini praticabili per gli uomini del nostro tempo. Il modello concreto è offerto dall'itinerario di iniziazione cristiana, da cui tutte le altre forme di invito e conduzione nell'esperienza di fede derivano. Ma questi stessi itinerari si modulano in forme diverse a seconda dei destinatari, coinvolgendo l'ordinarietà della vita comunitaria, in specie la celebrazione eucaristica domenicale, e al tempo stesso l'occasionalità dell'incontro della stessa comunità o del singolo fedele con quanti hanno bisogno della comunicazione del Vangelo; - fede e cultura. Gli Orientamenti pastorali si pongono sullo sfondo del progetto culturale orientato in senso cristiano, la risposta delle nostre Chiese alla constatazione per cui la frattura tra fede e cultura si sta consumando a tal punto da rendere il Vangelo e la Chiesa del tutto irrilevanti per la vita degli uomini del nostro tempo. La strada indicata è quella di dare spessore culturale alla nostra fede: una fede che diventa cultura e ci fa capaci di testimoniarne i risvolti culturali all'interno del nostro mondo; - ascolto degli uomini e trascendenza de l Vangelo. Un ultimo paradosso è da segnalare, quello per cui il documento chiede di "coltivare due attenzioni tra loro complementari anche se, a prima vista, contrapposte. […] La prima consiste nello sforzo di metterci in ascolto della cultura del nostro mondo, per discernere i semi del Verbo già presenti in essa, anche al di là dei confini visibili della Chiesa. […] [Ma] l'attenzione a ciò che emerge nella ricerca dell'uomo non significa rinuncia alla differenza cristiana, alla trascendenza del Vangelo, per acquiescenza alle attese più immediate di un'epoca o di una cultura" (CVMC, 34-35). C'è una irriducibilità del messaggio cristiano a cui non si può venire meno pena lo snaturamento del Vangelo; ma c'è anche un legame del Vangelo all'uomo che va colto a partire dal suo essere "capax Dei".
4. - L'architettura del testo Il testo si apre con un'introduzione che enuncia la finalità della comunicazione della fede: annunciare la gioia e la speranza ad ogni uomo. Il progetto è tutto centrato su 1 Gv 1,1-4 che illustra come l'itinerario della vita di fede si svolga secondo un tracciato definito: ascolto, esperienza-contemplazione e testimonianza-condivisione. Il primo capitolo articola la contemplazione-catechesi di Cristo in quattro tempi. Cristo è anzitutto l'inviato del Padre per la salvezza dell'umanità; colui che è stato in mezzo a noi, vivendo con noi una vita di assoluta condivisione della situazione umana; egli è però anche il Risorto, colui che è ritornato al Padre; infine, è colui che verrà alla fine della vita e della storia, come giudizio che ne svela il senso. La logica che presiede questo invio di Cristo è quella della umiliazione e dell'innalzamento ed è la stessa logica che dovrà assumere la missione della Chiesa: dalla condivisione alla speranza. Il secondo capitolo, riaffermando la necessità della comunicazione del Vangelo con lo stile di Gesù, indica le due attenzioni previe di cui abbiamo già parlato: l'ascolto della cultura e l'affermazione della trascendenza del Vangelo. Si apre così lo scenario sulle tendenze culturali emergenti nel nostro tempo, che vengono colte nelle loro potenzialità e limiti. In questo contesto si pone il compito di innalzare la qualità formativa dell'offerta delle nostre comunità, per dare efficacia alla comunicazione del Vangelo; questo vale su due livelli: quello della comunità dei praticanti che si riunisce ogni domenica intorno all'Eucaristia e vive le dinamiche della comunità ecclesiale; quello dei tanti battezzati non praticanti, che attendono un risveglio della fede e delle persone non battezzate da introdurre alla fede. Per la comunità che si raccoglie intorno all'Eucaristia si chiede un più pieno recupero del giorno del Signore, della parrocchia, della liturgia, della pratica della lectio divina, di una formazione a una fede "pensata", del ruolo dei presbiteri come guide della comunità e delle aggregazioni laicali come luoghi formativi, avendo due priorità: giovani e famiglia. Lo sguardo si allarga poi a tutti i battezzati, con attenzione all'ecumenismo, ma soprattutto ai tanti "cristiani della soglia", a quanti si accostano alla Chiesa solo in particolari occasioni della vita, bisognosi di ascolto e accoglienza, di un "ricominciamento", di itinerari di iniziazione, non escludendo l'esplicita proposta di fede ai non credenti e il catecumenato per loro; l'accoglienza si apre a forme di dialogo culturale e di collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà, si fa animazione della vita sociale, si fa esperienza di prossimità ad ogni persona nella povertà e nella marginalità. La conclusione riprende il tema della comunione, cioè la convinzione che la Chiesa solo se si fa "casa e scuola di comunione" può diventare missionaria come Gesù. C'è anche un invito a non scoraggiarsi e a non esaltarsi. Ritorniamo al Concilio, dove troviamo i temi fondamentali del nostro impegno: pastorale della santità, comunicazione del Vangelo, rinnovamento della vita delle comunità attorno all'assemblea eucaristica e al primato della Parola, vie di comunione, testimonianza evangelica dei laici nella società.
5. - Alcune prospettive - Occorre assumere sul serio l'invito alla contemplazione di Cristo. Non è un invito per anime privilegiate, per chi intende percorrere sentieri di alta spiritualità. Solo se si fa sintesi su Cristo, si riesce a fare sintesi di Dio, dell'uomo e della Chiesa. Concentrare su Cristo significa superare il rischio della lacerazione, tra chi è attratto tanto da Dio da pensare di dover dimenticare l'uomo e chi è attratto tanto dai problemi e dai progetti dell'uomo fino a dimenticare Dio; tra chi vuole affermare il suo stare nella Chiesa fino a dimenticare i fratelli che ne stanno fuori e chi andando alla ricerca dell'incontro con loro dimentica la propria casa della comunione. Sulla contemplazione di Cristo si gioca molto del futuro delle nostre comunità. Essa appartiene alla "normalità" della vita cristiana. Su questa strada incontriamo la grande tradizione della santità, in occidente e in oriente. - Accanto alla dinamica della contemplazione, gli orientamenti pongono quella della missione. Il cammino della missione parte però dall'Eucaristia, dalla comunità che si riunisce attorno alla mensa della Parola e del Pane. Nell'Eucaristia la Chiesa scopre il paradigma della propria missionarietà. La dinamica di offerta e di condivisione fino al dono supremo di sé che è la logica eucaristica è anche la dinamica che spinge la Chiesa e la conduce verso ogni situazione umana. La missione non si aggiunge all'Eucaristia, alla comunione, ma ne è l'anima e la logica conseguenza. Non si tratta di fare semplicemente delle liturgie più significative, ma di dare piena espressione alla identità stessa del fatto eucaristico, assumendo questa dinamica di progressivo allargamento del cuore della Chiesa verso tutti, credenti e non credenti. Il consolidamento della coscienza e dell'appartenenza ecclesiale non va vissuto per se stesso, per non tra sformarsi in un arroccamento, ma nell'ottica della più piena identità che permette di esprimere maggiore autenticità nella missione, nell'annuncio. E c'è anche da ricordare che il processo missionario se da una parte si compie nell'invito a tutti a condividere l'esperienza comunionale ecclesiale dall'altra chiede di compiersi nel portare il fermento del Vangelo e del Regno nel mondo e coinvolgere tutti in questa opera di piena umanizzazione. - Il cammino della missione deve però partire da una più piena consapevolezza del tempo. I paragrafi dedicati dal documento alla comprensione della condizione culturale non possono essere considerati esaustivi. Il discernimento che occorre fare è necessariamente un'operazione "in progress", in cui diventa decisivo l'apporto del progetto culturale, che certamente non ha soltanto una funzione esplicativa, ma che non può prescindere da essa. Su questo fronte chi è impegnato nella pastorale sociale e del lavoro, nella promozione della salvaguardia del creato e in quella della giustizia e della pace ha un compito peculiare, in forza del fatto che questa pastorale è collocata sui confini del rapporto tra Chiesa e mondo: da essa ci si può attendere una maggiore attenzione alla lettura del tempo che viviamo, come pure una maggiore capacità a portare all'interno della comunità ecclesiale sensibilità, attenzioni, interesse per i processi sociali e culturali in atto. Alla pastorale sociale non è chiesto soltanto di testimoniare il Vangelo negli ambienti di vita, ma anche di testimoniare le attese degli ambienti nella vita della Chiesa. In questo si esprime uno specifico carisma dei laici, che in forza della loro vocazione secolare sono chiamati a farsi attenti alle ragioni del Vangelo nel mondo e rendere perspicuo a tutto la comunità ecclesiale il cammino storico dell'umanità. - Ci sono, infine, due campi concreti di azione che vengono proposti all'operatività pastorale: la famiglia e i